2024-08-03
Il Giappone delle nuove solitudini e delle troppe ragazze «randagie»
Il quartiere dei manga Akihabara a Tokyo (iStock)
Nel suo manga, Keigo Shinzo racconta un aspetto del Paese del Sol Levante poco conosciuto: il destino di molte giovani che se ne vanno da casa e non di rado si prostituiscono. Ma a volte basta poco per salvarle.In questa rubrica ci siamo occupati, di tanto in tanto, di fumetto. Qualche settimana fa abbiamo allungato lo sguardo nel mondo esotico e avventuroso di Corto Maltese, in passato abbiamo incontrato l’arte di Paolo Bacilieri e abbiamo intervistato Barbara Baraldi, romanziera e sceneggiatrice e nuova curatrice di Dylan Dog. Oggi volgiamo lo sguardo a Oriente, e per l’esattezza nel fecondo Giappone dei manga. Inutile tentare di abbozzare in poche righe una eventuale spiegazione generica ma sufficientemente precisa del manga, poiché certo è il fumetto giapponese, ma la vastità di stili, tematiche, generi sarebbe così ricca da occupare quantomeno l’intera pagina a nostra disposizione. Dunque mi limiti a puntare dritto all’obiettivo, ovvero ad una storia al contempo drammatica e sentimentale che s’intitola Randagi, scritta e disegnata dal «mangaka» - così si chiamano gli artigiani dei manga - Keigo Shinzo, classe 1987. L’originale viene pubblicato a puntate su rivista in Giappone dall’aprile del 2018 all’agosto del 2020, in Italia è pubblico nel 2021 in quattro volumi con cofanetto da BD J-Pop diretta da Marco Schiavone.Tra i vari generi di manga esistono le storie che raccontano le piaghe delle dinamiche sociali, quali il suicidio, ad esempio, l’apatia di coloro che si chiudono in casa e non cercano un lavoro ma nemmeno studiano, gli oramai famosi hikikomori. Randagi tocca un tema molto sentito che riguarda le ragazze che abbandonano per varie ragioni la propria famiglia, e vivono facendosi ospitare dalle persone più diverse, non di rado prostituendosi. In certi casi finiscono nei bordelli clandestini, in altri casi diventano le giovani mantenute di qualche uomo d’affari magari anche sposato che le tiene in appartamento quasi che fossero delle loro dipendenti per 24 ore di fila. Esiste una letteratura che se ne occupa.Qualcuno ricorderà certamente quel datato ma sempre affascinante romanzo di Yasunari Kawabata, premio nobel per la letteratura nel trambustoso 1968, La casa delle belle addormentate (1961), nel quale il goffo personaggio settantasettenne cerca rifugio accanto al corpo di una ragazza, in una casa di dubbia fama, laddove uomini pagano per potersi addormentare accanto a fanciulle nude. Non è previsto alcun contatto, le giovani dormono, sotto l’effetto di un sonnifero, mentre gli uomini osservano, annusano, fantasticano. E non è di molti anni fa la notizia di belle ragazze che si facevano ben retribuire per passare la notte con impiegati maturi o sposati ma senza farsi toccare. In Italia di questi temi non si può parlare, la politica continua a non voler occuparsene e così abbiamo le strade delle periferie colme di prostitute.Randagi ha tre personaggi principali: un padre, poliziotto, ha perduto la figlia che si è suicidata; una ragazza, fuggita da una madre violenta e alcolizzata e dorme dove gli capita, spesso offrendo come paga il suo corpo. E la società, lentissima e preistorica entità che condanna, che prevede ruoli e confini individuali quanto sociali. Sono questi tre agenti che muovono le redini delle scelte dei protagonisti del manga.Senza rivelare lo svolgersi dell’intera trama, inizialmente la ragazza vive in strada. Il poliziotto invece fa il suo lavoro, e contribuisce ad una retata che smantella un bordello illegale. Poi c’è un gatto, randagio, malato e vessato, che vive in una strada di campagna, e qui la ragazza va a dargli quel poco che può, così come curiosamente fa anche il poliziotto, che vive solo e mestamente, ancora travolto dal dolore causato dalla perdita della figlia. Sarà proprio per curare il gatto che i due si conosceranno, e poi si rivedranno, quando la ragazza la scampa grossa, poiché un ragazzo l’aveva ospitata per ucciderla. A quel punto il poliziotto sente di dover fare qualcosa e anche se la ragazza è ancora minorenne e risulta dunque sotto la tutela della madre che la odia, cerca di ospitarla, le offre la sua casa, forse anche per riempire quel vuoto pneumatico che la mancanza della figlia ha generato. La ragazza non riesce però ad adattarsi a questa vita, le sembra di farsi comandare, di perdere autenticità e libertà. Bastano poche parole di troppo per alimentare la sfiducia e fomentare la fuga.Come è tipico del manga e di parte della letteratura giapponese, tante piccole evenienze ed epifanie costellano i momenti della giornata. Ad esempio l’incanto delle cose ordinarie, come fare la spesa, il traffico lungo le strade, gli oggetti in un negozio, o la vista di un paesaggio, magari uno stormo di piccioni che vola nel cielo; l’affetto contraccambiato del micio tolto di strada e ora accudito con amore. Le confidenze con un collega o un vecchio amico ritrovato. E la cucina, ripescando un momento epico direi del recente immaginario nipponico: come non ricordare ad esempio il romanzo che ha lanciato nel mondo Banana Yoshimoto, Kitchen, il romanzo e poi film Le ricette della signora Toku, o la serie Gourmet disegnata da Jiro Taniguchi e scritta da Masayuki Qusumi. Preparare quei piatti tipici, le spezie, le misure, il riso, il pesce, e i profumi ovviamente, e poi il rito lento e prezioso del cibarsi da soli, o in compagnia. Ma non dimentichiamo anche l’importanza del cucinare per qualcuno, vera terapia per chi lo fa e quanto per lo riceve. Sono tutti ingredienti che Keigo Shinzo mescola e rimescola alternando momenti di vicinanza e tenerezza a litigi furiosi, abbandoni, disperazione, circondando i suoi personaggi di tutti gli eccessi della società contemporanea, tra indifferenza, pregiudizio, vessazione, frustrazione, condanna e solitudine. Non ne esce di certo il ritratto di una realtà desiderabile, il Giappone e gli adulti sembrano dunque tutt’altro che un sogno; la sordità sentimentale che circonda gli individui può frangersi soltanto in pochi casi, lasciandoci l’amaro in bocca e chiedendoci se non valga la pena di darsi da fare per tentare di lasciare alle generazioni future magari qualcosa di meglio. Ce la faremo? O meglio, ce la faranno? E i nostri protagonisti riusciranno ad essere felici, a sotterrare una volta per tutte i loro drammi, le loro impotenze, la loro cocciuta sofferenza? Ciascuno si ricucirà un proprio guscio e si limiterà a vivacchiarci dentro o ci si darà una mano per oltrepassare certe soglie? Vale la pena di vivere e di incamminarsi lungo le strade del mondo?
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.