2024-01-22
Gianluca Alimonti: «Avvisate le cassandre. I disastri naturali non sono in aumento»
Il fisico: «La crescita è apparente perché ora registriamo tutto. E mentre diamo la colpa all’uomo non facciamo prevenzione».Professor Gianluca Alimonti, fisico presso l’Istituto nazionale di fisica nucleare e docente a contratto di fondamenti di energetica presso l’università degli Studi di Milano, le chiedo se il numero dei disastri naturali sta effettivamente aumentando.«I cosiddetti disastri naturali, nella maggior parte dei casi, sono causati da eventi climatici estremi. Ma talvolta anche da terremoti o eruzioni vulcaniche. Nei miei studi si analizzano soprattutto le conseguenze sofferte dalla popolazione. L’evento climatico estremo può essere quindi la causa e il disastro naturale la conseguenza. Data una causa e dato un effetto possiamo però imparare a difenderci. Lo tsunami, ad esempio, può essere previsto». Precisazione didascalica ma doverosa...«Con il professor Luigi Mariani abbiamo condotto uno studio sui disastri naturali dall’unico database pubblico internazionale pubblicamente accessibile presso l’università di Lovanio, in Belgio, e che cataloga questi eventi dal 1900 a oggi. Consideri che ci sono dei requisiti minimi in merito alla gravità delle conseguenze perché un fatto disastroso possa essere registrato. Ad esempio, almeno dieci morti o 100 feriti o la richiesta di aiuti internazionali. E si conclude, ma senza alcun dubbio, che i disastri non stanno aumentando. C’è una crescita apparente, sino alla fine del secolo scorso. Ma tutti i ricercatori, non solo noi, concordano nel ricondurre l’aumento semplicemente a una migliore capacità di rendicontazione. Non a un incremento del numero degli eventi climatici estremi. Provi a collegarsi per scaricare il database e dovrà prima leggere un preciso avviso che rende noto come i dati inseriti prima del 2000 non sono ugualmente affidabili rispetto a quelli immessi dopo. Un warning inserito, me lo lasci dire, dopo la pubblicazione del nostro studio».Una soluzione di continuità!«E da quando i dati sono considerati affidabili, cioè dall’inizio di questo secolo, non si nota alcun aumento dei disastri naturali. Si potrebbe quasi sostenere che c’è una diminuzione. Ma non voglio spingermi a tanto».Si riferisce al numero degli eventi o alla gravità delle loro conseguenze?«Domanda pertinente. Mi riferisco al numero. Ma se poi andiamo a vedere le conseguenze in termini di numero di decessi annuo, notiamo senza bisogno di analisi approfondite che il numero delle vittime sia in costante decrescita. Attenzione. Non sto dicendo che ci siano meno disastri o che questi siano meno gravi. Magari, anzi quasi sicuramente, abbiamo imparato a difenderci meglio».Nel libro Dialoghi sul clima di Alberto Prestininzi lei ha curato un capitolo sugli eventi climatici estremi, soffermandosi sulle rilevazioni delle precipitazioni piovose in Italia...«Consideri che i lavori che prendo in considerazione sono di tipo osservativo e non previsionale. Hanno cioè una consistenza e una significatività maggiore rispetto ai secondi. Uno studio scientifico molto accurato condotto da Andrea Libertino del Politecnico di Torino, con alcuni suoi colleghi, esamina i dati di 5.000 stazioni pluviometriche italiane per il periodo 1915-2015. La quasi totalità di queste (dall’86% al 91%) non evidenzia trend. Una piccola minoranza (il 4-7%) riporta tendenze crescenti così come una porzione quasi uguale (5-7%) decrescenti. Un altro studio Ispra del 2021 riporta come non emergano segnali netti di variazione della frequenza e dell’intensità delle piogge. Infine, il Cnr rileva come dal 1915 al 2022 frane, inondazioni e decessi originati da questi eventi siano costanti nel tempo. Peraltro, sento dire cose strane...».Tipo?«Tipo, “negli ultimi tre o quattro anni il trend è aumentato”. Sono affermazioni statistiche senza senso perché una serie storica si basa su un’osservazione statistica in un periodo significativamente lungo. Quando mi dicono che aggiungendo a 100 anni altri tre cambia trend, significa non conoscere le elementari basi della statistica. Lei mi chiederà però, immagino, spiegazioni in merito agli ultimi eventi calamitosi registrati in Emilia-Romagna e Toscana».Mi legge nel pensiero...«Eventi preceduti nel tempo da altri di simile intensità. Ma ciò che veramente conta è la prevenzione e la cura del territorio. In Emilia-Romagna lo abbiamo visto in maniera spudorata. Vedevamo i canali di scolo dove ci crescevano dentro gli alberi».Lei da scienziato non si occupa delle cause del cambiamento climatico. Mi riferisco alla cosiddetta antropogenicità. Detta in parole più semplici, se è colpa dell’uomo o meno. Giusto?«Preferisco starne fuori. Non ho detto che non me ne interesso, sia chiaro. Mi sono fatto ovviamente delle convinzioni. La temperatura media del nostro pianeta è aumentata di circa un grado centigrado rispetto all’era preindustriale e questo è un dato osservativo. Ma quanta parte di questo aumento sia effettivamente dovuto all’attività dell’uomo rimane al momento non quantificabile con precisione. Il 10%? Il 50%? Il 100%? Io mi sono fatto la convinzione che l’emissione di gas serra abbia un impatto, ma che al momento sia molto difficile da quantificare. E questo è il punto. Perché vede, qualsiasi previsione è infattibile senza conoscere questo dato di incidenza».Questa è però la questione dirimente. Perché tutte le ricette - a mio parere straordinariamente improbabili - volte a contrastare la cosiddetta crisi climatica (ammesso e non concesso che di crisi si possa parlare) si basano sull’assunto che sia tutta responsabilità dell’uomo.«Questa sua osservazione mi dà lo spunto per evidenziare che esistono sostanzialmente due strategie alternative. La prima chiamiamola di prevenzione. La seconda di adattamento. La strategia di prevenzione parte dall’assunto che il riscaldamento osservato sia attribuibile all’attività dell’uomo. Cerco di ridurre al massimo le emissioni, nella convinzione o speranza che questo interrompa l’aumento medio delle temperature. La strategia è estremamente incerta ed estremamente costosa. Non sappiamo quali risultati possa portare. Perché le cause possono essere prevalentemente antropiche o prevalentemente naturali».Mentre la strategia di adattamento...«Con questo approccio cerco di prevenire l’insorgenza degli effetti. Mi spiego meglio. Abbiamo dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che in Italia non abbiamo un aumento delle precipitazioni. Ma se anche gli attivisti del clima avessero ragione nel sostenere questo, perché non spendere molto, ma molto meno e in maniera più focalizzata per l’adattamento?».Casse di espansione, argini rafforzati, canali di scolo ben puliti...«Oltretutto, questi investimenti di adattamento avrebbero valore anche se li facesse, per dire, solo l’Italia. Non dobbiamo aspettare che lo faccia la Cina. In quale direzione vogliamo andare? Verso le città a 30 chilometri orari e pannelli fotovoltaici ovunque, oppure spese molto più limitate e mirate ma sicuramente molto più efficaci ed efficienti? Io non avrei molti dubbi su cosa sia più razionale».Non stenterà a convincermi...«Ora però mi permetta di portare alla luce una scomoda verità».Ci mancherebbe, prego!«Con Luigi Mariani e altri due autori abbiamo pubblicato un articolo scientifico molto ben documentato e con quasi un centinaio di referenze bibliografiche tratte dalla letteratura scientifica più recente. Sottolineo che abbiamo analizzato serie storiche senza occuparci di previsioni. Il nostro ambito di osservazione sono gli eventi climatici estremi. Tranne che per le ondate di calore, per le quali si osserva un effettivo aumento della frequenza nel tempo, in merito agli altri eventi (inondazioni, cicloni, tornado, eccetera) si riscontra una tendenza piatta. In altre parole, gli eventi climatici estremi non stanno aumentando, così come i decessi e i danni economici legati agli stessi. Come autori ci siamo permessi di esprimere un’opinione fondata: la crisi climatica di cui parlano media e buona parte della politica, non è ancora evidente. Ebbene, per il solo fatto di avere effettuato questa affermazione, l’editore ha poi deciso di ritirare lo studio senza - e attenzione che sto per dirle una cosa gravissima - che fosse stata riscontrata nessuna inesattezza d errore da un punto di vista scientifico. Ma le dirò di più...».Ancora? «Le nostre conclusioni erano assolutamente in linea con le quasi 2.500 pagine dell’ultimo rapporto Ipcc (il comitato intergovernativo permanente delle Nazioni Unite, che studia gli effetti e le cause del cambiamento climatico, ndr) uscito nel 2022 e che cita l’espressione “crisi climatica” solo una volta, descrivendola come definizione mediatica introdotta a partire dal 2019: evidentemente una scomoda verità da dover nascondere».
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