2022-07-24
I giallorossi divorziano tra gli insulti però in Sicilia si sposano di nascosto
Giuseppe Conte ed Enrico Letta (Ansa)
Enrico Letta e Giuseppe Conte ripudiano la loro unione e scatenano i peones. Beatrice Lorenzin: «È colpa del M5s». Danilo Toninelli: «Il Pd getta la maschera». Ma le primarie nell’isola dicono l’opposto. Nicola Zingaretti intanto si candida da governatore.Dalle 8 di ieri mattina gli attivisti pentastellati e dem sono stati chiamati a scegliere il candidato governatore siciliano per il bizzarro contenitore del fronte progressista. La Sicilia è da sempre considerata dai partiti un laboratorio politico dove mettere in campo alleanze sperimentali. Questa volta però si è andati oltre. E a suggellare la saldatura tra Partito democratico e Movimento 5 stelle non ci sono idee o progetti. La combine sembra fondata sull’ipocrisia.Mentre andiamo in stampa sono ancora in lizza Caterina Chinnici (europarlamentare e figlia del giudice ucciso dalle cosche) del Pd, Claudio Fava per i Centopassi (una civica con chiaro riferimento ai cento passi che separavano la casa di Peppino Impastato da quello del mandante del suo omicidio, don Tano Badalamenti), e Barbara Floridia (docente e sottosegretario al ministero dell’Istruzione nel governo Draghi) del M5s. Al termine delle iscrizioni per partecipare al voto si sono contate 43.004 richieste. Alle 18 l’affluenza era al 65 per cento. E dopo quelle che sembravano insanabili fratture tra dem e pentastellati che non riuscivano più a convivere nel governo Draghi, con il segretario Enrico Letta ammantato in proclami solenni («Noi siamo dalla parte giusta della storia») con i quali ha tentato di cancellare le tracce della fallimentare infatuazione dem per Giuseppe Conte, si capirà se ne verrà fuori un candidato unitario. O se il fronte progressista si scioglierà come neve al sole. Intanto si registra l’imbarazzo di Peppe Provenzano, vicesegretario dem, siciliano di San Cataldo e già ministro per il Sud con il governo Conte: «È una decisione del Pd siciliano, e bisogna distinguere il livello regionale da quello nazionale, anche per rispetto delle oltre 40.000 persone che si sono preregistrate». Ma è troppo facile scaricare sul livello locale. Qui, stando alle dichiarazioni lanciate urbi et orbi dal segretario locale, Anthony Barbagallo, i giallorossi di Sicilia sarebbero «uniti e compatti per scalzare il centrodestra di Nello Musumeci». Ma già il dato di registrazione alle primarie, rispetto al 2017, lascia immaginare come l’abbiano presa i simpatizzanti dem. All’epoca contavano oltre 100.000 iscritti. E se da un lato, in quell’occasione si votava per Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Michele Emiliano, dall’altro, anche prendendo i dati delle ultime primarie per le regionali, si registra un flop clamoroso: nel 2005 la spuntò Rita borsellino e alle urne per le primarie andarono in oltre 180.000. Ora gli iscritti sono meno di un quarto. Compresi gli attivisti pentastellati. E con Conte che continua a rimarcare le differenze. Ieri, per esempio, rivolgendosi a Letta, ha affermato: «È vero, Enrico. L’Italia è stata tradita quando in Aula il premier e il centrodestra, anziché cogliere l’occasione per approfondire l’agenda sociale presentata dal M5s, l’hanno respinta umiliando tutti gli italiani che attendono risposte. L’agenda Draghi da voi invocata ha ben poco a che fare con i temi della giustizia sociale e della tutela ambientale, che sono stati respinti e umiliati sprezzantemente».Ma ha anche ammonito: «Leggo dichiarazioni arroganti da parte del Pd. Non accettiamo la politica dei due forni. Quel che vale a Roma vale a Palermo». La controreplica è arrivata dalla dem Beatrice Lorenzin, che ha imputato la responsabilità della caduta del governo ai 5 stelle. Ma la bagarre, in barba alle primarie siciliane, è continuata per tutta la giornata. Il senatore Danilo Toninelli, per esempio, se n’è uscito con un «il Pd ha gettato la maschera. Noi stiamo con gli italiani in difficoltà e continueremo a lottare per loro, da soli, contro tutti». Da soli, ma non in Sicilia. Mentre il ministro della Difesa dem, Lorenzo Guerini, attacca: «Chi è stato protagonista della caduta del governo non può essere un interlocutore del Pd». Mentre al centro Renzi lancia l’idea del «polo del buonsenso» per contrastare i populisti». E Clemente Mastella pensa che «l’unica scelta sensata per non far vincere il centrodestra sia mettersi tutti insieme, da Luigi Di Maio a Renzi a Mara Carfagna». Sa che dal centrosinistra non riceverà una chiamata: «La loro cultura dell’inclusione rasenta il razzismo politico. Questo porterà al funerale del centrosinistra, al quale non spargerò una lacrima».Mastella, poi, sospetta che Carlo Calenda con la sua Azione pensi «di fare la lista con il Pd, e allora la facesse. La verità è che vuole fare il successore di Letta». Da Azione il vicesegretario, Andrea Mazziotti, pensa ancora al «programma che stava portando avanti il governo Draghi». E chiarisce: «Le nostre posizioni sono opposte a quelle di populisti e sovranisti, di 5 stelle, Fdi, Lega e ormai anche Forza Italia, che è diventata una succursale della Lega». Poi annuncia: «Stiamo lavorando al programma con +Europa». D’altra parte anche Calenda aveva precisato: «Non entriamo in cartelli elettorali che vanno dall’estrema sinistra a Di Maio». Lunedì parteciperà a una conferenza stampa con Emma Bonino, Benedetto Della Vedova e Matteo Richetti. Un’altra accozzaglia. Ma «liberal riformista». «Con Letta per un’Italia semplice per le imprese e le persone», scrive invece su Facebook il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, «siamo in campagna elettorale. Ora è il tempo, per tutte e tutti, di passione e proposte». In molti lo danno già per candidato al Parlamento. L’ex segretario dem non è ineleggibile ma, una volta eletto, diventerebbe incompatibile. E avrà, in quel caso, 30 giorn per scegliere se restare sulla sua poltrona da governatore o se scegliere lo scranno romano.