2022-06-22
Già finito il blabla sul salario minimo. Mentre si fanno contratti di 1 giorno
Nel primo trimestre 2022 il 9% degli assunti ha sottoscritto rapporti di lavoro di 24 ore. Solo l’1% ha firmato per un anno. Il dibattito è durato quanto uno slogan: saltato l’incontro tra Confindustria, sindacati e governo.Ieri Istat, Inps, Inail, Anpal e ministero del Lavoro hanno diffuso i dati sull’occupazione del primo trimestre di quest’anno. Li hanno confrontati con l’ultimo del 2021. A una visione orizzontale i numeri registrano una crescita. Ci sono più occupati anche rispetto al primo trimestre del 2021. Le attivazioni di rapporti di lavoro alle dipendenze sono state 2 milioni e 687.000 (+1,5% in tre mesi) e le cessazioni 2 milioni e 504.000 (+3,7%). L’occupazione dipendente è in aumento anche su base tendenziale, in termini di occupati (+4,6% in un anno) e di posizioni lavorative dei settori dell’industria e dei servizi (+6,1%). Le posizioni lavorative aumentano nei dati delle comunicazioni all’Inail (+671.000 rispetto al primo trimestre del 2021), in tutti i settori di attività economica, con l’unica eccezione di quello agricolo. «Tale dinamica positiva trova conferma nei dati Inps-Uniemens (+763.000 posizioni in un anno), con differenze», si legge nel testo diffuso dall’Istat, «sostanzialmente imputabili al diverso perimetro di osservazione». Che prosegue con un paragrafo dedicato al lavoro temporaneo a somministrazione o chiamata. «Ancora più marcata la dinamica positiva delle posizioni a tempo determinato, tanto nei dati delle comunicazioni Inail (+403.000 posizioni;), quanto in quelli di Inps-Uniemens riferiti alle sole imprese private (+564.000 posizioni) che comprendono il lavoro in somministrazione e a chiamata. Nel primo trimestre 2022 il numero dei lavoratori in somministrazione è arrivato a pesare 471.000 unità (+22% rispetto al primo trimestre 2021)», si legge sempre nel report. Anche il numero dei lavoratori a chiamata o intermittenti continua a crescere in modo sostenuto (+97.000, cioè +83% rispetto al corrispondente trimestre del 2021), a ritmi più intensi dello scorso trimestre, attestandosi a 215.000 unità. I due gruppi assieme valgono quasi 700.000 persone: tutte, per le statistiche, risultano occupate. Se poi si vanno a vedere i numeri in verticale e non ci si ferma sull’aspetto quantitativo, si scopre che il 9% degli assunti sottoscrive contratti di un solo giorno. Il 10% non supera la settimana e il 27% si ferma al semestre. I fortunati che possono godere di un contratto annuale sono solo l’uno per cento. Nel settore degli alberghi e della ristorazione il 18% viene assunto per la singola giornata e, ovviamente, si sale al 58% nel comparto delle fiere e della comunicazione. Nel trimestre in considerazione, il settore agricolo appare stabile, nel senso che la maggior parte dei contratti è oltre i sei mesi. Questo perché, per motivi di stagionalità, risente dei picchi soltanto nel periodo estivo. Al di là però dei dettagli, il mondo del lavoro appare sempre più frammentato e povero. Duole vedere come la politica abbia cavalcato per una settimana lo slogan del salario minimo per poi abbandonarlo per lasciar spazio alle diatribe elettorali. Ricordiamo che Confindustria, sigle sindacali e Mario Draghi si sarebbero dovuti incontrare due settimane fa. Nulla. E a quanto si vede dall’agenda di quella in corso non è previsto alcun meeting. Abbiamo spiegato a lungo i rischi del salario minimo. Abbiamo anche evidenziato quali sarebbero i costi delle aziende. Applicando anche in Italia un salario minimo legale di 9 euro lordi all’ora, i beneficiari sarebbero il 18% dei dipendenti a tempo pieno e il 29% di coloro che sono assunti a tempo parziale. La spesa complessiva a carico delle aziende sarebbe di 6,7 miliardi aggiuntivi, tra imposte e oneri. E qui saremmo di fronte al principale incaglio. Con un cuneo fiscale insostenibile come l’attuale, l’effetto sarebbe quello di spalmare sulle aziende meno grandi una nuova tassa. Difficilmente ammortizzabile. Mentre il secondo problema sarebbe quello di intervenire su un perimetro già comunque regolarizzato senza offrire garanzia a chi sta fuori da quel periodo. Per capire, il salario minimo consentirebbe allo Stato di recuperare gran parte dell’evasione contributiva. Ma al tempo stesso si creerebbe una nuova rigidità, che rischierebbe a sua volta di avviare una leva negativa sul numero degli occupati a tempo pieno. Esattamente il problema che affligge il nostro Paese. Un tavolo sul salario minimo rischierebbe di portarci sulla strada sbagliata, ma - e ciò va ammesso - avrebbe il pregio di rimettere il tema del lavoro un po’ al centro dell’agenda politica. Invece, siamo di nuovo al silenzio. Il ministro della cassa integrazione, Andrea Orlando, è preoccupato dei sindacati. Pensa di legare per legge rappresentanza e trattativa per evitare che le aziende e i lavoratori facciano da sé. Obiettivo è legare le mani anche alle Pmi. Tanto se poi il mercato le riterrà non più flessibili o concorrenziali c’è sempre il reddito di cittadinanza a tappare i buchi e gli errori della politica.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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