2020-08-20
Già fatti a pezzi i decreti di Salvini. Riparte il business dell’accoglienza
Luciana Lamorgese annuncia di voler smontare le norme sulla sicurezza. Il cambio di rotta, in realtà, è già in corso: i fondi per le onlus sono aumentati e il Viminale ha appena prorogato 500 nuovi progetti da quasi 400 milioni.Massì, tanto il Parlamento è solo un optional: quando fa comodo le leggi si possono cambiare senza passare dalle Camere. Basta aggirarle o, semplicemente, non applicarle. A Ferragosto Luciana Lamorgese ha annunciato che il nuovo decreto migranti, cioè il testo che dovrebbe sostituire i decreti sicurezza salviniani, sarà esaminato a settembre. Sul cambiamento di nome il ministro dell'Interno ha insistito particolarmente: decreto immigrazione, non sicurezza. «Non abbiamo toccato gli aspetti della sicurezza ma la parte immigrazione, andando a recepire le osservazioni della presidenza della Repubblica», ha detto la Lamorgese.Il punto è che, in realtà, i decreti sicurezza sono già stati fatti a pezzi e sostituiti da... un caos totale. Nei giorni scorsi, il ministro ha illustrato alcune delle modifiche che intende fare al meccanismo di accoglienza. Una riguarda quello che un tempo si chiamava Sprar, cioè il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Attualmente si chiama Siproimi, e prossimamente verrà ribattezzato Sai, cioè semplicemente Sistema di accoglienza. Ciò significa, con tutta probabilità, che la distinzione fra profughi e richiedenti asilo diventerà meno netta, e si creerà un solo grande calderone accoglientista.La Lamorgese, tuttavia, ha già fatto capire che aria tira. Riguardo al Sai è stata chiara: «Prevediamo che i Comuni se ne facciano carico ma tenendo conto delle risorse economiche disponibili. Fatti i calcoli, ce ne vogliono di ingenti, lo vedremo a regime nel tempo, ci si arriverà gradualmente». In realtà, i denari - e tanti - sono già stati stanziati. Uno degli obiettivi dei decreti sicurezza era quello di mettere un freno al business dell'accoglienza, tagliando i fondi pubblici da destinare a cooperative, onlus e altre istituzioni «umanitarie». Ma il governo giallorosso su questo aspetto è già intervenuto, modificando radicalmente la situazione. Le norme salviniane avevano ridotto i soldi erogati dallo Stato per ciascun migrante accolto da 35 a 19 euro al giorno. Come noto, dopo il passaggio delle forbici molte coop hanno deciso di non partecipare ai bandi: non c'era più nulla da guadagnare. Ebbene, a febbraio la Lamorgese ha costituito una cabina di regia assieme all'Anac e dopo qualche riunione ha emanato una circolare in cui si spiegava che i fondi sarebbero stati di nuovo aumentati, fino a 23 o 26 euro, così da consentire ai professionisti dell'accoglienza un nuovo margine di guadagno.Già così si assesta una bella botta ai decreti salviniani. Il fatto è che, in questo modo, si danneggia pure l'Italia. Nei giorni scorsi, la stessa Lamorgese, assieme al collega Luigi Di Maio, ha concluso un accordo con il governo tunisino che prevede il pagamento all'esecutivo nordafricano di 11 milioni di euro. I giallorossi si sono molto vantati del grande successo ottenuto. Ma sapete da dove vengono quei soldi? Semplice: sono frutto dei risparmi prodotti dal decreto sicurezza di Salvini. In pratica la nuova inquilina del Viminale ha utilizzato i denari avanzati per pagare la Tunisia (la quale nel frattempo continua a spedirci gente), e come se non bastasse ha emesso una circolare che non permetterà più di risparmiare alcunché.Non è tutto. Il 10 agosto scorso è arrivata un'altra bella notizia, ovviamente passata sotto silenzio dai più. Il Viminale ha autorizzato la prosecuzione di centinaia di progetti per richiedenti asilo e rifugiati a partire dal primo gennaio 2021. «Per garantire la continuità dei servizi di accoglienza da parte degli enti locali che aderiscono alla rete Siproimi», si legge nel comunicato ufficiale, «un'apposita commissione istituita presso il dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione ha valutato 400 progetti Siproimi scaduti il 31 dicembre 2019 e 99 scaduti il 30 giugno 2020. Tali progetti sono stati, quindi, ammessi al finanziamento per la prosecuzione dell'attività rispettivamente, per il periodo 1° gennaio 2021-31 dicembre 2022 e per il periodo 1° gennaio 2021-30 giugno 2023». Tradotto dal burocratese, significa che quasi 500 progetti scaduti alla fine del 2019 o il 30 giugno 2020 sono stati rifinanziati. Quanto costa tutto ciò? Per l'esattezza 375.445.844,01 euro. Niente male eh?Chiaramente questa è soltanto una parte dei costi che l'Italia dovrà sostenere per garantire l'accoglienza. Dobbiamo infatti tenere conto anche dei denari spesi per mantenere tutti gli stranieri sbarcati qui negli ultimi mesi, poi ci sono le due navi quarantena reperite dal governo: la Azzurra e la Aurelia, quest'ultima operativa da ieri. Robetta da circa due milioni di euro al mese ciascuna. Nel frattempo la nave Astral, di Open Arms, è salpata verso il Mediterraneo centrale dove, nelle prossime settimane, sarà operativa per una missione di «osservazione e denuncia».Vediamo allora di fare un breve riepilogo. Gli stranieri sbarcati sulle nostre coste dall'inizio dell'anno sono 16.712, contro i 4.416 dello stesso periodo dell'anno scorso. Vuol dire che entrano tutti, dai barchini alle Ong. I fondi giornalieri per l'accoglienza, ridotti dalla Lega, sono stati di nuovo aumentati. I denari risparmiati con i tagli salviniani vengono impiegati per pagare la Tunisia. Il governo nel frattempo ha rinnovato 499 progetti per l'accoglienza spendendo oltre 375 milioni di euro. E mentre la democratica Spagna annuncia che costruirà un muro di 10 metri (il più alto del mondo) tra Ceuta e Melilla per fermare gli ingressi irregolari, noi mettiamo a disposizione costosissime navi quarantena e tendopoli nel ridicolo tentativo di contenere eventuali contagi.I decreti sicurezza sono ancora in vigore, ma di fatto sono già stati abrogati, e i risultati già si vedono. Chissà, forse però a settembre il governo riuscirà a peggiorare ulteriormente la situazione...
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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