2018-08-15
Ore 11.50: un fulmine, Ponte Morandi crolla e taglia Genova in due. 35 morti, c’è un bimbo
Ansa
Genova, 14 agosto 2018, alle 11.50 ponte Morandi crolla. Sotto la pioggia battente che da ore flagella la città, il tratto del viadotto autostradale Polcevera, nel punto in cui sovrasta l'omonimo torrente, la ferrovia e il quartiere industriale, si schianta al suolo all'improvviso. Un boato enorme e poi il silenzio.
Dopo un volo di 45 metri circa 200 metri del viadotto collassano sulla strada sottostante. Trascinano nel vuoto auto e mezzi pesanti fermi in colonna, che stavano attraversando il viadotto, e seppelliscono le persone e i mezzi che passavano sotto. Il bilancio delle vittime è altissimo e ancora non definitivo. Sono 35 quelle accertate, tra cui un bambino di appena 10 anni, 16 i feriti, di cui tre in codice rosso e tre in codice giallo, una decina di dispersi e tanti altri in stato di choc.
Ponte Morandi non è un viadotto qualsiasi. È un pezzo della città. Una strada che i genovesi attraversano ogni giorno. Lungo più di un chilometro e sospeso nel vuoto, la sua sagoma inconfondibile fa da cerniera tra le due metà del capoluogo ligure e attraversa un intero quartiere. Insieme alla sopraelevata unisce la zona ovest al centro, costeggiando il porto. Sopra al ponte, oltre al traffico autostradale di chi punta verso Milano, passano migliaia di genovesi, che usano quel tratto come tangenziale. Sotto ci sono abitazioni, magazzini, aziende. E c'è via Perlasca, frequentatissima.
Il tratto che si è sgretolato si è sganciato dal resto del ponte con un cedimento secco. È finito soprattutto nel torrente, ma i detriti hanno travolto i mezzi di passaggio sulla strada che lo costeggia: è proprio tra chi si trovava sopra e sotto al viadotto che si registrano le vittime finora accertate. Auto e camion volati giù insieme all'ammasso di cemento si sono polverizzati a terra inghiottiti da una montagna di macerie. E per chi passava sotto la sorte è stata identica. Tra gli edifici colpiti ci sono quelli del centro Amiu, l'azienda ambientale del Comune, che ha gli uffici proprio di fianco al ponte. Una parte del fabbricato risulta distrutta, due furgoni e un camion sono stati schiacciati.
Eppure poteva andare peggio: esattamente sotto al viadotto, in corrispondenza del tratto rimasto in piedi, ci sono enormi palazzoni, con centinaia di famiglie residenti. Se il crollo avesse coinvolto anche quel tratto sarebbe stata un'ecatombe. Nel pomeriggio di ieri, infatti, tutte le abitazioni della zona sono state evacuate per timore di nuovi cedimenti e sono decine le famiglie che non possono far ritorno nelle proprie abitazioni, alcune delle quali ospitate in strutture del Comune.
I soccorsi sono scattati subito. A mani nude per tutta la giornata 250 tra Vigili del fuoco e soccorritori hanno lavorato tra le macerie, assistiti dalle forze dell'ordine e coordinati dalla Protezione civile. All'ospedale Villa Scassi di Genova, dove è subito scattata l'allerta, tre persone sono state ricoverate in codice rosso. Hanno fratture e schiacciamenti a livello del torace, traumi cranici e alla colonna vertebrale. Si trovavano alla guida dei loro mezzi e sono stati travolti. Tanti anche i traumatizzati psichici accompagnati in ospedale dai soccorritori, soprattutto donne e bambini sotto choc dopo aver assistito all'evento. Le loro condizioni erano tali che, nel pomeriggio, è stata allestita per l'occasione un'unità psicologica e psichiatrica dedicata.
Anche la viabilità cittadina è andata in tilt: autostrada chiusa, con ripercussioni fino al confine con la Francia dove i mezzi pesanti sono stati fermati alla frontiera, mentre i detriti hanno ostruito per ore le vie circostanti il cratere impedendo il deflusso delle auto verso Val Polcevera. Eppure, nonostante gli appelli delle autorità a tenersi a distanza, tanti genovesi si sono mossi verso la zona del disastro, per vedere con i propri occhi quello che sembrava impossibile fino a poco prima. Sotto il ponte passa anche la ferrovia, che però non è stata colpita dal crollo. Il traffico è rimasto, comunque, bloccato fino alle 14 e sul nodo di Genova si sono registrati pesanti rallentamenti.
Sulle cause del crollo non c'è ancora nessuna ipotesi precisa. Ponte Morandi è un'opera inaugurata nel 1967, da sempre oggetto di importanti manutenzioni e bersaglio di critiche. In questo periodo «erano in corso lavori di consolidamento della soletta del viadotto», ha fatto sapere ieri in una nota la società Autostrade, precisando che la sicurezza del ponte non era considerata a rischio. «I lavori e lo stato del viadotto erano sottoposti a costante attività di osservazione e vigilanza», continua la società, garantendo che «le cause del crollo saranno oggetto di approfondita analisi».
Alcuni testimoni hanno raccontato che un fulmine avrebbe colpito il ponte pochi istanti prima del crollo. «Erano da poco passate le 11,30 quando abbiamo visto il fulmine colpire un pilone», hanno spiegato all'Ansa «e il ponte è venuto giù». L'ipotesi del fulmine «non è stata confermata né accertata nel corso del comitato operativo», ha precisato in serata la Protezione civile.
Christian: «Ho inchiodato in tempo». Davide è precipitato, però è vivo
L'Italia non dimenticherà mai quel suo grido disperato: «Oddio, oddio, oddio, oh Dio Santo». Davide Di Giorgio è un ragazzone allegro ed estroverso. Lavora all'Ansaldo Energia ed è appassionato di teatro. Davide ha ripreso il crollo, ha pubblicato il video su Facebook: 26 secondi di puro terrore. I bagliori dei cavi dell'energia elettrica tranciati, il ponte che si sfarina e viene giù, quelle urla disperate, sono già parte della storia dei più immani disastri del nostro paese. «Mi sento male», dice Davide prima di interrompere la ripresa. Genova spezzata, Genova terrorizzata.
Il pronto soccorso dell'ospedale Villa Scassi di Sampierdarena, quello più vicino al luogo della tragedia, accoglie i feriti ma anche decine di persone in stato di choc. Uomini e donne che hanno visto con i loro occhi il ponte crollare, altri che erano passati di lì cinque minuti prima che venisse giù tutto, o che si sono fermati giusto in tempo: sono vivi per miracolo e hanno il terrore negli occhi. Nel pronto soccorso viene allestita una unità di supporto psicologico, l'impatto emotivo per i genovesi è stato terribile.
La differenza tra la vita e la morte si misura in secondi e in centimetri: pochissimi quelli che separavano due camion che stavano percorrendo il ponte Morandi, uno dietro l'altro, quando si è scatenato l'inferno. Quello dietro, verde, è rimasto sul ciglio della voragine che si è aperta davanti agli occhi dell'autista, rimasto vivo. Quello davanti, bianco con una scritta rossa, è caduto giù, e per il conducente è stata la fine.
Chi non crede ai miracoli, ascolti la testimonianza di Davide. Il ragazzo è volato giù insieme alla sua auto. Dall'ambulanza racconta la sua incredibile storia al Secolo XIX: «Sono andato giù col ponte, non so cosa mi ha salvato. Sono finito di sotto, è caduto tutto proprio mentre passavo. Ora sono in ambulanza, sono uscito dall'auto con le mie gambe». La vigilia di Ferragosto è un momento di svago, ma la morte non va in vacanza. Due famiglie uguali: papà, mamma, un bambino, l'autoradio accesa e tanta voglia di divertirsi. Una delle due famiglie non c'è più: è rimasta schiacciata sotto le macerie, i soccorritori hanno visto i corpi dilaniati dalle lamiere accartocciate, schiacciati da tonnellate di maledetto calcestruzzo.
«All'interno dell'auto», raccontano i Vigili del fuoco, «c'erano anche ombrelloni e valigie». Un altro papà, un'altra mamma e un altro bambino, invece, sono vivi. Questione di secondi, di centimetri: «Eravamo stati al centro commerciale», racconta l'uomo al Secolo XIX, «e stavamo tornando da corso Perrone quando abbiamo sentito un tuono fortissimo e abbiamo visto crollare tutto. Dietro di me c'era una macchina e avevo paura di non riuscire a fare retromarcia. Per fortuna quello dietro di me si è spostato e siamo andati in retromarcia per un centinaio di metri, mentre veniva giù di tutto. Abbiamo mollato la macchina. Mia moglie», aggiunge, «ha preso il bambino e siamo scappati verso Cornigliano. Tremo ancora, è stato terribile».
Decine di sopravvissuti raccontano lo stesso film dell'orrore. Protagonista, la retromarcia: mentre il ponte si sbriciolava davanti a loro, hanno tentato di ingranarla, prima di rendersi conto che la strada era bloccata e l'unica speranza era fuggire a piedi. Christian ha smesso di fumare da dieci anni, ma chiede una sigaretta. «Sono un miracolato», dice a una cronista dell'Ansa, «ero in macchina a 100 metri dal punto del crollo quando ho sentito tremare la strada sotto di me e mi sono fermato sulla corsia di sinistra. Ma non so dire perché l'ho fatto, subito dopo ho visto il ponte che si sbriciolava. Sono sceso dalla macchina e mi sono messo a correre più che potevo», aggiunge, «non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Una cosa da fine del mondo, mi rendo conto adesso di cosa ho scampato. La strada dondolava tutta, io sono scappato, urlavo: correte, correte e tutti scappavano. Ho visto il camion bianco in bilico, poi… è andato giù. L'autista», chiede, «sarà morto, vero? Ci sono morti, vero?».
Lo chiede a tutti, Christian: «Quanti morti ci sono?». Nessuno ha il coraggio di rispondergli. Lui si volta, guarda la parte di ponte rimasta in piedi, sospesa tra la vita e la morte, e ripete: «Cosa ho scampato». Gianluca, 28 anni, autotrasportatore, diventerà papà tra un mese. La sua compagna, Giulia, arriva al policlinico San Martino, dove Gianluca è stato ricoverato: «Il mio compagno», racconta Giulia, «è rimasto appeso al suo camion e io penso che sia rimasto attaccato alla vita per amore del suo bambino che sta arrivando. Ora lo stanno operando, ha molte fratture ma non è in pericolo di vita. Del suo collega non si hanno ancora notizie. Non so di più», aggiunge Giulia, «perchè non l'ho ancora visto e non vedo l'ora di poterlo abbracciare». A pochi metri, un camionista racconta l'incubo al Corriere Tv: «Ero dentro al camion», dice l'uomo, «ho sentito un boato e sono volato via. Sono andato a urtare contro un muro e poi sono caduto per una decina di metri. Mi sembrava di volare, non ricordo altro. Ho solo una slogatura e una contusione all'anca, penso sia stato un miracolo».
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Collassano 200 metri del cavalcavia autostradale, i veicoli cadono nel vuoto e sulle case. I testimoni parlano di un lampo.Christian: «Ho inchiodato in tempo». Davide è precipitato, però è vivo. Il racconto di chi ha visto la morte in faccia. Un papà sotto choc: «La strada spariva e temevo che non sarei riuscito a fare retromarcia». Camionista miracolato: «Sono volato via, ho solo una slogatura».Lo speciale contiene due articoli. Genova, 14 agosto 2018, alle 11.50 ponte Morandi crolla. Sotto la pioggia battente che da ore flagella la città, il tratto del viadotto autostradale Polcevera, nel punto in cui sovrasta l'omonimo torrente, la ferrovia e il quartiere industriale, si schianta al suolo all'improvviso. Un boato enorme e poi il silenzio. Dopo un volo di 45 metri circa 200 metri del viadotto collassano sulla strada sottostante. Trascinano nel vuoto auto e mezzi pesanti fermi in colonna, che stavano attraversando il viadotto, e seppelliscono le persone e i mezzi che passavano sotto. Il bilancio delle vittime è altissimo e ancora non definitivo. Sono 35 quelle accertate, tra cui un bambino di appena 10 anni, 16 i feriti, di cui tre in codice rosso e tre in codice giallo, una decina di dispersi e tanti altri in stato di choc. Ponte Morandi non è un viadotto qualsiasi. È un pezzo della città. Una strada che i genovesi attraversano ogni giorno. Lungo più di un chilometro e sospeso nel vuoto, la sua sagoma inconfondibile fa da cerniera tra le due metà del capoluogo ligure e attraversa un intero quartiere. Insieme alla sopraelevata unisce la zona ovest al centro, costeggiando il porto. Sopra al ponte, oltre al traffico autostradale di chi punta verso Milano, passano migliaia di genovesi, che usano quel tratto come tangenziale. Sotto ci sono abitazioni, magazzini, aziende. E c'è via Perlasca, frequentatissima. Il tratto che si è sgretolato si è sganciato dal resto del ponte con un cedimento secco. È finito soprattutto nel torrente, ma i detriti hanno travolto i mezzi di passaggio sulla strada che lo costeggia: è proprio tra chi si trovava sopra e sotto al viadotto che si registrano le vittime finora accertate. Auto e camion volati giù insieme all'ammasso di cemento si sono polverizzati a terra inghiottiti da una montagna di macerie. E per chi passava sotto la sorte è stata identica. Tra gli edifici colpiti ci sono quelli del centro Amiu, l'azienda ambientale del Comune, che ha gli uffici proprio di fianco al ponte. Una parte del fabbricato risulta distrutta, due furgoni e un camion sono stati schiacciati. Eppure poteva andare peggio: esattamente sotto al viadotto, in corrispondenza del tratto rimasto in piedi, ci sono enormi palazzoni, con centinaia di famiglie residenti. Se il crollo avesse coinvolto anche quel tratto sarebbe stata un'ecatombe. Nel pomeriggio di ieri, infatti, tutte le abitazioni della zona sono state evacuate per timore di nuovi cedimenti e sono decine le famiglie che non possono far ritorno nelle proprie abitazioni, alcune delle quali ospitate in strutture del Comune. I soccorsi sono scattati subito. A mani nude per tutta la giornata 250 tra Vigili del fuoco e soccorritori hanno lavorato tra le macerie, assistiti dalle forze dell'ordine e coordinati dalla Protezione civile. All'ospedale Villa Scassi di Genova, dove è subito scattata l'allerta, tre persone sono state ricoverate in codice rosso. Hanno fratture e schiacciamenti a livello del torace, traumi cranici e alla colonna vertebrale. Si trovavano alla guida dei loro mezzi e sono stati travolti. Tanti anche i traumatizzati psichici accompagnati in ospedale dai soccorritori, soprattutto donne e bambini sotto choc dopo aver assistito all'evento. Le loro condizioni erano tali che, nel pomeriggio, è stata allestita per l'occasione un'unità psicologica e psichiatrica dedicata. Anche la viabilità cittadina è andata in tilt: autostrada chiusa, con ripercussioni fino al confine con la Francia dove i mezzi pesanti sono stati fermati alla frontiera, mentre i detriti hanno ostruito per ore le vie circostanti il cratere impedendo il deflusso delle auto verso Val Polcevera. Eppure, nonostante gli appelli delle autorità a tenersi a distanza, tanti genovesi si sono mossi verso la zona del disastro, per vedere con i propri occhi quello che sembrava impossibile fino a poco prima. Sotto il ponte passa anche la ferrovia, che però non è stata colpita dal crollo. Il traffico è rimasto, comunque, bloccato fino alle 14 e sul nodo di Genova si sono registrati pesanti rallentamenti. Sulle cause del crollo non c'è ancora nessuna ipotesi precisa. Ponte Morandi è un'opera inaugurata nel 1967, da sempre oggetto di importanti manutenzioni e bersaglio di critiche. In questo periodo «erano in corso lavori di consolidamento della soletta del viadotto», ha fatto sapere ieri in una nota la società Autostrade, precisando che la sicurezza del ponte non era considerata a rischio. «I lavori e lo stato del viadotto erano sottoposti a costante attività di osservazione e vigilanza», continua la società, garantendo che «le cause del crollo saranno oggetto di approfondita analisi». Alcuni testimoni hanno raccontato che un fulmine avrebbe colpito il ponte pochi istanti prima del crollo. «Erano da poco passate le 11,30 quando abbiamo visto il fulmine colpire un pilone», hanno spiegato all'Ansa «e il ponte è venuto giù». L'ipotesi del fulmine «non è stata confermata né accertata nel corso del comitato operativo», ha precisato in serata la Protezione civile. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/genova-crollo-2595891904.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="christian-ho-inchiodato-in-tempo-davide-e-precipitato-pero-e-vivo" data-post-id="2595891904" data-published-at="1765504647" data-use-pagination="False"> Christian: «Ho inchiodato in tempo». Davide è precipitato, però è vivo L'Italia non dimenticherà mai quel suo grido disperato: «Oddio, oddio, oddio, oh Dio Santo». Davide Di Giorgio è un ragazzone allegro ed estroverso. Lavora all'Ansaldo Energia ed è appassionato di teatro. Davide ha ripreso il crollo, ha pubblicato il video su Facebook: 26 secondi di puro terrore. I bagliori dei cavi dell'energia elettrica tranciati, il ponte che si sfarina e viene giù, quelle urla disperate, sono già parte della storia dei più immani disastri del nostro paese. «Mi sento male», dice Davide prima di interrompere la ripresa. Genova spezzata, Genova terrorizzata. Il pronto soccorso dell'ospedale Villa Scassi di Sampierdarena, quello più vicino al luogo della tragedia, accoglie i feriti ma anche decine di persone in stato di choc. Uomini e donne che hanno visto con i loro occhi il ponte crollare, altri che erano passati di lì cinque minuti prima che venisse giù tutto, o che si sono fermati giusto in tempo: sono vivi per miracolo e hanno il terrore negli occhi. Nel pronto soccorso viene allestita una unità di supporto psicologico, l'impatto emotivo per i genovesi è stato terribile. La differenza tra la vita e la morte si misura in secondi e in centimetri: pochissimi quelli che separavano due camion che stavano percorrendo il ponte Morandi, uno dietro l'altro, quando si è scatenato l'inferno. Quello dietro, verde, è rimasto sul ciglio della voragine che si è aperta davanti agli occhi dell'autista, rimasto vivo. Quello davanti, bianco con una scritta rossa, è caduto giù, e per il conducente è stata la fine. Chi non crede ai miracoli, ascolti la testimonianza di Davide. Il ragazzo è volato giù insieme alla sua auto. Dall'ambulanza racconta la sua incredibile storia al Secolo XIX: «Sono andato giù col ponte, non so cosa mi ha salvato. Sono finito di sotto, è caduto tutto proprio mentre passavo. Ora sono in ambulanza, sono uscito dall'auto con le mie gambe». La vigilia di Ferragosto è un momento di svago, ma la morte non va in vacanza. Due famiglie uguali: papà, mamma, un bambino, l'autoradio accesa e tanta voglia di divertirsi. Una delle due famiglie non c'è più: è rimasta schiacciata sotto le macerie, i soccorritori hanno visto i corpi dilaniati dalle lamiere accartocciate, schiacciati da tonnellate di maledetto calcestruzzo. «All'interno dell'auto», raccontano i Vigili del fuoco, «c'erano anche ombrelloni e valigie». Un altro papà, un'altra mamma e un altro bambino, invece, sono vivi. Questione di secondi, di centimetri: «Eravamo stati al centro commerciale», racconta l'uomo al Secolo XIX, «e stavamo tornando da corso Perrone quando abbiamo sentito un tuono fortissimo e abbiamo visto crollare tutto. Dietro di me c'era una macchina e avevo paura di non riuscire a fare retromarcia. Per fortuna quello dietro di me si è spostato e siamo andati in retromarcia per un centinaio di metri, mentre veniva giù di tutto. Abbiamo mollato la macchina. Mia moglie», aggiunge, «ha preso il bambino e siamo scappati verso Cornigliano. Tremo ancora, è stato terribile». Decine di sopravvissuti raccontano lo stesso film dell'orrore. Protagonista, la retromarcia: mentre il ponte si sbriciolava davanti a loro, hanno tentato di ingranarla, prima di rendersi conto che la strada era bloccata e l'unica speranza era fuggire a piedi. Christian ha smesso di fumare da dieci anni, ma chiede una sigaretta. «Sono un miracolato», dice a una cronista dell'Ansa, «ero in macchina a 100 metri dal punto del crollo quando ho sentito tremare la strada sotto di me e mi sono fermato sulla corsia di sinistra. Ma non so dire perché l'ho fatto, subito dopo ho visto il ponte che si sbriciolava. Sono sceso dalla macchina e mi sono messo a correre più che potevo», aggiunge, «non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Una cosa da fine del mondo, mi rendo conto adesso di cosa ho scampato. La strada dondolava tutta, io sono scappato, urlavo: correte, correte e tutti scappavano. Ho visto il camion bianco in bilico, poi… è andato giù. L'autista», chiede, «sarà morto, vero? Ci sono morti, vero?». Lo chiede a tutti, Christian: «Quanti morti ci sono?». Nessuno ha il coraggio di rispondergli. Lui si volta, guarda la parte di ponte rimasta in piedi, sospesa tra la vita e la morte, e ripete: «Cosa ho scampato». Gianluca, 28 anni, autotrasportatore, diventerà papà tra un mese. La sua compagna, Giulia, arriva al policlinico San Martino, dove Gianluca è stato ricoverato: «Il mio compagno», racconta Giulia, «è rimasto appeso al suo camion e io penso che sia rimasto attaccato alla vita per amore del suo bambino che sta arrivando. Ora lo stanno operando, ha molte fratture ma non è in pericolo di vita. Del suo collega non si hanno ancora notizie. Non so di più», aggiunge Giulia, «perchè non l'ho ancora visto e non vedo l'ora di poterlo abbracciare». A pochi metri, un camionista racconta l'incubo al Corriere Tv: «Ero dentro al camion», dice l'uomo, «ho sentito un boato e sono volato via. Sono andato a urtare contro un muro e poi sono caduto per una decina di metri. Mi sembrava di volare, non ricordo altro. Ho solo una slogatura e una contusione all'anca, penso sia stato un miracolo».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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