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2022-10-06
Gas, Cingolani non ha un piano. I gestori sì: staccare la luce
Roberto Cingolani (Imagoeconomica)
La crisi energetica che sta sconvolgendo l’Europa si sta avvitando sempre di più in vista dell’inverno. Nel complesso e frastagliato quadro europeo attuale, la questione energetica italiana assume una sua particolare curvatura, stretta com’è tra professioni di ottimismo governativo (di solito smentite dai fatti dopo poche ore) e fondati timori sulla tenuta del sistema. Poche cose sono sicure al momento: tra queste, il fatto che se non viene attuato con immediatezza un robusto sostegno finanziario a famiglie e imprese il Paese scivolerà nella desertificazione industriale e nella povertà, a causa dei costi insostenibili dell’energia.
Un’altra cosa sicura è la mancanza di alcuni provvedimenti importanti per poter superare l’inverno, che sarà presumibilmente assai difficile dal punto di vista delle restrizioni sui consumi energetici che si prospettano. Queste restrizioni, chiamate soavemente «risparmi» da chi le impone, sono di origine diversa e si applicano a cose diverse. La prima dose di razionamenti riguarda il gas, per il quale l’Unione europea, con il regolamento 2022/1369, ha chiesto agli Stati membri di fissare obiettivi volontari di riduzione dei consumi. Oggi esiste quindi un obiettivo italiano (auto-imposto) di riduzione del 15% dei consumi nazionali nel periodo da agosto a marzo. Forse tale obiettivo potrebbe essere ridotto al 7%, ma su questo non è stata fatta chiarezza. L’Italia si è impegnata in tal senso attraverso il ministro Roberto Cingolani, il quale ha presentato a settembre un Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas che prevede l’accensione posticipata dei riscaldamenti civili, il loro spegnimento anticipato, l’obbligo di non superare i 19 gradi di temperatura in casa. A questo si aggiunge l’utilizzo prioritario delle centrali termoelettriche a carbone, che dovrebbe diminuire il consumo di gas, e una campagna di informazione per spingere al risparmio i cittadini. Complessivamente, da queste misure di austerità il governo si aspetta di evitare il consumo di ben 8,2 miliardi di metri cubi di gas.
A queste riduzioni si aggiungono quelle decise, sempre dall’Unione europea, sull’elettricità, con un regolamento che dovrebbe essere approvato domani dal Consiglio europeo: si dovrà risparmiare energia proprio nei periodi di maggior consumo, tagliando i picchi orari del 5%. Una norma piuttosto complessa da applicare e sulla cui reale efficacia ci sono dubbi.
Ma non è tutto. Prima ancora di queste restrizioni esisteva già un piano di emergenza nazionale, che è in uno status di pre-allarme dallo scorso febbraio ma che da allora giace, dimenticato, nel limbo (vedi La Verità del 28 febbraio 2022). Questo piano, che esiste in base a una legge italiana di oltre dieci anni fa, contempla tra l’altro il distacco programmato di grandi utenze e disposizioni al gestore del sistema di trasporto e stoccaggio del gas per aumentare la disponibilità di gas. La legge 5 aprile 2022, n. 28 prevede che il ministero della Transizione ecologica possa attuare questo piano di emergenza senza indugio, sulla base di direttive dello stesso Mite. Peccato che proprio di questi atti di indirizzo non ci sia traccia: se l’emergenza venisse dichiarata oggi, non è chiaro cosa bisognerebbe fare. Gli atti mancanti sono importanti perché devono definire le procedure con cui, ad esempio, i soggetti interrompibili (grandi consumatori industriali che danno la disponibilità a vedersi sospese le forniture di gas) verranno chiamati in causa, così come le priorità e l’utilizzo del gas risparmiato. Dove verrebbe reimpiegato il gas non consumato? Con quale priorità di allocazione? Non solo: il piano di emergenza nazionale deve essere coordinato con il piano volontario di risparmio gas (quello da Regolamento 2022/1369 di cui si è parlato sopra), anche per evitare duplicazioni e magari sacrifici inutili alla popolazione. E ancora, è possibile che ci siano utilizzatori di gas disposti a rinunciare volontariamente al proprio consumo: a chi e come questi soggetti dovrebbero manifestare tale disponibilità?
Il Mite non deve chiarire solo su questi punti. Esiste anche il tema della solidarietà europea con gli altri Paesi membri: nel caso in cui questa venisse invocata, come dovrebbe svolgersi? La solidarietà dovrebbe prevedere la cessione fisica di gas da un Paese all’altro, magari rinunciando a parte dell’importazione per lasciarla nel Paese di transito che ha chiesto l’attivazione della solidarietà. Ma questa può attivarsi mentre il Paese si trova già in situazione di emergenza conclamata? In che misura?
Il quadro normativo per l’applicazione delle riduzioni di consumo e la gestione dell’emergenza, come si può intuire, non solo è assai complesso, perché vede la stratificazione di regole di origine diversa in tempi diversi, ma è anche largamente incompleto nella parte attuativa. Come già sottolineato, al Mite in particolare è demandato il compito di sviluppare una regolamentazione di dettaglio molto tecnica, ma molto importante e soprattutto urgente. Il Paese viaggia verso un inverno che già si preannuncia assai difficile, durante il quale ai cittadini e alle imprese saranno richiesti sacrifici pesanti. Lasciarlo sospeso in una lacuna normativa su un argomento tanto spinoso sarebbe imperdonabile.
La corsa dei gestori a tagliare la luce ai clienti che non ce la fanno a pagare
Con la crisi energetica, le società che distribuiscono gas ed elettricità ai consumatori hanno iniziato a tagliare forzatamente e più velocemente di un tempo i contratti agli utenti morosi o insolventi. Secondo i dati che Federconsumatori ha elaborato per La Verità, tra marzo 2021 e marzo 2022 i distacchi forzati sono aumentati del 37,8%. Pochi mesi dopo, tra maggio 2021 e lo stesso mese del 2022, le cessioni forzate delle utenze erano in aumento del 42,6%.
Detto in parole povere, si è passati da un momento in cui le cosiddette utilities facevano a gara per «rubarsi» i clienti a un periodo, quello attuale, in cui la competizione riguarda chi fa prima a tagliare i «rami secchi». Del resto, anche se ufficialmente non si può definire una vera e propria lista nera, il Corrispettivo di morosità, il Cmor, ne fa a tutti gli effetti le veci. Di cosa si tratta? È l’onere che viene addebitato in bolletta dal nuovo fornitore quando si hanno morosità pregresse con l’azienda energetica precedente.
In pratica, il debito contratto con una società fornitrice di servizi energetici viene trasferito nella bolletta emessa dal nuovo fornitore fino a quando non viene estinto. In parole povere, il Cmor è quella voce che permette a tutte le aziende del settore di sapere in anticipo se l’utente è moroso. Il problema è che questo sistema era stato pensato per evitare il cosiddetto fenomeno del «turismo energetico», quello per cui gli utenti più furbi chiudevano un contratto con debiti in essere nella speranza di non doverli pagare.
Oggi, però, con il prezzo del gas e dell’elettricità che è aumentato di oltre dieci volte, le persone che non riescono a pagare non sono solo quelle disoneste, ma in larga parte quelle messe in difficoltà da bollette più grandi delle loro tasche. Utenti che, poiché non hanno pagato una bolletta (non per forza l’ultima in ordine cronologico, ma anche una più vecchia), si trovano il contratto chiuso o non rinnovato.
D’altronde, le società energetiche non sono obbligate ad accettare tutti i clienti che si presentano davanti alla loro porta. Così, una volta giunte a conoscenza del fatto che un utente è moroso, hanno facoltà di non rinnovargli l’utenza o di non registrarne una nuova. Il motivo è semplice: tenere una utenza aperta oggi senza che ne derivino pagamenti è molto più costoso di prima.
Ecco spiegato perché di questi tempi fioccano ben oltre la media le cessioni dei contratti di luce e gas da parte delle società energetiche. Come spiega Federconsumatori, purtroppo, la situazione è destinata a peggiorare ancora perché le bollette esorbitanti aumenteranno ancora di prezzo e si aggiungeranno ad altre altrettanto «pesanti».
Così sono tanti quelli che si rivolgono a Federconsumatori per trovare una soluzione alle loro difficoltà. C’è ad esempio il caso della signora di 70 anni che non poteva permettersi il pagamento delle fatture gas ed energia elettrica a causa di una situazione economica complessa a cui hanno disattivato il contatore. C’è la famiglia di tre persone con un reddito Isee di poco superiore agli 8.000 euro che ha subito un distacco perché insolvente. C’è anche l’anziano signore di 78 anni che ha dovuto aiutare il figlio che ha perso il lavoro nei mesi scorsi e che per questo non ha potuto pagare il gas, che gli è stato staccato.
A pagare il prezzo di questa crisi energetica, va detto, sono però in larga parte gli anziani, persone in pensione che spesso non riescono a far fronte a bollette troppo salate.
«Noi chiediamo che, come avvenuto nella pandemia, il governo si attivi per bloccare i distacchi», spiega alla Verità, Fabrizio Ghidini del Dipartimento energia Federconsumatori nazionale. Il problema è infatti anche che oggi, dopo la crisi pandemica, le società energetiche sono tornate ad avere la possibilità di chiudere i contratti per chi è insolvente. «La nostra richiesta è che il governo metta un blocco ai distacchi forzati almeno per l’inverno o che aiuti a diluire il più possibile le rateizzazioni. La situazione oggi è ancora più complicata che nei momenti più duri della pandemia», spiega.
Il rischio, in effetti, è che sempre più persone finiscano senza un contratto di luce e gas perché, a seguito di distacchi per morosità (anche pregressa) nessuno voglia riattivare loro nuove utenze.
Oltre alla voce in bollette Cmor, che indica la morosità di un utente (utile in caso di nuovo contratto), ci sono anche società energetiche che stilano liste nere dei propri clienti ritenuti a rischio di morosità (magari perché hanno pagato in lieve ritardo.
Siamo, insomma, davanti all’ennesimo gatto che si morde la coda. I costi delle bollette sono alle stelle, molti utenti non riescono a farvi fronte e le società che distribuiscono luce e gas hanno iniziato una campagna di chiusure senza precedenti.
Il problema è che questo riduce la clientela e mette ancora più in difficoltà le società in questione. Senza considerare che, così facendo, molti italiani nel giro di un mese circa finiranno senza servizi primari come il riscaldamento.
Come evitare di restare al buio
Cosa può fare un utente a cui è stata staccata l’utenza di luce e gas e che si trova alla ricerca di un nuovo fornitore energetico? La situazione è in realtà molto complessa. Il rischio è che di questi tempi siano molto pochi i fornitori che abbiano voglia di accettare un utente con l’onta del cattivo pagatore. Ciò, però, non significa che non valga la pena tentare.
Detto questo, di certo il passaggio dal mercato tutelato a quello libero potrebbe offrire maggiori possibilità di trovare nuove offerte. Ad ogni modo, secondo Federconsumatori, la prima mossa da compiere è quella di rateizzare il più a lungo possibile il debito in essere. L’obiettivo è quello di mostrare che spesso un debito può essere estinto con un piano di rientro ad hoc.
Fatto ciò, è bene capire quali sono i vantaggi o gli svantaggi di passare dal mercato a maggior tutela a quello libero. Nel caso di quello a maggior tutela si avrà un prezzo bloccato comune a tutti i fornitori che ne offrono il servizio. Chi sceglie questo mercato potrà avere una variazione ogni trimestre per la fornitura di energia elettrica a seconda delle oscillazioni del mercato e una variazione mensile per la fornitura gas. Al contrario, all’interno del mercato libero ogni fornitore può proporre una o più tariffe differenti ai suoi clienti. Il mercato a maggior tutela è stato definito così perché il prezzo aumenta o decresce senza particolari picchi improvvisi, ma non è possibile richiedere piani tariffari ad hoc o differenti fasce di consumo. Chi invece preferisce il mercato libero, può scegliere la tariffa più adatta alle sue esigenze, in un mercato altamente concorrenziale. Al pari, insomma, degli operatori di telefonia, per intenderci.
In realtà, questo è un momento difficile per cercare nuove offerte. In primis perché ora i nuovi contratti non sono quasi mai a prezzo fisso, ma sono tutti indicizzati all’energia. Un prezzo, sia chiaro, che è in continua crescita e che viene scaricato sull’utente finale.
Anche per questo motivo c’è chi mette in dubbio che la fine del mercato tutelato possa arrivare, come previsto, con l’inizio del 2023 (cioè tra pochi mesi) per il gas e del 2024 per l’elettricità.
Ad ogni modo, per far fronte al problema del crescente numero di bollette non pagate, il prossimo governo dovrebbe essere già al lavoro sul decreto Aiuti quater. Tra le misure su cui si sta lavorando c’è l’intenzione di evitare i distacchi di luce e gas per quelle famiglie e imprese (sempre di più) che, per via di difficoltà economiche, non sono riuscite a pagare le utenze. Secondo le prime anticipazioni si starebbe pensando a una moratoria per famiglie e imprese che potrebbe mettere in pausa per almeno sei mesi il distacco dei contratti energetici.
Inoltre, come già ipotizzato nel dl Aiuti ter, c’è l’idea di far salire il tetto per i beneficiari del bonus bollette agli attuali 8.265 euro a 12.000 euro. Via anche a un aumento dell’aliquota per i crediti di imposta per le imprese. In totale il nuovo provvedimento dovrebbe valere in totale circa 25 miliardi.
Ciò detto, è chiaro che oggi come oggi la cessazione di un contratto energetico per morosità possa essere una bella gatta da pelare. Anche perché secondo le stime di Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente presiedua da Stefano Besseghini, a ottobre il prezzo del gas aumenterà del 74% e quello della luce del 59%. Pallottoliere alla mano questo significa che una famiglia tipo per tutto il 2022 spenderà di elettricità 1.322 euro, contro i 632 euro dell’anno precedente. Per il gas il conto dovrebbe passare dai 245 euro del 2021 ai 445 del 2022.
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Non ci sono gli atti di indirizzo per un’eventuale emergenza: priorità, quote di solidarietà europea, distacchi programmati. I fornitori invece fanno liste nere: via la corrente ai morosi e stop ai contratti a chi è in difficoltà.Si disdettano forzatamente e più velocemente di un tempo i contratti a morosi o insolventi. O non li si rinnova a chi non ha saldato una vecchia bolletta. Federconsumatori chiede un blocco dei distacchi come con il Covid.La prima mossa per non restare al buio è rateizzare il più a lungo possibile il debito. Poi passare dal mercato a maggior tutela a quello libero. In attesa del decreto Aiuti quater del nuovo governo.Lo speciale contiene tre articoli.La crisi energetica che sta sconvolgendo l’Europa si sta avvitando sempre di più in vista dell’inverno. Nel complesso e frastagliato quadro europeo attuale, la questione energetica italiana assume una sua particolare curvatura, stretta com’è tra professioni di ottimismo governativo (di solito smentite dai fatti dopo poche ore) e fondati timori sulla tenuta del sistema. Poche cose sono sicure al momento: tra queste, il fatto che se non viene attuato con immediatezza un robusto sostegno finanziario a famiglie e imprese il Paese scivolerà nella desertificazione industriale e nella povertà, a causa dei costi insostenibili dell’energia.Un’altra cosa sicura è la mancanza di alcuni provvedimenti importanti per poter superare l’inverno, che sarà presumibilmente assai difficile dal punto di vista delle restrizioni sui consumi energetici che si prospettano. Queste restrizioni, chiamate soavemente «risparmi» da chi le impone, sono di origine diversa e si applicano a cose diverse. La prima dose di razionamenti riguarda il gas, per il quale l’Unione europea, con il regolamento 2022/1369, ha chiesto agli Stati membri di fissare obiettivi volontari di riduzione dei consumi. Oggi esiste quindi un obiettivo italiano (auto-imposto) di riduzione del 15% dei consumi nazionali nel periodo da agosto a marzo. Forse tale obiettivo potrebbe essere ridotto al 7%, ma su questo non è stata fatta chiarezza. L’Italia si è impegnata in tal senso attraverso il ministro Roberto Cingolani, il quale ha presentato a settembre un Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas che prevede l’accensione posticipata dei riscaldamenti civili, il loro spegnimento anticipato, l’obbligo di non superare i 19 gradi di temperatura in casa. A questo si aggiunge l’utilizzo prioritario delle centrali termoelettriche a carbone, che dovrebbe diminuire il consumo di gas, e una campagna di informazione per spingere al risparmio i cittadini. Complessivamente, da queste misure di austerità il governo si aspetta di evitare il consumo di ben 8,2 miliardi di metri cubi di gas. A queste riduzioni si aggiungono quelle decise, sempre dall’Unione europea, sull’elettricità, con un regolamento che dovrebbe essere approvato domani dal Consiglio europeo: si dovrà risparmiare energia proprio nei periodi di maggior consumo, tagliando i picchi orari del 5%. Una norma piuttosto complessa da applicare e sulla cui reale efficacia ci sono dubbi.Ma non è tutto. Prima ancora di queste restrizioni esisteva già un piano di emergenza nazionale, che è in uno status di pre-allarme dallo scorso febbraio ma che da allora giace, dimenticato, nel limbo (vedi La Verità del 28 febbraio 2022). Questo piano, che esiste in base a una legge italiana di oltre dieci anni fa, contempla tra l’altro il distacco programmato di grandi utenze e disposizioni al gestore del sistema di trasporto e stoccaggio del gas per aumentare la disponibilità di gas. La legge 5 aprile 2022, n. 28 prevede che il ministero della Transizione ecologica possa attuare questo piano di emergenza senza indugio, sulla base di direttive dello stesso Mite. Peccato che proprio di questi atti di indirizzo non ci sia traccia: se l’emergenza venisse dichiarata oggi, non è chiaro cosa bisognerebbe fare. Gli atti mancanti sono importanti perché devono definire le procedure con cui, ad esempio, i soggetti interrompibili (grandi consumatori industriali che danno la disponibilità a vedersi sospese le forniture di gas) verranno chiamati in causa, così come le priorità e l’utilizzo del gas risparmiato. Dove verrebbe reimpiegato il gas non consumato? Con quale priorità di allocazione? Non solo: il piano di emergenza nazionale deve essere coordinato con il piano volontario di risparmio gas (quello da Regolamento 2022/1369 di cui si è parlato sopra), anche per evitare duplicazioni e magari sacrifici inutili alla popolazione. E ancora, è possibile che ci siano utilizzatori di gas disposti a rinunciare volontariamente al proprio consumo: a chi e come questi soggetti dovrebbero manifestare tale disponibilità? Il Mite non deve chiarire solo su questi punti. Esiste anche il tema della solidarietà europea con gli altri Paesi membri: nel caso in cui questa venisse invocata, come dovrebbe svolgersi? La solidarietà dovrebbe prevedere la cessione fisica di gas da un Paese all’altro, magari rinunciando a parte dell’importazione per lasciarla nel Paese di transito che ha chiesto l’attivazione della solidarietà. Ma questa può attivarsi mentre il Paese si trova già in situazione di emergenza conclamata? In che misura? Il quadro normativo per l’applicazione delle riduzioni di consumo e la gestione dell’emergenza, come si può intuire, non solo è assai complesso, perché vede la stratificazione di regole di origine diversa in tempi diversi, ma è anche largamente incompleto nella parte attuativa. Come già sottolineato, al Mite in particolare è demandato il compito di sviluppare una regolamentazione di dettaglio molto tecnica, ma molto importante e soprattutto urgente. Il Paese viaggia verso un inverno che già si preannuncia assai difficile, durante il quale ai cittadini e alle imprese saranno richiesti sacrifici pesanti. 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Pochi mesi dopo, tra maggio 2021 e lo stesso mese del 2022, le cessioni forzate delle utenze erano in aumento del 42,6%. Detto in parole povere, si è passati da un momento in cui le cosiddette utilities facevano a gara per «rubarsi» i clienti a un periodo, quello attuale, in cui la competizione riguarda chi fa prima a tagliare i «rami secchi». Del resto, anche se ufficialmente non si può definire una vera e propria lista nera, il Corrispettivo di morosità, il Cmor, ne fa a tutti gli effetti le veci. Di cosa si tratta? È l’onere che viene addebitato in bolletta dal nuovo fornitore quando si hanno morosità pregresse con l’azienda energetica precedente. In pratica, il debito contratto con una società fornitrice di servizi energetici viene trasferito nella bolletta emessa dal nuovo fornitore fino a quando non viene estinto. In parole povere, il Cmor è quella voce che permette a tutte le aziende del settore di sapere in anticipo se l’utente è moroso. Il problema è che questo sistema era stato pensato per evitare il cosiddetto fenomeno del «turismo energetico», quello per cui gli utenti più furbi chiudevano un contratto con debiti in essere nella speranza di non doverli pagare. Oggi, però, con il prezzo del gas e dell’elettricità che è aumentato di oltre dieci volte, le persone che non riescono a pagare non sono solo quelle disoneste, ma in larga parte quelle messe in difficoltà da bollette più grandi delle loro tasche. Utenti che, poiché non hanno pagato una bolletta (non per forza l’ultima in ordine cronologico, ma anche una più vecchia), si trovano il contratto chiuso o non rinnovato. D’altronde, le società energetiche non sono obbligate ad accettare tutti i clienti che si presentano davanti alla loro porta. Così, una volta giunte a conoscenza del fatto che un utente è moroso, hanno facoltà di non rinnovargli l’utenza o di non registrarne una nuova. Il motivo è semplice: tenere una utenza aperta oggi senza che ne derivino pagamenti è molto più costoso di prima. Ecco spiegato perché di questi tempi fioccano ben oltre la media le cessioni dei contratti di luce e gas da parte delle società energetiche. Come spiega Federconsumatori, purtroppo, la situazione è destinata a peggiorare ancora perché le bollette esorbitanti aumenteranno ancora di prezzo e si aggiungeranno ad altre altrettanto «pesanti». Così sono tanti quelli che si rivolgono a Federconsumatori per trovare una soluzione alle loro difficoltà. C’è ad esempio il caso della signora di 70 anni che non poteva permettersi il pagamento delle fatture gas ed energia elettrica a causa di una situazione economica complessa a cui hanno disattivato il contatore. C’è la famiglia di tre persone con un reddito Isee di poco superiore agli 8.000 euro che ha subito un distacco perché insolvente. C’è anche l’anziano signore di 78 anni che ha dovuto aiutare il figlio che ha perso il lavoro nei mesi scorsi e che per questo non ha potuto pagare il gas, che gli è stato staccato. A pagare il prezzo di questa crisi energetica, va detto, sono però in larga parte gli anziani, persone in pensione che spesso non riescono a far fronte a bollette troppo salate. «Noi chiediamo che, come avvenuto nella pandemia, il governo si attivi per bloccare i distacchi», spiega alla Verità, Fabrizio Ghidini del Dipartimento energia Federconsumatori nazionale. Il problema è infatti anche che oggi, dopo la crisi pandemica, le società energetiche sono tornate ad avere la possibilità di chiudere i contratti per chi è insolvente. «La nostra richiesta è che il governo metta un blocco ai distacchi forzati almeno per l’inverno o che aiuti a diluire il più possibile le rateizzazioni. La situazione oggi è ancora più complicata che nei momenti più duri della pandemia», spiega. Il rischio, in effetti, è che sempre più persone finiscano senza un contratto di luce e gas perché, a seguito di distacchi per morosità (anche pregressa) nessuno voglia riattivare loro nuove utenze. Oltre alla voce in bollette Cmor, che indica la morosità di un utente (utile in caso di nuovo contratto), ci sono anche società energetiche che stilano liste nere dei propri clienti ritenuti a rischio di morosità (magari perché hanno pagato in lieve ritardo. Siamo, insomma, davanti all’ennesimo gatto che si morde la coda. I costi delle bollette sono alle stelle, molti utenti non riescono a farvi fronte e le società che distribuiscono luce e gas hanno iniziato una campagna di chiusure senza precedenti. Il problema è che questo riduce la clientela e mette ancora più in difficoltà le società in questione. Senza considerare che, così facendo, molti italiani nel giro di un mese circa finiranno senza servizi primari come il riscaldamento. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gas-cingolani-gestori-staccare-luce-2658402669.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="come-evitare-di-restare-al-buio" data-post-id="2658402669" data-published-at="1665020762" data-use-pagination="False"> Come evitare di restare al buio Cosa può fare un utente a cui è stata staccata l’utenza di luce e gas e che si trova alla ricerca di un nuovo fornitore energetico? La situazione è in realtà molto complessa. Il rischio è che di questi tempi siano molto pochi i fornitori che abbiano voglia di accettare un utente con l’onta del cattivo pagatore. Ciò, però, non significa che non valga la pena tentare. Detto questo, di certo il passaggio dal mercato tutelato a quello libero potrebbe offrire maggiori possibilità di trovare nuove offerte. Ad ogni modo, secondo Federconsumatori, la prima mossa da compiere è quella di rateizzare il più a lungo possibile il debito in essere. L’obiettivo è quello di mostrare che spesso un debito può essere estinto con un piano di rientro ad hoc. Fatto ciò, è bene capire quali sono i vantaggi o gli svantaggi di passare dal mercato a maggior tutela a quello libero. Nel caso di quello a maggior tutela si avrà un prezzo bloccato comune a tutti i fornitori che ne offrono il servizio. Chi sceglie questo mercato potrà avere una variazione ogni trimestre per la fornitura di energia elettrica a seconda delle oscillazioni del mercato e una variazione mensile per la fornitura gas. Al contrario, all’interno del mercato libero ogni fornitore può proporre una o più tariffe differenti ai suoi clienti. Il mercato a maggior tutela è stato definito così perché il prezzo aumenta o decresce senza particolari picchi improvvisi, ma non è possibile richiedere piani tariffari ad hoc o differenti fasce di consumo. Chi invece preferisce il mercato libero, può scegliere la tariffa più adatta alle sue esigenze, in un mercato altamente concorrenziale. Al pari, insomma, degli operatori di telefonia, per intenderci. In realtà, questo è un momento difficile per cercare nuove offerte. In primis perché ora i nuovi contratti non sono quasi mai a prezzo fisso, ma sono tutti indicizzati all’energia. Un prezzo, sia chiaro, che è in continua crescita e che viene scaricato sull’utente finale. Anche per questo motivo c’è chi mette in dubbio che la fine del mercato tutelato possa arrivare, come previsto, con l’inizio del 2023 (cioè tra pochi mesi) per il gas e del 2024 per l’elettricità. Ad ogni modo, per far fronte al problema del crescente numero di bollette non pagate, il prossimo governo dovrebbe essere già al lavoro sul decreto Aiuti quater. Tra le misure su cui si sta lavorando c’è l’intenzione di evitare i distacchi di luce e gas per quelle famiglie e imprese (sempre di più) che, per via di difficoltà economiche, non sono riuscite a pagare le utenze. Secondo le prime anticipazioni si starebbe pensando a una moratoria per famiglie e imprese che potrebbe mettere in pausa per almeno sei mesi il distacco dei contratti energetici. Inoltre, come già ipotizzato nel dl Aiuti ter, c’è l’idea di far salire il tetto per i beneficiari del bonus bollette agli attuali 8.265 euro a 12.000 euro. Via anche a un aumento dell’aliquota per i crediti di imposta per le imprese. In totale il nuovo provvedimento dovrebbe valere in totale circa 25 miliardi. Ciò detto, è chiaro che oggi come oggi la cessazione di un contratto energetico per morosità possa essere una bella gatta da pelare. Anche perché secondo le stime di Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente presiedua da Stefano Besseghini, a ottobre il prezzo del gas aumenterà del 74% e quello della luce del 59%. Pallottoliere alla mano questo significa che una famiglia tipo per tutto il 2022 spenderà di elettricità 1.322 euro, contro i 632 euro dell’anno precedente. Per il gas il conto dovrebbe passare dai 245 euro del 2021 ai 445 del 2022.
Volodymyr Zelensky e Giorgia Meloni (Ansa)
Il tour europeo di Volodymyr Zelensky è passato anche dall’Italia. Ieri, il presidente ucraino era infatti a Roma, dove, nel pomeriggio, è stato ricevuto per un’ora e mezza a Palazzo Chigi da Giorgia Meloni.
«Nel corso dell’incontro, i due leader hanno analizzato lo stato di avanzamento del processo negoziale e condiviso i prossimi passi da compiere per il raggiungimento di una pace giusta e duratura per l’Ucraina», recita una nota di Palazzo Chigi. «I due leader hanno inoltre ricordato l’importanza dell’unità di vedute tra partner europei e americani e del contributo europeo a soluzioni che avranno ripercussioni sulla sicurezza del continente», prosegue il comunicato, secondo cui i due leader hanno anche discusso delle garanzie di sicurezza per Kiev. «Ho incontrato la presidente del Consiglio dei ministri italiana Giorgia Meloni a Roma. Abbiamo avuto un ottimo colloquio, molto approfondito su tutti gli aspetti della situazione diplomatica. Apprezziamo il fatto che l’Italia sia attiva nella ricerca di idee efficaci e nella definizione di misure per avvicinare la pace», ha dichiarato il presidente ucraino al termine del bilaterale. «Ho informato il presidente del lavoro del nostro team negoziale e del coordinamento diplomatico», ha proseguito Zelensky, per poi aggiungere: «Contiamo molto sul sostegno italiano anche in futuro: è importante per l’Ucraina. Vorrei ringraziare in modo particolare per il pacchetto di sostegno energetico e le attrezzature necessarie».
Sempre ieri, in mattinata, il presidente ucraino è stato ricevuto a Castel Gandolfo da Leone XIV, in quello che è stato il secondo incontro tra i due. «Durante il cordiale colloquio, il quale ha avuto al centro la guerra in Ucraina, il Santo Padre ha ribadito la necessità di continuare il dialogo e rinnovato il pressante auspicio che le iniziative diplomatiche in corso possano portare ad una pace giusta e duratura», recita una nota della Santa Sede. «Inoltre, non è mancato il riferimento alla questione dei prigionieri di guerra e alla necessità di assicurare il ritorno dei bambini ucraini alle loro famiglie», si legge ancora. «L’Ucraina apprezza profondamente tutto il sostegno di Sua Santità Leone XIV e della Santa Sede», ha affermato, dal canto suo, Zelensky. «Durante l’udienza di oggi con Sua Santità, l’ho ringraziato per le sue costanti preghiere a favore dell’Ucraina e del popolo ucraino, nonché per i suoi appelli a favore di una pace giusta. Ho informato il papa degli sforzi diplomatici con gli Stati Uniti per raggiungere la pace. Abbiamo discusso di ulteriori azioni e della mediazione del Vaticano volta a restituire i nostri figli rapiti dalla Russia», ha aggiunto. «Ho invitato il papa a visitare l’Ucraina. Questo sarebbe un forte segnale di sostegno al nostro popolo», ha concluso il presidente ucraino.
Ricordiamo che, lunedì, Zelensky aveva incontrato a Londra Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz. Sempre lunedì, il presidente ucraino si era inoltre visto a Bruxelles con il segretario generale della Nato, Mark Rutte, in un meeting a cui avevano partecipato anche il capo della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa.
Il tour europeo del presidente ucraino è avvenuto in un momento particolarmente delicato per lui. Innanzitutto, il diretto interessato è indebolito dallo scandalo che ha recentemente investito Andrii Yermak: proprio ieri, secondo il Kyiv Independent, Zelensky avrebbe individuato la rosa di nomi da cui sceglierà il suo successore come capo dell’Ufficio presidenziale di Kiev (dal direttore dell’intelligence militare, Kyrylo Budanov, al ministro della Difesa, Denys Shmyhal). La caduta di Yermak ha fiaccato il potere negoziale del leader ucraino, mentre da Washington continuano ad arrivare pressioni affinché si tengano presto delle elezioni presidenziali in Ucraina. «Sono sempre pronto alle elezioni», ha detto ieri Zelensky, rispondendo indirettamente a Donald Trump che, parlando con Politico, era tornato a chiedere una nuova consultazione elettorale.
E qui arriviamo al secondo nodo. I rapporti tra Zelensky e la Casa Bianca sono tornati a farsi tesi. Nei giorni scorsi, il presidente americano si è infatti detto «deluso» dall’omologo ucraino. «Devo dire che sono un po’ deluso dal fatto che il presidente Zelensky non abbia ancora letto la proposta di pace, era solo poche ore fa», aveva detto Trump. A questo si aggiunga che, sempre negli ultimi giorni, l’inquilino della Casa Bianca ha criticato notevolmente l’Europa. «L’Europa non sta facendo un buon lavoro sotto molti aspetti», ha per esempio affermato nella sua recente intervista a Politico. Se da una parte cerca la sponda europea come copertura politica davanti alle tensioni tra Kiev e Washington, Zelensky non può però al contempo ignorare le fibrillazioni che si registrano tra gli Stati Uniti e il Vecchio Continente. È quindi probabilmente anche in questo senso che va letta la visita romana del presidente ucraino. In altre parole, non si può escludere che Zelensky punti a far leva sui solidi rapporti che intercorrono tra Trump e la Meloni per cercare di riportare (almeno in parte) il sereno nelle sue relazioni con la Casa Bianca. In tal senso, non va trascurato l’impegno profuso dall’inquilina di Palazzo Chigi volto a preservare la stabilità dei legami transatlantici: un impegno che la Meloni ha sempre portato avanti in netto contrasto con la linea di Macron.
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Giancarlo Giorgetti e Christine Lagarde (Ansa)
La Banca centrale europea riconosce «alcune novità (nel testo riformulato) che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del Trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi, ma restano i dubbi sulla finalità della norma». Secondo indiscrezioni, Giorgetti intenderebbe segnalare al presidente dell’istituto centrale europeo, Christine Lagarde, che l’emendamento non è volto a spianare la strada al trasferimento dell’oro o di altre riserve in valuta fuori dal bilancio di Bankitalia escludendo una massa che aggirerebbe il divieto per le banche centrali di finanziare il settore pubblico.
Il senatore della Lega, Claudio Borghi, uno dei relatori della manovra, intanto incalza: «Vediamo chi si stufa prima. Basterebbe domandarsi a che titolo la Bce si mette a sindacare su cose che non sono conferite alla Banca centrale». Poi ribadisce che «non esiste la possibilità e nessuno ha mai detto che vuole utilizzare le riserve auree, anzi io avrei comprato altro oro».
Questo intoppo rischia di complicare l’iter della manovra, proprio mentre i lavori in Senato si apprestano a entrare nel vivo, con il pacchetto di emendamenti del governo atteso per domani. «Saranno pochissimi, verranno prediletti quelli parlamentari», ha spiegato il senatore di Fdi, Guido Liris, uno dei relatori della legge di bilancio, e ha previsto che la votazione in commissione Bilancio del Senato potrebbe essere fissata per il prossimo fine settimana con l’auspicio di far approvare il testo in Aula da martedì 16 dicembre.
La formulazione definitiva delle modifiche è strettamente legata all’esito del lavoro sulle coperture. Il primo dossier sul tavolo del Mef è quello delle banche e assicurazioni: va messo nero su bianco l’accordo raggiunto nei giorni scorsi per un contributo di 600 milioni in due anni, che dovrebbe tradursi in un’ulteriore riduzione della deducibilità delle perdite pregresse. A impattare sulle assicurazioni c’è anche l’incremento - previsto da un emendamento di Fdi - dell’aliquota sulla polizza Rc auto per infortunio del conducente. Altre risorse sono attese dall’aumento graduale della Tobin tax, dalla tassa sui pacchi e dalla rivalutazione dei terreni. Ancora incerto il destino della tassazione agevolata dell’oro da investimento. Sono attese correzioni alla misura sulla cedolare secca per gli affitti brevi a uso turistico. C’è un accordo ampio sul ritorno all’aliquota del 21% per il primo immobile locato e la riduzione da 5 a 3 del numero di immobili da cui scatta l’attività di impresa che prevede un diverso trattamento fiscale.
Si lavora anche sulla norma sui dividendi (la stretta verrebbe limitata alle partecipazioni sotto il 5%), sull’esclusione delle holding industriali dall’aumento dell’Irap, sullo stop al divieto di portare in compensazione i crediti e sull’allargamento dell’esenzione Isee sulla prima casa.
Si stanno valutando le detrazioni per i libri e la stabilizzazione triennale dell’iperammortamento. «Sulle banche mi pare si sia arrivati a un accordo. L’orientamento è quello di arrivare finalmente a un punto di incontro. Il governo decide ovviamente, ma stavolta c’è anche il consenso delle banche», ha affermato il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
In arrivo la conferma delle risorse aggiuntive per le forze dell’ordine stanziate negli anni scorsi. È quanto emerso nel corso dell’incontro tra il governo e le organizzazioni sindacali delle forze armate e del comparto sicurezza e soccorso pubblico. È stato ribadito anche che «nuovi spazi potranno liberarsi se si chiuderà positivamente la procedura europea sugli squilibri di bilancio».
Inoltre, per quanto riguarda il rinnovo dei contratti per il triennio 2025-2027, il governo ha ribadito l’impegno a una convocazione immediata dei sindacati. Durante l’incontro sono stati affrontati i temi della valorizzazione delle carriere, dell’età pensionabile e delle misure di previdenza dedicata, dei tempi di liquidazione del trattamento di fine servizio, del turn over e degli interventi volti a rafforzare ulteriormente la tutela e la sicurezza del personale.
Per fare il punto sui tempi e sull’iter della manovra, non è escluso un nuovo giro di riunioni con il governo. Il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, ha ribadito che «le risorse sono quelle che abbiamo stanziato, la manovra deve chiudersi a 18,7 miliardi».
Continua a far discutere il raddoppio del tetto al contante, attualmente a 5.000 euro, con l’introduzione di una imposta di bollo di 500 euro ogni pagamento cash per importi tra 5.001 e 10.000 euro.
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Xi Jinping ed Emmanuel Macron (Ansa)
Il rinvio della discussione si è reso necessario per l’ostilità di un gruppo di Paesi. Nove Stati membri (Svezia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Irlanda, Malta, Portogallo e Slovacchia, capitanati dalla Repubblica Ceca) si sono, infatti, opposti alla deliberazione, esortando Bruxelles a procedere con la «massima cautela possibile», avvertendo che norme fuori misura rischierebbero di «soffocare l’innovazione» e di «violare accordi commerciali». Un documento ceco condiviso dai nove ministri dell’Industria ha avvertito che una tale politica dovrebbe essere considerata solo «l’ultima risorsa». Il costo di questa politica per le aziende Ue è stato stimato, nel non paper, in oltre 10 miliardi di euro all’anno a causa dell’obbligo di acquistare componenti europei più costosi. La norma non considererebbe «fatto in Europa» un prodotto solo assemblato nella regione ed è questo il problema soprattutto per Slovacchia e Cechia (ma sospettiamo anche per l’Ungheria). Da notare che il tentativo di frenare e indebolire la proposta non è venuto solo da alcuni Stati, ma anche dall’interno della Commissione, dove le direzioni generali Commercio ed Economia hanno espresso timori per l’impatto di queste misure sulla competitività e sull’utilizzo di fondi pubblici per acquisti interni.
La Germania, fino a poco tempo fa contrarissima all’iniziativa, nelle ultime settimane è apparsa più morbida, tanto che non figura tra i Paesi scettici. Ma una regia di Berlino, in casi come questo, è praticamente una certezza. Non sempre la Germania ha necessità di comparire esplicitamente. Il blocco temporaneo al «Made in Europe» è un vero e proprio sgambetto ai danni della Francia, che cerca di proteggere la propria manifattura dall’assalto delle merci cinesi. Proprio qui si innesta l’enorme spaccatura tra Francia e Germania, un contrasto stridente che nessuna conferenza stampa con i sorrisi tirati può dissimulare. Lo stallo unionale è frutto del divario tra la retorica allarmata della Francia e il contorto approccio della Germania alla questione cinese.
Il presidente francese Emmanuel Macron, appena sbarcato dall’aereo dopo tre giorni di visita a Xi Jinping in Cina, ha usato toni estremamente preoccupati per descrivere il ruolo marginale dell’Europa nel panorama globale, dove è «intrappolata tra Stati Uniti e Cina». Egli ha definito lo stato attuale come «lo scenario peggiore», in cui l’Europa è diventata il «mercato dell’aggiustamento» per la produzione cinese, in buona parte deviata dai dazi americani. Considerazione ovvia e assai tardiva. Dall’entourage di Xi Jinping, però, è filtrata una certa sorpresa dato che, durante i tre giorni di visita, i toni di Macron erano stati tutt’altro che bellicosi. Tornato all’Eliseo, Macron ha avvertito Pechino che, se non interverrà per correggere lo squilibrio commerciale giudicato «insostenibile», l’Ue potrebbe adottare «misure forti», inclusa l’imposizione di dazi. Per Parigi, la protezione dell’industria è una «questione di vita o di morte per l’industria europea».
Dall’altra parte, però, la Germania dà prova di profonde ambiguità. Nonostante si stia confrontando con una drammatica crisi industriale (con 23.900 fallimenti aziendali, il picco degli ultimi undici anni, e la perdita acquisita quest’anno di oltre 165.000 posti di lavoro nel solo settore manifatturiero), Berlino continua a privilegiare i rapporti bilaterali con Pechino. Mentre l’Unione è bloccata, il ministro degli Esteri, Johann Wadephul, e quello alle Finanze, Lars Klingbeil, si recano in Cina a poche settimane l’uno dall’altro per chiedere condizioni di favore, in particolare per le terre rare, essenziali per l’industria.
Probabilmente a Pechino non credono ai loro occhi, con questo via vai di ministri e presidenti europei che arrivano a chiedere questo e quello. Ma l’orientamento dei tedeschi è mantenere ed espandere le relazioni commerciali con la Cina, il loro «partner commerciale più importante», come ha detto Wadepuhl. Questa condotta confligge con gli obiettivi di riduzione del rischio di cui si parlava fino a qualche tempo fa a Bruxelles e di cui, come è facile notare, non si parla praticamente più. L’impegno, ora, è tutto rivolto a mostrare indignazione per la nuova strategia di Donald Trump verso l’Europa, a quanto sembra.
Certamente la spinta tedesca contrasta con le idee della Francia sull’atteggiamento da tenere nei confronti dell’enorme surplus cinese, che nei primi undici mesi dell’anno ha superato i mille miliardi di dollari. Il ripiegamento delle merci cinesi dagli Stati Uniti verso l’Europa era un effetto atteso, dopo l’aumento dei dazi americani verso Pechino. In otto mesi, l’Unione non ha fatto nulla per proteggersi e ora Parigi grida «Al fuoco!», mentre Berlino, ispiratrice dell’immobilismo di Commissione e Consiglio, punta ancora a ritagliare per sé uno status privilegiato.
Di fronte all’aggressiva politica commerciale cinese, l’Unione europea si ritrova in pezzi, congelata da Berlino che, intanto, fa affari e cerca accordi con Pechino.
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