2025-10-09
Garlasco, il carabiniere arrestato: «Il pm va in pensione e forse lo uccido»
Il maresciallo Antonio Scoppetta (nel riquadro) e Fabio Napoleone (Imagoeconomica)
In un’intercettazione choc il maresciallo Antonio Scoppetta parla del procuratore Fabio Napoleone: «Tra due anni è ai giardinetti. Ho così tanta rabbia che mi metto una felpa col cappuccio e lo vado a cercare».Esattamente un anno fa la squadretta di investigatori intoccabili che operava nella Procura di Pavia deve essersi sentita accerchiata. Il maresciallo Antonio Scoppetta, sedicente «braccio destro» dell’ex procuratore aggiunto Mario Venditti, il 13 novembre del 2024 viene arrestato con l’accusa di corruzione e stalking. Ma appena un mese prima «sebbene collocato presso i carabinieri della Forestale, tuttavia», continuava «non solo ad essere in contatto con il coindagato Boiocchi (il costruttore Carlo Primo, ndr), ma altresì a commentare con lo stesso e con Cristiano Migliavacca (sindaco di Lardirago) questioni attinenti al mercato immobiliare, all’acquisto della sua abitazione in periodo di Covid, nonché alla costruzione di supermercati ed alla raccolta di denaro per la campagna elettorale». A scriverlo sono, nel dicembre scorso, i giudici del Tribunale del Riesame, i quali, per giustificare la permanenza in carcere di Scoppetta, riportano una clamorosa intercettazione. In essa Boiocchi commenta: «Dopo arriva il cavallo con Napoleone» (si tratta di un esplicito riferimento al procuratore capo di Pavia, Fabio Napoleone, che in quel momento sta coordinando le indagini su Scoppetta & c.). I tre intercettati si mettono a ridere. Ma il maresciallo cambia subito atteggiamento: «Aspetta che passano due anni e poi vedi… tra due anni è nel giardinetto col cane… due anni ed è in pensione».Sembra contare i giorni. Migliavacca, a questo punto, domanda, facendo riferimento alla pensione di Venditti in riva al lago di Lugano: «E dove va? Va a Campione pure lui? (l’ex aggiunto, oggi indagato per corruzione, è stato dal 2023 al 2025 presidente del Casinò di Campione d’Italia, ndr)». La risposta di Scoppetta spiazza i magistrati: «Nooo! Andrà in giro per i giardini di Milano col cane a portarlo a piscia’! A leggere il giornale!». L’intercettazione prende una brutta piega: «Mi comprerò una felpa grigia senza scritte (ridono, ndr), mi metto il cappuccio, lascio il telefono qui, salgo sulla metro, scendo al giardinetto... io ho dentro tanta di quella rabbia che il giorno che la sfogo... devo stare attento a non ucciderlo (Napoleone, ndr)».Per i giudici «una tale esplicita manifestazione di rabbia e rancore manifesta una personalità altamente allarmante, che potrebbe fare di tutto per cercare di orientare le investigazioni in senso più favorevole. Sia pure nella rabbia, l’indagato manifesta lucidità e competenza investigativa, sottolineando di utilizzare una felpa grigia senza loghi e di lasciare il telefono cellulare a casa, al fine di impedire l’identificazione». Motivazioni che convincono i magistrati a lasciare in carcere il maresciallo. Ma perché Scoppetta provava così tanto livore? Perché prima dell’arrivo di Napoleone, lui e i suoi sodali erano i ras della città e chi si opponeva al loro potere, si faceva male e rischiava di essere scacciato per «incompatibilità ambientale». Emblematica è la vicenda del comandante provinciale dei carabinieri Ernesto Di Gregorio che era entrato in rotta di collisione con l’allora luogotenente Maurizio Pappalardo, sodale di Scoppetta e gran tessitore di relazioni, anche grazie al suo incarico all’interno del Nucleo informativo dei carabinieri.Il 19 novembre 2024 Pietro Picone, membro del Nucleo investigativo di Pavia, svela in Procura come andassero le cose dentro all’Arma territoriale: «Tutti i comandanti provinciali che si sono susseguiti dal 2011, tranne Di Gregorio, hanno, in un modo o nell’altro, chiesto favori a Pappalardo, perché lui conosce tutti a Pavia. Ad esempio per l’organizzazione della festa dell’Arma lui si occupava del buffet, ecc. Questo era un modo per lui di accreditarsi con i comandanti e quindi avere poi ampi margini di manovra per organizzare la sua giornata e il lavoro dell’Informativo. Faceva favori di ogni tipo, anche portare abiti da lavare in lavanderia (ricordo che una volta lo fece per il colonnello O.). L’unico che dal primo giorno non ha accettato questa dinamica fu il colonnello Di Gregorio».Inizia così un braccio di ferro tra il comandante e il luogotenente. A cui, davanti ai pm, fa riferimento Picone: «Pappalardo era molto giù perché era un periodo in cui era in rotta con il colonnello Di Gregorio, tanto che aveva fatto domanda per andare al Nucleo ispettivo del lavoro e l’aveva anche vinta. Poi Di Gregorio se ne andò e quindi lui restò al Nucleo informativo». A gestire il suo potere sul territorio. Il 21 novembre 2024, Giovanni Pais, membro del Nucleo informativo, conferma la ricostruzione di Picone: «Pappalardo aveva un rapporto pessimo con il colonnello Di Gregorio e, per questo, aveva anche fatto domanda per andare all’ispettorato del Lavoro, salvo poi rinunciare». Prima di dover lasciare la città, Di Gregorio era stato convocato in Procura, dove gli era stato chiesto perché si volesse privare di una risorsa tanto preziosa. Purtroppo, per l’ufficiale, Pappalardo non era così importante. E mal gliene incolse. Il 14 novembre 2024 il generale confida al procuratore aggiunto Stefano Civardi il motivo per cui ha lasciato Pavia: «Mi fu rappresentato dal comandante di Stato Maggiore che per ripristinare la serenità nei “rapporti istituzionali” fosse opportuno un mio trasferimento, anticipando di qualche mese il naturale avvicendamento. Non feci obiezioni, né chiesi accesso agli atti».Di Gregorio spiega che la «serenità nei rapporti istituzionali» si era incrinata durante un’indagine su un carabiniere: «Reputo che, a seguito dell’arresto dell’appuntato A.M. e delle posizioni che avevo preso con l’allora procuratore della Repubblica dottor Cioppa (Gustavo, ndr) e del procuratore aggiunto, dottor Venditti, potesse essere percepita una minor serenità con l’autorità giudiziaria». Ma sullo sfondo, come si evince dal resto della testimonianza, c’era il pessimo rapporto con Pappalardo.«Quando presi servizio a Pavia il luogotenente si presentò sua sponte nel mio ufficio. Lo salutai brevemente e lo congedai. Intesi che il luogotenente avesse un’attitudine eccessivamente “entrante” e sensibilizzai il suo diretto responsabile, il comandante del reparto operativo, a ricordare al luogotenente di seguire nei rapporti la linea gerarchica. Prima di prendere servizio a Pavia, del resto, mi ero informato sul contesto ed ero stato avvertito che il luogotenente era particolarmente disponibile per le più svariate esigenze, anche personali».I magistrati chiedono al generale quali fossero «i meriti speciali» che hanno portato alla promozione di Pappalardo e Di Gregorio è netto: «Premesso che il passaggio è avvenuto quando non ero più a Pavia, non penso che il maggiore Pappalardo sia stato promosso per meriti particolari, ma ritengo che abbia semplicemente partecipato a un concorso molto ampio». A verbale Di Gregorio racconta quali fossero i compiti dell’allora luogotenente al Nucleo informativo: «Riportava informazioni su contesti economico-sociali che possono presentare criticità o comunque di interesse; queste notizie normalmente vanno a integrare i cosiddetti rapporti "informativi speciali" indirizzati alla scala gerarchica e costituiscono l’attività più qualificante dei “nuclei informativi.” In tre anni e mezzo non ho mai visto un rapporto di tal fatta, generato dal Iuogotenente Pappalardo. Anche le "relazioni semestrali" sull’ordine e la sicurezza pubblica erano decisamente "ordinarie" e non denotavano una particolare capacità di penetrare il contesto sociale, la qual cosa era in qualche modo distonica rispetto all’estesissima rete di conoscenze di Pappalardo, specie sul territorio pavese». Insomma, il luogotenente, grazie al suo ruolo, aveva rapporti con personalità di ogni genere, ma questo non produceva risultati concreti. Le notizie raccolte restavano patrimonio personale di Pappalardo che, evidentemente, le usava pro domo sua. Quando i pm chiedono a Di Gregorio quale fosse una giornata tipo di Pappalardo, il generale puntualizza: «So, per averlo verificato personalmente, che il luogotenente si recava molto spesso negli uffici della Procura, in particolare in quelli del procuratore e dell’aggiunto». E quando gli inquirenti domandano perché lo facesse, la risposta è: «Non me lo so spiegare». Ed eccoci alla domanda più interessante: «Le risulta una particolare e mirata circolazione di anonimi (esposti, ndr) pervenuti nel suo periodo di comando presso l’ufficio della Procura della Repubblica?». Risposta: «Non ho elementi sulla "fabbricazione" di anonimi. Tuttavia, io stesso, poco dopo il trasferimento a Napoli, ricevetti dei commenti da parte di colleghi in ambiente romano, sorpresi del fatto che avessi comprato una casa all’asta a Pavia. Preciso che ho effettivamente comprato una casa a seguito di una vendita giudiziaria al Tribunale di Pavia al prezzo di valutazione. Mi sorprendeva in ogni caso che se ne parlasse in luoghi particolarmente distanti, sicché ho motivo di ritenere che io stesso sia stato raggiunto o da maldicenze o da un esposto anonimo».Sfruculiare le banche dati e cercare notizie negative sui nemici sembra che fosse la specialità della casa della squadretta. Come ha confermato il luogotenente Salvatore Campa, un altro carabiniere che entrò in rotta di collisione con il team di investigatori. «Una volta mentre ero in ufficio ho visto passare Scoppetta con Sapone (Silvio, che in quel momento era passato dal ruolo di capo dell’aliquota dei carabinieri della Procura, a quello di viceprocuratore onorario, ndr) che mi hanno guardato in modo insolito. Andavano verso l’ufficio di Venditti. Poco dopo ho visto passare nella stessa direzione il brigadiere Daniele Ziri del Nil (il Nucleo ispettorato del lavoro, ndr)». Probabilmente il tema della riunione era un controllo edilizio effettuato nell’appartamento della moglie del militare che era da poco subentrato a Sapone nel comando dell’aliquota dei carabinieri, ma che in realtà era stato messo da parte proprio da Venditti: «Subii subito un controllo nell’appartamento di mia moglie» dice a verbale il testimone. «A lei non hanno elevato alcuna contravvenzione, solo al costruttore, credo per una questione di sub-appalto di personale». Poco dopo la verifica, Campa viene convocato da Venditti: «Mi chiese di chiudere la porta e mi disse: “Vedi, io sono sempre seduto qui, sono sempre in ufficio, ma io so tutto di tutti”. E aggiunse che sapeva che stavo ristrutturando un appartamento di proprietà di mia moglie senza i necessari permessi». Il luogotenente replicò alle accuse: «Gli dissi che non era vero, che era tutto in regola, di valutare meglio l’informazione avuta. Lui ribatté che sarebbe stato imbarazzante contestare una violazione del genere a un capo aliquota della Polizia giudiziaria».L’allora comandante provinciale dei carabinieri Luciano Calabrò, informato della vicenda, avrebbe chiesto a Campa. «Secondo te chi ti ha fatto questo scherzo?». E il luogotenente avrebbe ammesso di trovarsi «in una situazione di isolamento in ufficio» e di temere di «essere oggetto di qualche ritorsione». Venditti, da parte sua, non sarebbe stato tenero neppure con chi aveva deciso i controlli a sua insaputa: «Trattandosi di personale della Procura desidero ricevere gli atti direttamente sulla mia scrivania ed esigo essere informato su eventuali sviluppi relativi a questo controllo» avrebbe sibilato prima di mandare in archivio la questione.