Si è svolta a Torino, negli stabilimenti della Divisione velivoli, la seconda edizione del Leonardo drone contest, la competizione organizzata in collaborazione con sei università italiane, per promuovere lo sviluppo dell'intelligenza artificiale applicata all'ambito dei sistemi senza pilota. A trionfare per il secondo anno consecutivo il Politecnico di Milano.
Si è svolta a Torino, negli stabilimenti della Divisione velivoli, la seconda edizione del Leonardo drone contest, la competizione organizzata in collaborazione con sei università italiane, per promuovere lo sviluppo dell'intelligenza artificiale applicata all'ambito dei sistemi senza pilota. A trionfare per il secondo anno consecutivo il Politecnico di Milano.Innovazione tecnologica, intelligenza artificiale e droni: tutto condensato in una competizione, che rappresenta un unicum a livello nazionale e internazionale. Leonardo, in collaborazione con sei università italiane (Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Roma Tor Vergata, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e Università degli Studi di Napoli Federico II), ha organizzato per il secondo anno consecutivo il Leonardo drone contest, una gara in cui sei dottorandi si sfidano a colpi di algoritmi in grado di far volare i propri droni in maniera autonoma all'interno di un campo gara costruito ad hoc in un'ala dello stabilimento torinese Divisione velivoli di Leonardo.Il compito del drone è quello di riuscire a posizionarsi all'interno dell'arena senza l'utilizzo del segnale gps e dovrà completare due missioni: nella prima cercare i robot non collaborativi che si muovono all'interno del campo in maniera autonoma. Una volta individuati scatterà una foto che verrà trasmessa immediatamente alla stazione di controllo dove c'è il team universitario che può così ricevere le informazioni ed elaborarle. Qui parte la seconda parte della missione: grazie alle informazioni ricevute si decide su quale piazzola effettuare l'operazione di atterraggio e il drone in autonomia le completa. I punteggi vengono calcolati in base alla difficoltà della piazzola: ci sono quelle centrali senza nessun oggetto intorno che hanno un punteggio più basso e poi ci sono quelle in cui l'atterraggio autonomo è più complicato, perché magari hanno vicino dei palazzi, che assegnano un punteggio più alto.A trionfare alla fine della tre giorni torinese, 27-28-29 settembre, al culmine di una difficile e combattuta manche, sono stati per il secondo anno consecutivo i ragazzi del Politecnico di Milano guidati dal dottorando Gabriele Roggi. Sugli altri due gradini del podio si sono piazzati, rispettivamente al secondo e al terzo posto, la squadra dell'università di Roma Tor Vergata capitanata dal dottorando Simone Mattogno e quella del Politecnico di Torino del dottorando Simone Godio. Al team del dottorando Lorenzo Gentilini dell'Università Alma Mater Studiorum di Bologna, come lo scorso anno, è stato assegnato il Premio Speciale della giuria «per aver suscitato interesse con le loro soluzioni tecnologicamente avanzate di collaborazione tra sistemi e automazione».Una gara tosta che rispetto allo scorso anno ha visto aumentare il livello di difficoltà, specialmente per un dettaglio: l'assenza del gps. A spiegare il perché, il Senior Vice President Unmanned System di Leonardo, Laurent Sissmann: «Abbiamo deciso di togliere il gps perché l'assenza di segnale è una difficoltà reale che noi troviamo nel far volare i droni in un contesto urbano, nel momento in cui siamo in una città fitta con un certo numero di grattacieli che creano un canyon urbano che non consentono di avere un posizionamento preciso. Nella nostra idea, quindi, il drone deve essere in grado di sapere esattamente qual è la sua bolla di manovra anche in situazioni di segnale scarso». Un ragionamento che si incastona in quel che è lo spirito con cui è nata l'idea di questo contest basato su un triennio di dottorato, ovvero alzare anno dopo anno l'asticella attraverso un percorso congiunto con lo scopo di creare un ecosistema tra azienda, università, piccole e medie imprese e start up, che immetta in questo settore qualcosa che prima non c'era. «Alla fine di questi tre anni noi vogliamo che il sistema paese possa contare su una serie di professionalità nuove, di curriculum di studio dentro le università che parlino di intelligenza artificiale, di computer vision, di sensor fusion e di guida autonoma in assenza di segnale satellitare. Tutte competenze che prima di questo contest non c'erano sul mercato» spiega Sissmann.Il manager francese porta vanti un progetto nato tre anni fa dall'idea di coinvolgere i migliori atenei italiani e metterli in competizione tra loro. Non una competizione fine a se stessa, ma una gara per stimolare le università a mettere a disposizione dei singoli dottorandi il miglior asset possibile affinché il progetto possa essere sviluppato. Proprio in questa direzione, nel contest di quest'anno i team hanno cominciato a dare ognuno il proprio contributo originale, ognuno con la propria mentalità, il proprio algoritmo e la propria visione di come risolvere un problema. Perché i droni utilizzati per la gara vengono testati su situazioni concrete che un domani possono verificarsi nella realtà. «È uno strumento di open innovation» - spiega Sissmann - «un modo con il quale noi andiamo a guardare al di fuori delle mura dell'azienda e dentro le eccellenze universitarie, alle quali noi chiediamo di lavorare su quello che sappiamo sarà utile all'azienda in un orizzonte futuro di due, cinque, dieci anni. Tant'è vero che il capo dell'ingegneria divisone Velivoli mi ha detto che quest'anno stiamo toccando con mano dei progressi fantastici». Altro aspetto da sottolineare nell'ambito del drone contest è l'importanza del percorso tecnologico rispetto al drone fatto e finito: «L'enfasi non è tanto sulla piattaforma che vola, perché si tratta di un drone abbastanza semplice. A noi non importa come i ragazzi costruiscono il drone, noi li sappiamo costruire, a noi interessa come loro sviluppano una tecnologia che utilizzi i vari sensori, l'intelligenza a bordo, quello che ti permette di capire dove sei, cosa fare senza che ci sia qualcuno che ti dia un input nel momento in cui tu l'hai fatto partire».E dopo questi tre anni cosa succede? Quale sviluppo avrà il progetto migliore? «Ogni progetto avrà la sua forma di continuità e avrà lo sviluppo che vorrà dargli il dottorando vincitore. Ma molto dipenderà dal percorso professionale che vorrà intraprendere» afferma Sissmann - «perché noi stiamo lavorando con sei università finanziando sei dottorandi, ma magari uno di loro vorrà fare l'imprenditore creando una sua start up, un altro vorrà fare il professore universitario e ci aiuterà perché ci sono tanti rapporti tra azienda e università e noi possiamo creare dei ponti che ci permettono di progredire insieme come ecosistema, un altro magari verrà a lavorare con noi in uno dei nostri uffici di ingegneria o innovazione, oppure un altro ancora magari si sarà stufato e farà tutt'altro. Il nostro successo sarà determinato nel momento in cui questi sei dottorandi continueranno a contribuire in un modo o in un altro alla tecnologia, alla ricerca e all'industria su queste tematiche».E poi c'è il campo gara. L'arena allestita all'interno di un'area della divisione Velivoli di Leonardo, a differenza dello scorso anno, rimarrà installata almeno fino alla fine del prossimo contest. Questo rappresenta qualcosa di importante in quanto potrà essere utilizzato a più ampio raggio da chi ne avrà bisogno, dalla divisione Velivoli di Leonardo stessa, alla Drone unit della Polizia municipale di Torino affinché possa accedervi per portare avanti una serie di training, passando alle start up che intendano sviluppare i propri progetti in quella che può essere definita come una sorta di palestra per droni: «Esattamente, è come rendere disponibile uno strumento con il quale poter fare palestra» - aggiunge Sissmann - «vogliamo mantenere questo campo di gara allestito per permettere non solo a queste sei università di sviluppare i propri progetti durante tutto l'anno, ma anche ad altri atenei o piccole medie imprese italiane e straniere di poter venire a testare tecnologie innovative nell'ambito dei droni».
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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