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2021-10-01
Una gara tra dottorandi per sviluppare i droni senza gps
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Si è svolta a Torino, negli stabilimenti della Divisione velivoli, la seconda edizione del Leonardo drone contest, la competizione organizzata in collaborazione con sei università italiane, per promuovere lo sviluppo dell'intelligenza artificiale applicata all'ambito dei sistemi senza pilota. A trionfare per il secondo anno consecutivo il Politecnico di Milano.
Innovazione tecnologica, intelligenza artificiale e droni: tutto condensato in una competizione, che rappresenta un unicum a livello nazionale e internazionale. Leonardo, in collaborazione con sei università italiane (Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Roma Tor Vergata, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e Università degli Studi di Napoli Federico II), ha organizzato per il secondo anno consecutivo il Leonardo drone contest, una gara in cui sei dottorandi si sfidano a colpi di algoritmi in grado di far volare i propri droni in maniera autonoma all'interno di un campo gara costruito ad hoc in un'ala dello stabilimento torinese Divisione velivoli di Leonardo.
Il compito del drone è quello di riuscire a posizionarsi all'interno dell'arena senza l'utilizzo del segnale gps e dovrà completare due missioni: nella prima cercare i robot non collaborativi che si muovono all'interno del campo in maniera autonoma. Una volta individuati scatterà una foto che verrà trasmessa immediatamente alla stazione di controllo dove c'è il team universitario che può così ricevere le informazioni ed elaborarle. Qui parte la seconda parte della missione: grazie alle informazioni ricevute si decide su quale piazzola effettuare l'operazione di atterraggio e il drone in autonomia le completa. I punteggi vengono calcolati in base alla difficoltà della piazzola: ci sono quelle centrali senza nessun oggetto intorno che hanno un punteggio più basso e poi ci sono quelle in cui l'atterraggio autonomo è più complicato, perché magari hanno vicino dei palazzi, che assegnano un punteggio più alto.
A trionfare alla fine della tre giorni torinese, 27-28-29 settembre, al culmine di una difficile e combattuta manche, sono stati per il secondo anno consecutivo i ragazzi del Politecnico di Milano guidati dal dottorando Gabriele Roggi. Sugli altri due gradini del podio si sono piazzati, rispettivamente al secondo e al terzo posto, la squadra dell'università di Roma Tor Vergata capitanata dal dottorando Simone Mattogno e quella del Politecnico di Torino del dottorando Simone Godio. Al team del dottorando Lorenzo Gentilini dell'Università Alma Mater Studiorum di Bologna, come lo scorso anno, è stato assegnato il Premio Speciale della giuria «per aver suscitato interesse con le loro soluzioni tecnologicamente avanzate di collaborazione tra sistemi e automazione».
Una gara tosta che rispetto allo scorso anno ha visto aumentare il livello di difficoltà, specialmente per un dettaglio: l'assenza del gps. A spiegare il perché, il Senior Vice President Unmanned System di Leonardo, Laurent Sissmann: «Abbiamo deciso di togliere il gps perché l'assenza di segnale è una difficoltà reale che noi troviamo nel far volare i droni in un contesto urbano, nel momento in cui siamo in una città fitta con un certo numero di grattacieli che creano un canyon urbano che non consentono di avere un posizionamento preciso. Nella nostra idea, quindi, il drone deve essere in grado di sapere esattamente qual è la sua bolla di manovra anche in situazioni di segnale scarso». Un ragionamento che si incastona in quel che è lo spirito con cui è nata l'idea di questo contest basato su un triennio di dottorato, ovvero alzare anno dopo anno l'asticella attraverso un percorso congiunto con lo scopo di creare un ecosistema tra azienda, università, piccole e medie imprese e start up, che immetta in questo settore qualcosa che prima non c'era. «Alla fine di questi tre anni noi vogliamo che il sistema paese possa contare su una serie di professionalità nuove, di curriculum di studio dentro le università che parlino di intelligenza artificiale, di computer vision, di sensor fusion e di guida autonoma in assenza di segnale satellitare. Tutte competenze che prima di questo contest non c'erano sul mercato» spiega Sissmann.
Il manager francese porta vanti un progetto nato tre anni fa dall'idea di coinvolgere i migliori atenei italiani e metterli in competizione tra loro. Non una competizione fine a se stessa, ma una gara per stimolare le università a mettere a disposizione dei singoli dottorandi il miglior asset possibile affinché il progetto possa essere sviluppato. Proprio in questa direzione, nel contest di quest'anno i team hanno cominciato a dare ognuno il proprio contributo originale, ognuno con la propria mentalità, il proprio algoritmo e la propria visione di come risolvere un problema. Perché i droni utilizzati per la gara vengono testati su situazioni concrete che un domani possono verificarsi nella realtà. «È uno strumento di open innovation» - spiega Sissmann - «un modo con il quale noi andiamo a guardare al di fuori delle mura dell'azienda e dentro le eccellenze universitarie, alle quali noi chiediamo di lavorare su quello che sappiamo sarà utile all'azienda in un orizzonte futuro di due, cinque, dieci anni. Tant'è vero che il capo dell'ingegneria divisone Velivoli mi ha detto che quest'anno stiamo toccando con mano dei progressi fantastici». Altro aspetto da sottolineare nell'ambito del drone contest è l'importanza del percorso tecnologico rispetto al drone fatto e finito: «L'enfasi non è tanto sulla piattaforma che vola, perché si tratta di un drone abbastanza semplice. A noi non importa come i ragazzi costruiscono il drone, noi li sappiamo costruire, a noi interessa come loro sviluppano una tecnologia che utilizzi i vari sensori, l'intelligenza a bordo, quello che ti permette di capire dove sei, cosa fare senza che ci sia qualcuno che ti dia un input nel momento in cui tu l'hai fatto partire».
E dopo questi tre anni cosa succede? Quale sviluppo avrà il progetto migliore? «Ogni progetto avrà la sua forma di continuità e avrà lo sviluppo che vorrà dargli il dottorando vincitore. Ma molto dipenderà dal percorso professionale che vorrà intraprendere» afferma Sissmann - «perché noi stiamo lavorando con sei università finanziando sei dottorandi, ma magari uno di loro vorrà fare l'imprenditore creando una sua start up, un altro vorrà fare il professore universitario e ci aiuterà perché ci sono tanti rapporti tra azienda e università e noi possiamo creare dei ponti che ci permettono di progredire insieme come ecosistema, un altro magari verrà a lavorare con noi in uno dei nostri uffici di ingegneria o innovazione, oppure un altro ancora magari si sarà stufato e farà tutt'altro. Il nostro successo sarà determinato nel momento in cui questi sei dottorandi continueranno a contribuire in un modo o in un altro alla tecnologia, alla ricerca e all'industria su queste tematiche».
E poi c'è il campo gara. L'arena allestita all'interno di un'area della divisione Velivoli di Leonardo, a differenza dello scorso anno, rimarrà installata almeno fino alla fine del prossimo contest. Questo rappresenta qualcosa di importante in quanto potrà essere utilizzato a più ampio raggio da chi ne avrà bisogno, dalla divisione Velivoli di Leonardo stessa, alla Drone unit della Polizia municipale di Torino affinché possa accedervi per portare avanti una serie di training, passando alle start up che intendano sviluppare i propri progetti in quella che può essere definita come una sorta di palestra per droni: «Esattamente, è come rendere disponibile uno strumento con il quale poter fare palestra» - aggiunge Sissmann - «vogliamo mantenere questo campo di gara allestito per permettere non solo a queste sei università di sviluppare i propri progetti durante tutto l'anno, ma anche ad altri atenei o piccole medie imprese italiane e straniere di poter venire a testare tecnologie innovative nell'ambito dei droni».
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Riduci
Si è svolta a Torino, negli stabilimenti della Divisione velivoli, la seconda edizione del Leonardo drone contest, la competizione organizzata in collaborazione con sei università italiane, per promuovere lo sviluppo dell'intelligenza artificiale applicata all'ambito dei sistemi senza pilota. A trionfare per il secondo anno consecutivo il Politecnico di Milano.Innovazione tecnologica, intelligenza artificiale e droni: tutto condensato in una competizione, che rappresenta un unicum a livello nazionale e internazionale. Leonardo, in collaborazione con sei università italiane (Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Roma Tor Vergata, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e Università degli Studi di Napoli Federico II), ha organizzato per il secondo anno consecutivo il Leonardo drone contest, una gara in cui sei dottorandi si sfidano a colpi di algoritmi in grado di far volare i propri droni in maniera autonoma all'interno di un campo gara costruito ad hoc in un'ala dello stabilimento torinese Divisione velivoli di Leonardo.Il compito del drone è quello di riuscire a posizionarsi all'interno dell'arena senza l'utilizzo del segnale gps e dovrà completare due missioni: nella prima cercare i robot non collaborativi che si muovono all'interno del campo in maniera autonoma. Una volta individuati scatterà una foto che verrà trasmessa immediatamente alla stazione di controllo dove c'è il team universitario che può così ricevere le informazioni ed elaborarle. Qui parte la seconda parte della missione: grazie alle informazioni ricevute si decide su quale piazzola effettuare l'operazione di atterraggio e il drone in autonomia le completa. I punteggi vengono calcolati in base alla difficoltà della piazzola: ci sono quelle centrali senza nessun oggetto intorno che hanno un punteggio più basso e poi ci sono quelle in cui l'atterraggio autonomo è più complicato, perché magari hanno vicino dei palazzi, che assegnano un punteggio più alto.A trionfare alla fine della tre giorni torinese, 27-28-29 settembre, al culmine di una difficile e combattuta manche, sono stati per il secondo anno consecutivo i ragazzi del Politecnico di Milano guidati dal dottorando Gabriele Roggi. Sugli altri due gradini del podio si sono piazzati, rispettivamente al secondo e al terzo posto, la squadra dell'università di Roma Tor Vergata capitanata dal dottorando Simone Mattogno e quella del Politecnico di Torino del dottorando Simone Godio. Al team del dottorando Lorenzo Gentilini dell'Università Alma Mater Studiorum di Bologna, come lo scorso anno, è stato assegnato il Premio Speciale della giuria «per aver suscitato interesse con le loro soluzioni tecnologicamente avanzate di collaborazione tra sistemi e automazione».Una gara tosta che rispetto allo scorso anno ha visto aumentare il livello di difficoltà, specialmente per un dettaglio: l'assenza del gps. A spiegare il perché, il Senior Vice President Unmanned System di Leonardo, Laurent Sissmann: «Abbiamo deciso di togliere il gps perché l'assenza di segnale è una difficoltà reale che noi troviamo nel far volare i droni in un contesto urbano, nel momento in cui siamo in una città fitta con un certo numero di grattacieli che creano un canyon urbano che non consentono di avere un posizionamento preciso. Nella nostra idea, quindi, il drone deve essere in grado di sapere esattamente qual è la sua bolla di manovra anche in situazioni di segnale scarso». Un ragionamento che si incastona in quel che è lo spirito con cui è nata l'idea di questo contest basato su un triennio di dottorato, ovvero alzare anno dopo anno l'asticella attraverso un percorso congiunto con lo scopo di creare un ecosistema tra azienda, università, piccole e medie imprese e start up, che immetta in questo settore qualcosa che prima non c'era. «Alla fine di questi tre anni noi vogliamo che il sistema paese possa contare su una serie di professionalità nuove, di curriculum di studio dentro le università che parlino di intelligenza artificiale, di computer vision, di sensor fusion e di guida autonoma in assenza di segnale satellitare. Tutte competenze che prima di questo contest non c'erano sul mercato» spiega Sissmann.Il manager francese porta vanti un progetto nato tre anni fa dall'idea di coinvolgere i migliori atenei italiani e metterli in competizione tra loro. Non una competizione fine a se stessa, ma una gara per stimolare le università a mettere a disposizione dei singoli dottorandi il miglior asset possibile affinché il progetto possa essere sviluppato. Proprio in questa direzione, nel contest di quest'anno i team hanno cominciato a dare ognuno il proprio contributo originale, ognuno con la propria mentalità, il proprio algoritmo e la propria visione di come risolvere un problema. Perché i droni utilizzati per la gara vengono testati su situazioni concrete che un domani possono verificarsi nella realtà. «È uno strumento di open innovation» - spiega Sissmann - «un modo con il quale noi andiamo a guardare al di fuori delle mura dell'azienda e dentro le eccellenze universitarie, alle quali noi chiediamo di lavorare su quello che sappiamo sarà utile all'azienda in un orizzonte futuro di due, cinque, dieci anni. Tant'è vero che il capo dell'ingegneria divisone Velivoli mi ha detto che quest'anno stiamo toccando con mano dei progressi fantastici». Altro aspetto da sottolineare nell'ambito del drone contest è l'importanza del percorso tecnologico rispetto al drone fatto e finito: «L'enfasi non è tanto sulla piattaforma che vola, perché si tratta di un drone abbastanza semplice. A noi non importa come i ragazzi costruiscono il drone, noi li sappiamo costruire, a noi interessa come loro sviluppano una tecnologia che utilizzi i vari sensori, l'intelligenza a bordo, quello che ti permette di capire dove sei, cosa fare senza che ci sia qualcuno che ti dia un input nel momento in cui tu l'hai fatto partire».E dopo questi tre anni cosa succede? Quale sviluppo avrà il progetto migliore? «Ogni progetto avrà la sua forma di continuità e avrà lo sviluppo che vorrà dargli il dottorando vincitore. Ma molto dipenderà dal percorso professionale che vorrà intraprendere» afferma Sissmann - «perché noi stiamo lavorando con sei università finanziando sei dottorandi, ma magari uno di loro vorrà fare l'imprenditore creando una sua start up, un altro vorrà fare il professore universitario e ci aiuterà perché ci sono tanti rapporti tra azienda e università e noi possiamo creare dei ponti che ci permettono di progredire insieme come ecosistema, un altro magari verrà a lavorare con noi in uno dei nostri uffici di ingegneria o innovazione, oppure un altro ancora magari si sarà stufato e farà tutt'altro. Il nostro successo sarà determinato nel momento in cui questi sei dottorandi continueranno a contribuire in un modo o in un altro alla tecnologia, alla ricerca e all'industria su queste tematiche».E poi c'è il campo gara. L'arena allestita all'interno di un'area della divisione Velivoli di Leonardo, a differenza dello scorso anno, rimarrà installata almeno fino alla fine del prossimo contest. Questo rappresenta qualcosa di importante in quanto potrà essere utilizzato a più ampio raggio da chi ne avrà bisogno, dalla divisione Velivoli di Leonardo stessa, alla Drone unit della Polizia municipale di Torino affinché possa accedervi per portare avanti una serie di training, passando alle start up che intendano sviluppare i propri progetti in quella che può essere definita come una sorta di palestra per droni: «Esattamente, è come rendere disponibile uno strumento con il quale poter fare palestra» - aggiunge Sissmann - «vogliamo mantenere questo campo di gara allestito per permettere non solo a queste sei università di sviluppare i propri progetti durante tutto l'anno, ma anche ad altri atenei o piccole medie imprese italiane e straniere di poter venire a testare tecnologie innovative nell'ambito dei droni».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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