2023-01-15
Le pillole di galateo di Petra e Carlo: cibi che si possono mangiare con le mani
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Se pecora ti fai, il Tribunale per i minorenni ti mangia. La nuova linea difensiva dei Trevaillon, ispirata alla collaborazione, per ora non paga assolutamente. Niente bosco, niente bambini, niente Natale tutti insieme in un ambiente che sappia di famiglia e non di asettico reclusorio di Stato. E più i due bimbi stanno nelle mani degli assistenti sociali e delle toghe e più, magicamente, emergono elementi che li condannano a cambiare famiglia.
L’ordinanza dell’11 dicembre scorso del Tribunale dell’Aquila sembra un passo avanti verso la sottrazione dei bambini ai genitori. La legge prevede che questo provvedimento sia adottato quando il minore è in pericolo grave e immediato per la sua incolumità fisica o psichica, a causa di maltrattamenti, incuria, degrado familiare, dipendenze dei genitori (alcol, droghe) o violenza, e solo se il minore non può essere protetto in altro modo. Al termine dell’ordinanza di sei pagine, si legge che è necessaria una consulenza specialistica che compia «un’indagine personologica e psico-diagnostica del profilo di personalità di ciascun genitore dei minori per valutare: gli stili relazionali e comportamentali; le capacità e competenze genitoriali, nello specifico la capacità di riconoscimento dei bisogni psicologici del minore; l’attenzione progettuale alle esigenze di crescita». Andranno anche valutate le caratteristiche psichiche specifiche dei genitori e se le loro «capacità genitoriali siano recuperabili in tempi congrui», indicando «anche il percorso educativo che i genitori dovranno allo scopo intraprendere». Un compito da brividi, espresso anche con un linguaggio da brividi. La Ctu è stata affidata a Simona Ceccoli, psichiatra che opera presso Villa Letizia dell’Aquila, di proprietà del gruppo privato francese Almaviva Santé. Nella camera di consiglio, il presidente Cecilia Angrisano è stata affiancata dal giudice Roberto Ferrari e dai giudici onorari Simone Giovarruscio, psicologo abruzzese, e Alida Gabriela Alvaro, psicortereaputa teramana esperta di autismo e disturbi dell’apprendimento.
La casa «inidonea» resta un elemento chiave del tribunale nella tenere i bimbi in Istituto, nonostante una serie di offerte e concessioni da parte della famiglia e dei suoi legali. Nell’ultimo provvedimento si legge: «Non sono stati prodotti i documenti necessari previsti; non era stato prodotto il certificato di collaudo statico ed era pacifica l’assenza degli impianti elettrico, idrico e termico, dei quali non era quindi verificabile la conformità. Non erano state verificate le condizioni di salubrità dell’abitazione, con particolare riguardo all’umidità, incidente sullo sviluppo di patologie polmonari».
Anche il tema dell’educazione scolastica, man mano che i bambini stanno in istituto, sembra delinearsi in modo sempre più pesante, per i genitori. L’homeschooling in Italia è ammesso e perfettamente legale, ma è soggetto a precise verifiche scolastiche. Detta in soldoni, non parlare in italiano ai bambini, a casa o nel bosco, può diventare parecchio pericoloso per i genitori perché, poi, gli esami vertono innanzitutto su questo.
Il certificato di inidoneità alla terza classe della primaria per Utopia Rose (8 anni), presentato dai genitori ai servizi sociali, porta la firma della «Novalis Open School» di Brescia e non era stato contestato dai giudici. E lo stesso vale per un’attestazione della scuola pubblica di Castiglione Messer Marino (Chieti) sull’educazione parentale. L’ordinanza del 13 novembre non aveva contestato ai genitori alcuna lesione del diritto dei minori a ricevere un’educazione adeguata, ma si era focalizzata sulla mancanza di socialità. Il tribunale osserva ora che la carenza nell’educazione dei due bimbi sarebbe emersa una volta rinchiusi nella casa famiglia, a seguito di particolare osservazione.
Nell’ultima ordinanza viene anche segnalato come rilevante uno dei tanti comportamenti eccentrici della madre, la quale, dicono, «pretende che vengano mantenute dai figli abitudini e orari difformi dalle regole che disciplinano la vita degli altri minori ospiti della comunità, circostanza che fa dubitare dell’affermata volontà di cooperare stabilmente con gli operatori nell’interesse dei figli». Insomma, più questa donna si ribella agli assistenti sociali e più compromette il proprio diritto a essere madre.
Il Tribunale per i minorenni aquilano riferisce, poi, che i servizi sociali hanno trasmesso un certificato medico per ciascun minore, nel quale la pediatra evidenzia la necessità, «in considerazione della storia clinica e familiare», di effettuare una visita neuropsichiatrica infantile, «per una globale valutazione psicologica e comportamentale dei bambini», nonché esami del sangue «per una valutazione dello stato immunitario vaccinale». E qui i genitori, scrivono i giudici, «hanno di fatto rifiutato gli accertamenti indicati dalla pediatra, dichiarando che vi consentiranno solo se verrà loro corrisposto un compenso di 50.000 euro per ogni minore».
La «rieducazione» di papà e mamma è ancora insoddisfacente: «Non rinunciano ai loro valori». Perciò verrà eseguita una perizia psichiatrica entro 120 giorni. Intanto i bambini restano in comunità: un trauma indelebile.
Ci hanno messo più di un mese ma, alla fine, hanno deciso: il Tribunale dei minori dell’Aquila, con una ordinanza datata 11 dicembre (ma notificata agli avvocati solo ieri), stabilisce che i tre bambini di Nathan e Catherine Trevallion non potranno tornare a casa per Natale. Rimarranno nella struttura protetta dove si trovano da un mese e dove possono vedere la madre ore pasti e il padre qualche minuto ogni tanto. A Nathan è stato concesso di passare la mattinata di Natale con moglie e figli: «Lo potrà fare dalle 10 alle 12.30», ha dichiarato ieri sera il sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli.
Ovviamente, però, c’è di peggio. Nonostante genitori e figli siano separati da un mese e nonostante papà e mamma Trevallion abbiano fatto di tutto per dimostrare di essere disposti a venire incontro alle richieste di giudici e assistenti sociali, il tribunale ritiene che la loro rieducazione non sia ancora completata. Anzi, continua a giudicarli piuttosto riottosi e non sembra tenere conto di tutti i gesti di apertura compiuti dai genitori. Motivo per cui ha disposto una valutazione psicologica di Nathan e Catherine. Già: una perizia psichiatrica affidata alla dottoressa Simona Ceccoli, che avrà 120 giorni di tempo per completarla. Il che significa, immaginiamo, che i tempi per il rientro dei bambini siano davvero lunghissimi. Alla fine di gennaio il servizio sociale depositerà una relazione sugli interventi compiuti finora. Nel frattempo, la famiglia sarà posta sotto attenta sorveglianza.
«Non è ancora pervenuta la valutazione del servizio di neuropsichiatria infantile, necessaria per verificare eventuali carenze e stabilire gli interventi necessari per colmarle», scrive il tribunale dell’Aquila. «Nella situazione descritta si ritiene peraltro necessario un congruo accertamento tecnico sulle competenze genitoriali, tanto più in considerazione del gravoso carico educativo che i genitori, optando per scelte di istruzione non convenzionali, si sono assunti in via esclusiva, senza potersi giovare del contributo dei professionisti dell’educazione». Per il tribunale, i Trevallion sono troppo poco malleabili. «Gli indizi che si ricavano dalla condotta tenuta dai genitori nelle interlocuzioni con le autorità sanitaria e sociosanitaria e nell’ambito di questo procedimento parrebbero deporre in favore di una notevole rigidità dipendente dai valori ai quali conformano le loro scelte di vita e dell’assenza di competenze negoziali che consentano loro di ottenere i risultati perseguiti e di farlo al minor costo possibile», si legge nell’ordinanza.
Interessante: se sei troppo rigido, cioè saldo, nei tuoi valori, allora rischi che ti tolgano la prole. Se si dovesse usare questo criterio, rischierebbero perfino San Giuseppe e Maria, anzi soprattutto loro. Per i giudici, infatti, è semplicemente intollerabile che i Trevallion mostrino atteggiamenti stravaganti.
«Significativo appare il rifiuto dell’impiego del sondino naso-gastrico (verosimilmente poiché fatto di silicone o poliuretano) nel trattamento dell’intossicazione da funghi dei figli in occasione del ricovero in ospedale, che denota l’assoluta indisponibilità dei genitori a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali», leggiamo ancora. «Come del resto» è stato «necessario insistere perché la madre abbattesse la sua contrarietà a trattare la seria bronchite con broncospasmo da cui era affetta Bluebell. Infine, deve stigmatizzarsi l’insistenza con cui la madre pretende che vengano mantenute dai figli abitudini e orari difformi dalle regole che disciplinano la vita degli altri minori ospiti della comunità, circostanza che fa dubitare dell’affermata volontà di cooperare stabilmente con gli operatori nell’interesse dei figli. Nel corso del procedimento, a soluzioni concordate del minor impatto possibile, hanno preferito l’intensificazione dello scontro con gli operatori, con reiterate manifestazioni di diffidenza nei confronti dei difensori, reiteratamente sostituiti». Davvero inconcepibile: la madre vorrebbe poter decidere come i figli vanno educati e curati, e proprio non si rassegna a farsi comandare da altri.
Per questo motivo, il tribunale ritiene «necessario avvalersi della consulenza e dell’ausilio di esperto che provveda» a compiere «un’indagine personologica e psico-diagnostica del profilo di personalità di ciascun genitore dei minori per valutare: gli stili relazionali e comportamentali; le capacità e competenze genitoriali, nello specifico la capacità di riconoscimento dei bisogni psicologici (in particolare affettivi ed educativi) del minore; l’attenzione progettuale alle esigenze di crescita del minore per garantire un adeguato sviluppo psichico». La psichiatra dovrà, poi, «valutare se i genitori presentino caratteristiche psichiche idonee ad incidere sull’esercizio della responsabilità genitoriale. Ove tale incidenza sia affermata, riferisca se le capacità genitoriali siano recuperabili in tempi congrui rispetto allo sviluppo e alla crescita dei minori, indicando il percorso educativo che i genitori dovranno allo scopo intraprendere». Infine, la specialista sarà tenuta a «compiere un’indagine psico-diagnostica sui minori per accertare le loro condizioni attuali di vita, l’andamento dello sviluppo cognitivo e psico-affettivo, le figure di riferimento riconosciute dagli stessi minori e i modelli di identificazione sviluppati». Tutto chiaro, tutto liscio. Tolti i figli, obbligati i genitori a piegarsi alle regole, ora li si disciplinerà per bene tramite apposito percorso psicologico, affinché si uniformino perfettamente.
E chi decide, i giudici? No, una psichiatra. Viene da domandarsi su quale base effettuerà la sua valutazione: quale comportamento riterrà idoneo? Quali valori? Deciderà che i genitori sono adatti quando saranno disponibili a rinunciare alle loro convinzioni? In un lampo, i Trevallion sono stati patologizzati e dovranno dimostrare di essere sani. Ammesso che, tra un ricatto e l’altro, di loro rimanga qualcosa.
Sono trascorsi quasi dieci anni da quando insieme con un pugno di giornalisti ho dato vita alla Verità. Allora a spingerci a fondare un nuovo quotidiano, mentre gran parte della stampa incontrava difficoltà a far quadrare i bilanci, fu la voglia di indipendenza. Molti di noi avevano un posto di lavoro sicuro, mentre altri non avrebbero fatto fatica a trovarlo se appena avessero avuto intenzione di cercarlo. Invece scelsero di partecipare a un’avventura, con uno spirito pionieristico, per non avere né padroni né padrini, per non dover rendere conto a nessuno se non ai lettori, pochi o tanti che fossero. Credo di poter dire che in quasi dieci anni, ovvero nelle oltre 3.300 edizioni della Verità, non siamo mai venuti meno ai propositi dei primi giorni.
La passione per le notizie, il desiderio di poter esprimere un’opinione anche quando questa rischia di suscitare polemiche perché contro corrente, sono gli stessi del 20 settembre 2016. Mi piace ricordare che, mentre tutti di fronte al crollo del ponte Morandi tacevano sul nome dei proprietari di Autostrade, noi non abbiamo esitato a farlo. Mentre altri si piegavano ai voleri dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, La Verità non ha dubitato un istante, pubblicando tutto ciò che i suoi cronisti erano in grado di documentare. Così come non ci siamo tirati indietro quando si è trattato di mandare in stampa il cosiddetto dossier Viganò, che alzava il velo sulle responsabilità di alti prelati in squallide vicende di pedofilia, senza tacere neppure le critiche mosse dall’ex nunzio in America nei confronti di papa Francesco. Non starò a ricordare tutte le inchieste, gli scoop, le prese di posizione che in questi anni ci hanno distinto. Però credo che sia d’obbligo non dimenticare la battaglia condotta contro i lockdown e, soprattutto, contro l’obbligo vaccinale e l’introduzione di un tesserino per poter lavorare, per poter viaggiare e perfino per recarsi al bar. Fu quello uno dei periodi più bui per il nostro Paese e non soltanto per i morti di Covid, ma anche per la limitazione delle libertà costituzionali, come il diritto di poter lavorare e di potersi spostare senza divieti. Nonostante si stesse creando un vulnus assai pericoloso per la nostra democrazia, solo noi della Verità, anche a costo di essere accusati delle peggiori nefandezze (c’è chi ci rimproverò di avere sulla coscienza i morti di coronavirus, chi ci insultò, mentre altri semplicemente invocarono il bavaglio) tenemmo il punto, criticando il governo dell’epoca, presieduto da Mario Draghi.
Più di recente, sempre in solitudine, abbiamo denunciato la sostituzione di due professori nominati dal ministro della Salute nella commissione per la valutazione dei vaccini: i colleghi non li volevano seduti allo stesso tavolo perché non allineati con il pensiero unico delle grandi aziende farmaceutiche. Un mese fa invece abbiamo scoperchiato le trame di uno dei principali collaboratori di Sergio Mattarella. Ossia di un ex parlamentare del Pd che, una volta perso lo scranno, ha trovato posto come segretario del Consiglio supremo di Difesa, ma nei tempi morti sogna provvidenziali scossoni per cambiare l’assetto politico che, guarda caso, in questo momento è presidiato da una maggioranza di centrodestra. E la settimana scorsa, grazie ai nostri articoli, la riforma dei condomini che rischiava di caricare altri costi sul bilancio già magro delle famiglie, oltre ad aprire la strada ai fornitori per rivalersi sui condomini onesti in caso di morosità di qualche vicino, è stata ritirata.
Ho ripercorso alcune delle nostre battaglie non per cercare l’applauso di voi lettori, ma solo per ricordare che La Verità in questi anni non ha risparmiato nessuno, né Renzi, né Conte, né Draghi e nemmeno l’attuale maggioranza. Se pensiamo che qualcosa sia sbagliato lo diciamo senza alcun imbarazzo e se scoviamo una notizia degna di nota la pubblichiamo, a prescindere da chi stia al governo. Perché scrivo tutto ciò? Perché mi ha disturbato la polemica contro Marcello Veneziani, ovvero uno dei nostri più importanti editorialisti. Autore di molti libri e di lucide quanto indipendenti riflessioni, Marcello ha scritto un articolo per dire che, nonostante il centrodestra sia al potere da tre anni, per gli italiani non è cambiato molto. Si può essere d’accordo oppure no, ma il ragionamento non può certo essere scambiato per un insulto. Eppure, il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha reagito in maniera sgarbata, rimproverando a Veneziani di far parte di coloro che rosicano e anche di essere invidioso per non aver ricevuto incarichi di prestigio. Essendo un dei pochi intellettuali di destra, mi risulta che Marcello sia stato a lungo corteggiato da esponenti di governo. Ma non è questo il punto. Ciò che stupisce è l’idea che, se aderisci a un’area culturale e politica, non puoi permetterti di criticare quella stessa area. Non si è traditori se su certi argomenti la si pensa in modo diverso da chi governa, anche se si proviene dallo stesso mondo. Non si è voltagabbana e nemmeno si è rosiconi se sulla riforma dei condomini si critica, sebbene sia di centrodestra, chi l’ha presentata. Se si ha un giudizio diverso e non si fanno sconti neppure agli amici si è semplicemente liberi. È l’indipendenza, da padroni e padrini, che ci consente di dire quello che pensiamo e di scrivere ciò che vogliamo. Come ho spiegato di recente, se non ci fermano le denunce di chi pensa di tapparci la bocca rivolgendosi ai giudici, figuratevi se ci facciamo imbavagliare da chi ci accusa di avere la pelle esausta e la bile nera dei rancorosi. Il problema è che non siamo in cerca di premi, non siamo a caccia di posti, e non lo saremo mai. Sia che governi la sinistra, sia che a Palazzo Chigi ci sia la destra.
Può essere che i giudici della Corte costituzionale, il cui compito è di verificare la conformità delle leggi alla Costituzione, si siano rifatti a loro stessi, o meglio, alla sentenza del 30 novembre 2022 con la quale la Consulta, per la prima volta nella storia, aveva stabilito che fosse «legittimo» l’obbligo vaccinale e relative sanzioni (sospensione dal lavoro e dallo stipendio per i non vaccinati), rendendo di fatto diritti fondamentali, come quello al lavoro, «disponibili» anziché «intangibili».
Fatto sta che a tre anni di distanza, con la sentenza numero 199 depositata ieri, la Corte costituzionale ha confermato l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’articolo 1 del dl 1/2022 sull’obbligo di vaccinazione per i cinquantenni e sull’articolo 1 del dl 127/2021, che ha introdotto l’obbligo di green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro in Italia, prevedendo la possibilità di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.
Colpiscono le parole utilizzate nella sentenza (redatta praticamente in modalità fotocopia rispetto a quella del 2022, ndr): la Corte, citando di fatto sé stessa, ribadisce che l’obbligo vaccinale per gli over 50 «rappresenta una misura […] preordinata a […] ridurre la circolazione del virus». La Consulta ha, inoltre, escluso la violazione dell’articolo 32, comma 1 della Costituzione in quanto «le evidenze scientifiche disponibili» all’epoca confermano «l’efficacia della vaccinazione come misura di prevenzione fondamentale per contenere la diffusione dell’infezione». Sembra incredibile che, nonostante quelle presunte evidenze fossero state smontate già a ottobre 2022 dalla stessa Pfizer, che aveva ammesso ufficialmente che il vaccino non era stato concepito per ridurre l’infezione, la Corte continui a motivare le proprie decisioni sulla base di un assunto scientifico smentito fino alla noia da tutte le autorità scientifiche internazionali. Non solo: la Consulta ha stabilito che «secondo Aifa e Iss, la maggior parte delle reazioni avverse ai vaccini sono non gravi e con esito in risoluzione completa», mentre «le reazioni avverse gravi hanno una frequenza da rara a molto rara e non configurano un rischio tale da superare i benefici della vaccinazione».
Infine, ciliegina sulla torta, secondo la Consulta le conseguenze del mancato adempimento agli obblighi (perdita di lavoro e stipendio) sarebbero «frutto di una scelta individuale» perché l’inosservanza «assume una rilevanza meramente sinallagmatica»: l’inadempimento delle norme contrattuali, insomma, rende la prestazione non conforme alle regole del rapporto.

