2023-10-19
Stelle al totonero ed Euro in bilico. Ma Gravina si inchioda alla poltrona
Gabriele Gravina (Getty Images)
Se la Figc sapeva delle scommesse è grave, se non lo sapeva è anche peggio. Dopo il tonfo a Wembley l’Italia rischia l’ennesima esclusione ma il presidente fischietta: «Non mi sento coinvolto». Matteo Salvini: «Ora si dimetta». «Gravina si deve dimettere». Il sibilo del pallone che si sgonfia si avverte da lontano, ancora una volta. E non è mai l’ultima. Questo è l’unico, paradossale, vantaggio per il presidente della Federcalcio, ormai solo sulla tolda del Pequod come il capitano Achab davanti alla Balena Bianca. Lo scandalo del calcioscommesse sta facendo tremare il palazzo del pallone dalle fondamenta ed è Matteo Salvini, abituale frequentatore di stadi con la maglia del Milan, a mettere il dito nella piaga. Il comunicato della Lega non lascia dubbi: «Alla luce di quanto sta emergendo nel calcio italiano tra scommesse, doping, fallimenti sportivi, problemi infrastrutturali e televisivi, crisi economiche, cosa deve accadere ancora per rivoluzionare la guida del movimento?».La domanda è retorica, scontata la conclusione del vicepremier: «È sempre più necessario, per rispetto di milioni di appassionati e in particolare dei più giovani, un radicale cambiamento a partire dalle dimissioni del presidente Gabriele Gravina». Il siluro è potente e preciso come il destro di Harry Kane a Wembley, non lascia scampo e apre scenari politici inquietanti per il vertice della casa pallonara. L’inchiesta preannuncia svolte importanti, lo stillicidio delle ultime rivelazioni non può restare senza conseguenze. E le dichiarazioni di prammatica del presidente in bilico non convincono nessuno. «I ragazzi vanno aiutati, non li abbandoniamo», è una banalità senza spessore. «Non mi sento particolarmente coinvolto se non perché devo agire» è un chiamarsi fuori alla ricerca di giustificazioni. In realtà per le scommesse illegali a pioggia Gravina è sul banco degli imputati. Fra accuse incrociate, sospetti di giocate anche sui club di appartenenza, chat proibite, denunce di omissioni, lo scandalo si sta trasformando in una tempesta perfetta che rischia di travolgere lo sport più popolare d’Italia e al tempo stesso la terza azienda (per fatturato e indotto) del Paese. La responsabilità oggettiva dei federali è innegabile e una piaga come quella della ludopatia, che si è insinuata fra i calciatori più giovani della Serie A, non può rimanere senza conseguenze. Se la Federcalcio sapeva qualcosa e non ha messo in atto alcuna prevenzione è colpevole. Se non sapeva nulla ed è caduta da Marte, lo è ancora di più. Dire oggi, come fa il presidente «Questi ragazzi per me sono come figli e non possono diventare carne da macello», sa di ombrello aperto durante l’uragano mentre si è inzuppati dalla testa ai piedi. La ludopatia è una piaga che esiste da oltre un ventennio e riguarda persone che distruggono le loro famiglie per disperazione. Giovani milionari allo sbando, incapaci di scegliere fra bene e male, sono invece il risultato di un sistema malato, incapace di autoregolamentarsi con efficacia e superficiale nell’approccio. Lo stesso ministro dello Sport, Andrea Abodi, fa un distinguo pesante: «La federazione è indubbiamente responsabile del sistema, anche se ci sono tante altre tappe prima». Ieri Gravina ha subìto l’attacco frontale della senatrice Michaela Biancofiore (Coraggio Italia): «Per fermare la deriva sportiva e morale che da troppo tempo ha messo radici credo sia urgente un cambio ai vertici della Figc. Gravina dovrebbe avere un sussulto di dignità». La solidarietà del numero uno dell’Assoallenatori Renzo Ulivieri («Gli attacchi politici sono strumentali») non fa che corroborare le buone intenzioni degli accusatori.La valanga riguarda il calcioscommesse, ma non solo. Ancora una volta, dopo la sconfitta contro l’Inghilterra, la Nazionale rischia la disfatta sportiva: se non conquista almeno 4 punti contro Macedonia del Nord (che già ci eliminò dai Mondiali) e Ucraina, non va agli Europei. Ce ne sarebbe a sufficienza per mettere sulla graticola chi guida il movimento e invece tutto tace in un silenzio omertoso e assordante. Senza contare l’indicatore più sensibile, quello dei diritti tv (quindi del denaro sonante): l’asta è al ribasso, i network non credono più nel valore del pallone italiano.I colpi di spugna della passata stagione, il caos dell’estate con il caso Lecco (sintomo di una malattia grave), le fragilità sportive e adesso il calcioscommesse: tutto contribuisce alla depressione e alla diffidenza. Il sibilo del pallone che si sgonfia si avverte da lontano e annuncia un nuovo colpo di spugna. Patteggiamenti, sentenze al ribasso. Se lo scandalo dei Fagioli, dei Tonali, degli Zaniolo e di chissà quanti altri si allarga, la soluzione non potrà essere diversa per non infliggere un colpo mortale al calcio italiano. Tutti colpevoli, nessun colpevole, un paradigma destinato a non risolvere nulla. Se non a spostare il problema in po’ più in là. Sbaglia Gravina a dire: «Non mi sento particolarmente coinvolto». È il numero uno, è nella posizione più alta della piramide di comando. È lassù con il vento in faccia mentre il terremoto non accenna a fermarsi. Pensare a un passo indietro non è fantascienza, è realismo. Provare a rigonfiare il pallone bucato ormai è una scommessa. Ci proverà qualcun altro.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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