
Il governo spagnolo regala ai pasdaran Lgbt la battaglia (e le poltrone) in tema di uguaglianza. Movimenti rosa in rivolta: spianando le differenze, il fronte arcobaleno cancella anche le donne. E sul gender a scuola è guerra pure con la destra.Le femministe spagnole sono inferocite con il governo di Pedro Sánchez. La ministra dell'Uguaglianza Irene Montero, compagna del leader di Podemos Pablo Iglesias (al governo assieme al Psoe grazie alla complicità degli indipendentisti), ha nominato due esponenti Lgbt in ruoli chiave. Beatriz Gimeno, 58 anni, deputata di Unidas Podemos e storica militante dei diritti di trans, lesbiche e gay, già presidente della relativa associazione nazionale quando nel 2005 Luis Rodríguez Zapatero approvò il matrimonio tra coppie dello stesso sesso, dirigerà l'Istituto per la donna. Boti García Rodrigo, settantacinquenne attivista omosessuale, è stata messa a capo della nuova divisione «Diversità sessuale e Lgbt». Era una priorità, per il governo, assegnare questi incarichi, il Paese non ne sentiva il bisogno ma Sánchez e il suo alleato dell'ultra sinistra sì, dopo le promesse fatte a trans e gay in campagna elettorale. Non hanno pensato che le esponenti del femminismo più puro e radicale mai avrebbero approvato un assalto del mondo queer al loro potere. Infatti sono sul piede di guerra, non vogliono l'autodeterminazione del sesso, hanno sempre rivendicato l'uguaglianza tra uomo e donna e invece ora si cancellerebbe la donna in nome proprio di una falsa «uguaglianza». Il queer, secondo loro, è il nuovo antifemminismo, non vogliono essere definite cisgender dagli Lgbt, sono contrarie alle teorie gender e all'idea «che uno possa dichiararsi uomo o donna a seconda di come si sente», ha commentato un'attivista sul quotidiano El Mundo. La scorsa estate, per aver sostenuto questo durante un convegno a Girona, alcune femministe furono accusate di transfobia. Molte di loro sono contrarie alla pratica di vientres de alquiler, l'utero in affitto, così come accade in movimenti analoghi italiani, giudicandola lesiva della dignità della donna e un vergognoso commercio di esseri umani. «Con l'assalto al ministero dell'Uguaglianza, i collettivi queer si sono impadroniti di strutture che avevamo impiegato 40 anni a far nostre», lamentano le stesse femministe socialiste, preoccupate perché così gli Lgbt «faranno saltare le politiche in difesa della donna». Si stanno organizzando proteste in tutto il Paese, anche contro il disegno di legge del Psoe che permetterà già all'età di 16 anni, senza autorizzazione dei genitori, di poter cambiare nome e sesso all'anagrafe. La propone da anni Carla Antonelli, socialista, il primo deputato trans in Parlamento, convinta che i pareri degli psicologi siano inutili e discriminanti. Le femministe sono furiose pure per l'ultima trovata del governo rossoviola: chiamare l'8 maggio non più festa della donna ma dei «corpi femminilizzati». Sempre per compiacere l'elettorato trans e gay che sta tanto a cuore a Podemos. Il ministro Montero, così animata dal furore egualitario da sprofondare nel ridicolo due anni fa, quando parlando di una donna portavoce la definì «portavoza» (voz, in spagnolo, è sostantivo femminile), in questi giorni sta combattendo una guerra pericolosa contro i diritti di milioni di mamme e papà spagnoli. Assieme a lei, il ministro dell'Educazione, Isabel Celaá, che ha dichiarato che i figli non appartengono ai genitori. Sarebbero proprietà dello Stato. In Italia basta pensare al sistema Bibbiano per comprendere a quali mostruosità può portare lo statalismo assoluto voluto dalla sinistra. La Celaá e la compagna di Iglesias sono in prima linea contro la norma approvata lo scorso anno nella Regione di Murcia per volontà di Vox, che obbliga le scuole a informare i genitori delle attività extrascolastiche (come corsi di educazione sessuale) e ottenere la loro approvazione prima di avviare le relative ore di lezione. Secondo le due ministre, se i genitori si oppongono vanno contro la legge. Per sostenere le sue tesi, la Celaá parla di diritti dei minori «a non essere omofobi se i genitori lo sono», e nemmeno jihadisti se mamma è papà sono seguaci dell'Isis. Dichiarazioni infelicissime secondo Acom, l'associazione che promuove i rapporti tra Spagna e Israele, subito pronta a replicare che il governo di Sánchez finanzia scuole nei territori palestinesi «dove si esaltano jihadismo e antisemitismo». Sempre secondo Acom, Irene Montero promuoverebbe «attraverso le reti sociali sentimenti di odio contro gli ebrei e atteggiamenti xenofobi». Accuse pesanti, certo ai cattolici e agli spagnoli di centrodestra non piace la piega che sta prendendo la politica per la famiglia del nuovo governo. Il pin parental, l'autorizzazione scritta da parte dei genitori agli istituti scolastici, che il partito sovranista Vox (arrivato terzo alle elezioni dell'11 novembre scorso) vorrebbe estendere da Murcia (dove è applicato da settembre) a tutto il Paese, rivendica il diritto di padri e madri di essere o meno d'accordo su corsi o attività extrascolastiche che trattino di genere, educazione e diversità sessuale. Pedro Sánchez e Isabel Celaá hanno annunciato di voler contrastare con fermezza questa facoltà, perché violerebbe il diritto dei bambini a ricevere un'educazione, secondo quanto garantisce la Costituzione. Calpesterebbe anche i diritti degli Lgbt di veder insegnati temi sulla loro condizione e sulle loro rivendicazioni, questa è l'altra questione incandescente. Sánchez, che al forum di Davos sta cercando di tranquillizzare gli investitori sui piani economici di un esecutivo con Podemos e Izquierda Unida, nella battaglia contro il pin parental secondo gli oppositori vuole in realtà distogliere l'attenzione dalla nomina del suo ex ministro della Giustizia, Dolores Delgado, a nuovo procuratore generale. Alla faccia della separazione dei poteri.
(Getty Images)
A Wall Street e nelle borse Ue volano gli indici dell’industria bellica. Un’immagine delle tensioni dell’uomo, tra vita e morte.
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Fontana: «Danni per tutto il Paese». Guidesi: «No alla centralizzazione delle risorse».
Ursula von der Leyen (Getty Images)
Lettera dei partiti che sostengono Von der Leyen, con il capo del Ppe come primo firmatario: «No alla proposta di schema di bilancio che vede tagli ai fondi agricoli e alle Regioni. Stop con questa Unione à la carte più centralizzata, che esclude l’Europarlamento».






