2019-03-02
Fuoco anche sull’affido condiviso
Per Md il disegno di legge del senatore Simone Pillon è un segnale di «nuovo oscurantismo» Il leghista tira dritto: «Invasione di campo spiacevole, però decide il Parlamento».Magistratura democratica prende posizioni durissime sulle politiche della Lega in materia di immigrati e legittima difesa. Ce n'è anche per il M5s: ha tolto voti alla sinistra. Alla faccia della separazione fra poteri.Lo speciale contiene due articoli Dopo l'attacco politico arriva quello della magistratura che, come spesso accade, non disdegna esprimersi prima che il Parlamento decida. E così, tutti insieme contro il disegno di legge Pillon che riforma il diritto di famiglia e le norme sull'affido condiviso. Dopo la senatrice Emma Bonino e la femminista già direttore del dipartimento delle statistiche sociali dell'Istat, Maria Laura Sabbadini, ieri infatti è arrivata Mariarosa Guglielmi, segretario di Magistratura democratica. Un attacco a gamba tesa non solo contro i principi ispiratori, il contenuto e gli effetti del ddl 735, ma direttamente contro il leghista Simone Pillon, accusato di far parte di una sub-cultura che produce contro riforme. E così, se per una larga opposizione il testo sulla bigenitorialità perfetta non funziona e il ddl non è emendabile e va ritirato, per Md è praticamente incostituzionale. «Si moltiplicano i segnali di un nuovo oscurantismo, di una utopia regressiva che investe interi sistemi di diritti, come il diritto di famiglia, e vuole passi indietro su conquiste fondamentali che riguardano i diritti del vivere e la libertà di agire di ciascuno di noi davanti alle decisioni della vita. Il disegno di legge Pillon è il portato della stessa sub-cultura, fortemente ideologizzata, che ha prodotto le iniziative contro l'aborto, gli attacchi in nome dei valori della famiglia “tradizionale" alle unioni civili, al biotestamento, alla laicità dello Stato». Così la Gugliemi in un passaggio della sua relazione in apertura del Congresso nazionale dell'associazione di magistrati. Pronta la risposta del senatore nonché avvocato e mediatore familiare Pillon: «Spiace prendere atto dell'invasione di campo da parte di Magistratura democratica, che non solo si scaglia contro il disegno di legge, ma persino prevede interventi da parte della Corte costituzionale e della Corte di Strasburgo. Con buona pace di Montesquieu forse oggi per qualcuno ha scarso valore il principio fondamentale della separazione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario, uno dei pilastri della nostra democrazia. Mi chiedo cosa abbiano questi magistrati contro il diritto dei bambini di stare con mamma e papà anche dopo la separazione e il divorzio». Ma Pillon non perde l'ottimismo: «Per fortuna, però, in Italia le proposte di legge, anche quelle che non piacciono a giudici di sinistra, si discutono in Parlamento, senza che siano correnti della magistratura a dettare l'agenda politica».Alla base del ddl, molto contestato fin dalla sua presentazione, lo scorso agosto, c'è la proposta di istituire, nel caso di figli minorenni di coppie separate o divorziate, una bigenitorialità «perfetta» con tempi paritari, regolata in maniera diversa rispetto a quanto avviene oggi, in cui la maggior parte dei padri mantiene i figli vedendoli a weekend alternati. Malgrado tutti siano favorevoli all'idea che la cura e l'educazione dei figli sia a carico di entrambi i genitori, il modello Pillon non piace alle opposizioni, alle femministe, ai giudici minorili e ad alcuni costituzionalisti.Maurizio Tortorella<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/fuoco-anche-sullaffido-condiviso-2630398710.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="litalia-ha-svoltato-verso-destra-e-le-toghe-rosse-tornano-in-pista" data-post-id="2630398710" data-published-at="1761633176" data-use-pagination="False"> L’Italia ha svoltato verso destra e le toghe rosse tornano in pista Più che una relazione, un atto d'accusa. Più che un discorso, una requisitoria. E anche l'imputato, seppur mai citato per nome e cognome, è evidente. È Matteo Salvini, il vicepresidente del Consiglio e ministro dell'Interno: colpevole, signori della corte, di voler trascinare l'Italia «verso un nuovo assetto normativo e culturale fortemente regressivo per i diritti e per le garanzie, e verso una manomissione dei principi dello Stato di diritto che priva la giurisdizione del suo ruolo di garanzia e di terzietà». Parole dure, eh? Del resto, a pronunciarle ieri è stata Mariarosa Guglielmi, pubblico ministero a Roma nonché segretario generale di Magistratura democratica, la corrente delle toghe più di sinistra. Silvio Berlusconi fu il primo a chiamarle pubblicamente «toghe rosse», e purtroppo si sa com'è finita. Ieri la Guglielmi ha aperto il ventiduesimo congresso della corrente, a Roma, e contro il governo gialloblù ha sparato una raffica di accuse. «Con il voto di marzo», ha detto dal palco, «si sono imposti due radicalismi simmetrici». Il primo radicalismo, secondo la Guglielmi, ha i colori del razzismo leghista: «È il nuovo sovranismo, che ha intercettato il risentimento e gli ha offerto un bersaglio e un nemico, lo straniero che minaccia la nostra sicurezza, usurpa i nostri diritti e contamina la nostra identità». Il secondo radicalismo, invece, è quello «egualitario e camaleontico» dell'antipolitica grillina: «Senza il vincolo di ideologie, senza il peso di un passato e di una sua storia di riferimento, ha assecondato il ribellismo e ha sancito la sconfitta della sinistra, conquistandone il popolo». Può sembrare questa la principale motivazione dell'accusa contro il Movimento 5 stelle: avere fregato tanti voti alla sinistra. In realtà, a Lugi Di Maio e soci, la segretaria di Md ha rimproverato soprattutto «l'inesauribile trasformismo»: il voltafaccia che avrebbe consentito al M5s di «scendere a compromessi persino sulla pelle dei migranti, abbandonati al loro destino in mare». Ieri, mentre già cominciavano a fioccare le polemiche per i toni apocalittici della Guglielmi, la battuta migliore è venuta a Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia: «Al congresso di Md se ne sentono di tutti i colori», ha sorriso. «Forse avrebbero dovuto consentire al pubblico di entrare a pagamento. Varrebbe la pena di pagare un biglietto per vedere un film così vecchio e raro». Del resto, non è certo la prima volta che Md s'impanca a giudice di un governo. Da quando è nata, nel 1964, la corrente non ha fatto altro che prendere posizione su ogni sospiro della politica. Una volta Livio Pepino, uno dei migliori cervelli di Md, postulò la necessità che «il magistrato si ponesse come contropotere». Ovviamente, Pepino parlava dell'unico magistrato correttamente abilitato a fregiarsi di tale nome: democratico, progressista. Insomma, «de sinistra». Più forti di un partito politico, più dure di un sindacato, più potenti di un esercito, le «toghe rosse» di Md hanno sempre sparato a zero sul potere esecutivo e su quello legislativo, ovviamente ogni qual volta si allontanavano verso destra. E ne hanno censurato tante leggi, dalle norme anticlandestini («S'introduce un reato inutile, profondamente iniquo e discriminatorio: non si può trasformare un fenomeno sociale in fenomeno criminale») fino alla legge Biagi («La tanto celebrata riforma del mercato del lavoro, lungi dal provocare il benefico effetto di un'emersione del “nero", accresce la precarizzazione dei rapporti e l'arretramento della sicurezza»). Insomma, la storia stessa di Md lasciava prevedere che questo congresso avrebbe dato la stura a alle idiosincrasie che dallo scorso marzo i magistrati progressisti avevano già tante volte manifestato contro il governo «sovranista» e alla diarchia grillino-leghista. E così è stato. «In pochi mesi», ha attaccato la Guglielmi, «il volto del Paese è cambiato, e sembra essersi interrotto il percorso che ha condotto sin qui la nostra democrazia». Parole durissime, è ovvio, sono venute contro la nuova legittima difesa: una riforma che secondo Md propone «un'idea arcaica di giustizia come vendetta privata», perché «anteporre l'inviolabilità del domicilio alla tutela incondizionata della vita umana significa consumare uno strappo con il sistema dei valori della nostra Costituzione». Critiche più sensate, alla fine, hanno riguardato «il diritto penale orientato alla massima repressione»: ieri Md si è schierata contro gli eccessi grillini della legge «spazzacorrotti», e contro la scomparsa della prescrizione. «Le garanzie», ha ricordato Guglielmi, «non sono una concessione o una rinuncia a favore degli avversari della legalità, ma sono un'esigenza della giurisdizione». Come in certi antichi congressi del Pci, la Guglielmi ha fatto anche autocritica: ha parlato della «incomprensibile arrendevolezza» di Md sulle posizioni assunte dal sindacato delle toghe, l'Associazione nazionale magistrati, sotto la presidenza di Piercamillo Davigo, e dei «danni provocati dal rappresentare la magistratura come unica paladina della legalità, dimenticando la tutela dei diritti e il rispetto delle garanzie che rappresenta la cifra di civiltà di un Paese». Sacrosanto, anche perché alle ultime elezioni del Consiglio superiore della magistratura, nel luglio 2018, Md è crollata da 7 a 4 eletti, in gran parte a favore proprio della corrente di Davigo. Ma così facendo, alla fine, la dottoressa Guglielmi ha davvero schierato Md contro tutti. Sarina Biraghi