Il prezzo sale a 115,5 euro al megawattora. Gilberto Pichetto Fratin lancia un nuovo allarme per il prossimo inverno. Come preannunciato, senza Mosca dovremo competere con l’Asia per il Lng: maxi accordo fra Cina e Qatar.Con l’arrivo della stagione fredda i consumi di gas rialzano la testa, gli stoccaggi iniziano a essere gradualmente svuotati e i prezzi riprendono a salire. Il future mensile al Ttf viaggiava ieri attorno ai 116 euro/MWh, mentre le consegne giornaliere, dopo i minimi di fine ottobre a 18,5 euro/MWh, sono tornate a 114 euro/MWh, a segnalare una volatilità ancora molto alta nel breve termine. Il clima mite di ottobre e di almeno metà del mese di novembre ha evitato il consumo di un paio di miliardi di metri cubi per il riscaldamento, lasciando quindi più gas a disposizione per i prossimi tre mesi. Al momento, in Europa dal gasdotto ucraino arrivano ancora 40 milioni di metri cubi al giorno da Gazprom. Se le temperature invernali resteranno in linea con la media storica e se il gas russo, per poco che sia, continuerà ad arrivare, se il piano di contenimento dei consumi avrà successo e se non ci saranno altre turbative, l’Italia dovrebbe arrivare alla primavera trovandosi però a quel punto con gli stoccaggi quasi completamente vuoti.Comincia invece a diffondersi la consapevolezza di quanto La Verità ha anticipato a più riprese nei mesi scorsi, e cioè il fatto che il vero problema per l’Europa e per l’Italia sarà procurarsi il gas nel 2023 e 2024. Ieri il ministro dell’Ambiente e sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, a Milano per un convegno, ha affermato che «sicuramente per il 2023 le preoccupazioni sono forti. Il venir meno delle forniture russe vuol dire che durante l’estate dobbiamo costituire le riserve, gli stoccaggi e naturalmente essere pronti per il prossimo inverno. Dall’altra parte c’è la questione prezzo, bisogna vedere che effetto ha il price cap europeo sul prezzo del gas, che andremo a definire in settimana nel Consiglio europeo dell’energia». «Noi facciamo leva su accordi internazionali che abbiamo raggiunto con Algeria, Paesi del Medioriente e naturalmente abbiamo già una valvola di sfogo nell’aumentare leggermente i prelievi nazionali. Ma il prelievo nazionale ha più una valenza di prospettiva», ha proseguito il ministro (prelievo sta per produzione), per poi concludere che «giovedì al Consiglio Ue per l’energia chiuderemo con questa proposta della Commissione per un price cap dinamico, che ha una funzione calmieratrice forte perché interviene sulla speculazione».A quanto sembra, il governo italiano è ancora prigioniero dell’autoipnosi sulle virtù salvifiche del tetto al prezzo del gas, che invece, come sappiamo, non avrà alcun effetto positivo sull’andamento dei prezzi. Ma a questo punto, data l’insistenza in trattative inutili su una questione inutile, non resta che la verifica data dall’esperienza, a posteriori. Quale che sia l’esito dell’ennesima discussione a Bruxelles non cambierà di una virgola la situazione dei fondamentali, che vede una domanda di gas liquido in aumento e un’offerta non in grado di soddisfarla. Gli stoccaggi sono stati riempiti quest’anno perché, sia pure in maniera discontinua, il gas dalla Russia ha continuato ad arrivare, anche via mare in forma liquida (Lng). L’approvvigionamento di gas per il prossimo anno, e quasi certamente anche per il 2024, senza importazioni dalla sanzionata Russia, sarà molto complicato dalle dinamiche concorrenziali che si apriranno con l’Asia e anche tra Paesi europei. Sarebbe assai più opportuno che le discussioni nella capitale belga vertessero su questo. Il punto, però, è che l’Ue esita a parlare apertamente di crisi energetica anche per i prossimi due anni perché facendolo dovrebbe ammettere la propria incapacità e al contempo smentire sé stessa sulla ragionevolezza e fattibilità della transizione ecologica europea. Dunque, ci si limita ad alcune timide e isolate voci. Puntando sul Lng per sostituire il gas dalla Russia, l’intera Europa si pone in competizione con i più grandi consumatori asiatici (Cina, Giappone e Corea del Sud, ma anche i più poveri Pakistan, India e Bangladesh), mentre al contempo gli Stati Uniti non riusciranno a coprire tutto il fabbisogno Ue. In più, molte compagnie europee vorrebbero contratti con tempi non lunghi, magari per cinque anni, al massimo per dieci, temendo che poi le regole del Green deal li pongano fuori mercato. Funzionari tedeschi hanno affermato in questi giorni di aspettarsi un picco della domanda di gas naturale intorno al 2030. Ovviamente, ciò rende le negoziazioni difficili poiché i produttori richiedono impegni per periodi lunghi, non meno di 15 o 20 anni. Questa ambiguità è fonte di una debolezza europea nelle contrattazioni con i Paesi esportatori come Usa e Qatar. Un esempio è la notizia di ieri su un accordo per la fornitura di Lng dal Qatar alla cinese Sinopec, dal 2026 per un periodo di ben 27 anni, con volumi di circa 5,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, per 60 miliardi di dollari. Questa è la partita, semplice e cruda che si sta giocando nel mondo sul gas. Al di là della consueta retorica europeista su sostenibilità e resilienza, l’Ue è in grado di stare a questo tavolo da gioco con gli Usa da una parte e la Cina dall’altra? È tempo di dimostrarlo.
Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Il terzo panel dell’evento de La Verità ha approfondito la frontiera dell’eolico offshore con l’intervista condotta dal direttore Maurizio Belpietro a Riccardo Toto, direttore generale di Renexia. L’azienda, nata nel 2012 e attiva in Italia e all’estero nel settore delle rinnovabili, del fotovoltaico, delle infrastrutture e della mobilità elettrica, ha illustrato le proprie strategie per contribuire alla transizione energetica italiana.
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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2025-09-15
Il Made in Italy alla prova della sostenibilità: agricoltura, industria e finanza unite nella transizione
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Dalla terra di Bonifiche Ferraresi con Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability), ai forni efficienti di Barilla con Nicola Perizzolo (project engineer), fino alla finanza responsabile di Generali con Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration): tre voci, un’unica direzione. Se ne è discusso a uno dei panel dell’evento de La Verità al Gallia di Milano.
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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Boldrini ed eurodeputati si inginocchiarono per George Floyd, un nero pluripregiudicato. Per Kirk, un giovane che ha difeso strenuamente i valori cristiani e occidentali, è stato negato il minuto di silenzio a Strasburgo. Ma il suo sangue darà forza a molti.
La transizione energetica non è più un concetto astratto, ma una realtà che interroga aziende, governi e cittadini. Se ne è discusso al primo panel dell’evento de La Verità al Gallia di Milano, dedicato a «Opportunità, sviluppo e innovazione del settore energetico. Hub Italia», con il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, la direttrice Ingegneria e realizzazione di Progetti di Terna Maria Rosaria Guarniere e la responsabile ESG Stakeholders & Just Transition di Enel Maria Cristina Papetti.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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