2023-07-03
Banlieue così francesi che se ne occupa Algeri
Nanterre, gli scontri dopo la morte di Nahel (Ansa)
Da noi le anime belle come Andrea Riccardi insistono: «Serve immigrazione per contrastare la denatalità». Intanto però il ministro magrebino si fa sentire Oltralpe: «Garantite la sicurezza dei cittadini che avete accolto». L’integrazione è una favoletta.Tra coloro che avevano avvistato con anni di anticipo il fumo dell’incendio etnico e sociale che ora devasta la Francia uno dei più lucidi era senz’altro lo scrittore Maurice Dantec. Cantore del declino europeo ben prima di Michel Houellebecq, autore di un pugno di capolavori tra cui Le radici del male (appena ripubblicato da Minimum Fax), Dantec aveva emesso una sentenza senza appello sul destino del Vecchio Continente. Le capitali europee, diceva, «non si “trasformano” come credono gli ingenui, ma dolcemente si autodistruggono. Diventano a poco a poco delle mega banlieue transnazionali adatte ai flussi migratori incontrollati, per la semplice ragione che il capitalismo “etico-solidale” pretende di farci vivere in un mondo pacificato (per quanto ricoperto di genocidi) e senza la minima singolarità, neppure nell’immaginario. Ovunque lo stesso rap, ovunque le stesse t-shirt, ovunque la stessa musica». Aveva ragione, ma ovviamente - per via della sua visione estremamente critica del multiculturalismo - fu messo all’angolo, guardato con sospetto quale «estremista di destra». Del resto in Francia, così come dalle nostre parti, sono sempre andate per la maggiore idee ben diverse e molto più «corrette». Idee che ancora oggi - pur di fronte alla brutale evidenza dei fatti - continuano a dominare la scena. Un radioso esempio lo ha fornito ieri, tramite La Stampa, Andrea Riccardi, fondatore della comunità Sant’Egidio, uno che negli ultimi anni ha avuto la possibilità di orientare il dibattito sull’immigrazione. «Penso che l’Europa abbia una visione polarizzata dell’emigrazione o non ha ancora elaborato una visione», ha detto. «È la visione che manca anche all’Italia dove il tema migratorio da anni non è concepito come una questione epocale che riguarda da vicino il nostro futuro ma come un argomento di polemica politica. Credo che un Paese come l’Italia», ha aggiunto Riccardi, «con un problema gravissimo di natalità e un calo rilevante della forza lavoro, debba porsi il problema dell’emigrazione come contributo positivo alla costruzione del futuro nazionale. Questo non vuol dire rinunciare alla nostra identità e non è un discorso buonista. È un discorso realista». Eccole, le belle teorie che circolano qui da noi: visto che non si fanno più figli e c’è bisogno di forza lavoro, bisogna importare braccia dall’estero. Cosa potrebbe andare storto? A tale riguardo, la Francia (non da oggi) regala una illuminante lezione. Apprendiamo dalle fonti istituzionali francesi che su oltre 1.300 arrestati per i disordini degli ultimi giorni, oltre un terzo sono minorenni, e l’età media è di 17 anni. Come spiegano illustri studiosi del calibro di Oliver Roy e Michel Maffesoli, sono le seconde, terze e quarte generazioni di immigrati magrebini a rivoltarsi. Se la prendono con il governo, certo, e più in generale con lo Stato. Si potrebbe dire che attacchino la Francia poiché non si sentono francesi. Qualche ragione ce l’hanno: tecnocrati e politici hanno pensato di poterli confinare nei casermoni di periferia, hanno creduto di poterli «assimilare», ritenendo l’identità un dato tutto sommato trascurabile. È più o meno lo stesso atteggiamento dei nostri illustri profeti dell’accoglienza, convinti che i figli si possano importare dall’estero, e che alle braccia da lavoro non siano attaccati uomini e donne. A fare esplodere le sommosse, in queste ore, sono ragazzini persi fra due mondi: l’Europa in cui si sentono estranei e la nazione d’origine che diviene patria idealizzata. Sui documenti sono francesi, certo. Ma che si percepiscano in maniera differente lo rimarcano due singolari comunicati diffusi dall’ambasciata d’Algeria in Francia. Il primo è un messaggio di condoglianze alla famiglia di Nahel. Nel secondo si legge che «il ministero degli Affari esteri e della comunità nazionale all’estero ha appreso con choc e costernazione della scomparsa brutale e tragica del giovane Nahel» (il diciassettenne di origine algerina ucciso dalla polizia, ndr). Il ministero degli Esteri algerino «confida che il governo francese svolga pienamente il proprio dovere di protezione, preoccupato per la pace e la sicurezza di cui i nostri connazionali devono beneficiare nel Paese che li ospita». E ancora: «Il governo algerino continua a seguire con grande attenzione gli sviluppi di questa tragica vicenda, con la costante preoccupazione di essere al fianco dei membri della sua comunità nazionale nei momenti di avversità e di prova». La comunità algerina in Francia, come noto, è molto nutrita, ed è comprensibile che il governo d’Algeria si preoccupi per i propri cittadini residenti all’estero. Tuttavia il tono del comunicato e la sua ambiguità di fondo fanno riflettere. Si tratta di un documento per lo meno irrituale, che non sembra fare differenza tra i cittadini algerini residenti in Europa e i cittadini francesi di origini algerine. Come a dire: appartengono tutti alla comunità algerina, dunque la loro patria è l’Algeria, non la Francia. Sarà pure sgradevole, ma in questo testo c’è molto di vero. Potremmo riassumerla così: i ragazzi delle banlieue sono così tanto francesi che pure l’Algeria li considera africani. Che l’identità esista e sia fondamentale, a quanto pare, sfugge solo ai tifosi europei delle frontiere aperte.
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)