2024-01-23
La Francia sotto assedio dei trattori ferma i pescatori per salvare i delfini
Bloccata da giorni un’autostrada in Occitania contro le norme di Parigi e dell’Ue che soffocano le attività agricole. Intanto il governo non rinuncia al cappio green e impedisce pure ai sindaci di costruire nuove case. L’istituto parigino accusato di sessismo e omofobiaviene infangato giornalmente. Silenziate le voci positive. Lo speciale contiene due articoli.La Francia si candida a capofila delle proteste sociali in Europa. Sopita l’epoca controversa dei gilet gialli, ecco avanzarsi i gilet verdi. I contadini francesi hanno lanciato un vasto movimento di contestazione alle politiche del presidente Emmanuel Macron e alle direttive europee. La collera di contadini e allevatori oggi si concentra soprattutto nella regione dell’Occitania. Circa 200 manifestanti stanno bloccando da sei giorni l’autostrada tra Tolosa e Bayonne, ma il ministro dell’Interno, Gerard Darmanin, ha detto ieri di non aver ancora richiesto alla polizia di evacuare i manifestanti. L’accesso alla centrale elettrica di Golfech, nel Tarn-et-Garonne, è stato chiuso ieri mattina dai contadini. Arnaud Rousseau, presidente del primo sindacato agricolo francese, la Fnsea, e Arnaud Gaillot, presidente del sindacato dei giovani agricoltori (Ja), hanno chiesto e ottenuto ieri sera un incontro con il premier appena insediato, Gabriel Attal, a Matignon. Nuove manifestazioni di protesta e blocchi saranno annunciati nelle prossime ore.Le rivendicazioni di contadini e allevatori sono molte, a partire dagli aiuti promessi e mai arrivati per un’epidemia emorragica tra il bestiame, che ha messo in ginocchio molti allevatori. Sotto accusa soprattutto i limiti normativi sempre più stringenti e il basso reddito dell’attività, soffocata da tasse e vincoli derivanti da leggi statali e norme europee. La fine delle agevolazioni fiscali sul gasolio agricolo, la mancanza di stoccaggi per l’acqua e la burocrazia soffocante sono tra i fattori determinanti delle proteste.Dopo le clamorose manifestazioni dei contadini e allevatori tedeschi a Berlino, si sta strutturando un movimento trasversale che riguarda non solo Francia e Germania, ma anche Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Bulgaria, Ungheria. A Est è soprattutto la concorrenza sottocosto dell’Ucraina a preoccupare. Ma è in Francia che le conseguenze sociali delle politiche europee e nazionali che discendono dalla transizione ecologica stanno diventando sempre più allarmanti e occupano stabilmente le prime pagine dei giornali.Ieri è entrato in vigore il blocco della pesca di quattro settimane decretato dal governo francese nel Golfo di Biscaglia, dalla Bretagna alle coste della Spagna, da Brest a Bayonne. Per preservare i delfini, i pescatori francesi dovranno restare per un mese in porto, una misura clamorosa che non ha precedenti dalla fine della seconda guerra mondiale. Il settore teme un collasso, anche se il governo ha promesso un indennizzo pari all’80% del fatturato delle imprese di pesca. Tuttavia, a monte e a valle della pesca c’è un indotto fatto di industrie conserviere, porti, distribuzione, commercio. A risentirne saranno i consumatori, per i quali inevitabilmente il prezzo del pesce fresco salirà. Inoltre, i pescatori di altri Paesi si avvantaggeranno del blocco francese. Il collasso economico rischia di diventare anche sociale.Non è tutto. Sta diventando un caso spinoso la legge sul clima e la resilienza del 22 agosto 2021, che contiene uno degli acronimi più odiati dai sindaci francesi: Zan. Zéro artificialisation nette, ovvero «costruzioni nette zero». Entro il 2050 sarà vietata in Francia l’artificializzazione anche di un solo metro quadrato di suolo, campo, foresta o qualsiasi altro spazio naturale, a meno che al contempo non se ne restituisca alla natura l’equivalente.Il dogma green in questo caso agisce sul territorio. L’intenzione potrà apparire lodevole, ma anche in questo caso si ignora la realtà e si passa sopra la testa dei cittadini. Il Paese risulterà congelato e vi saranno forti impatti sociali. Basti pensare agli effetti sui prezzi degli immobili e alla vera spina nel fianco degli amministratori locali: la penuria di case. Città molto dinamiche come Tolosa aggiungono tutti gli anni 5.000 nuovi abitanti in media e c’è da chiedersi dove mai potranno andare ad abitare. Capannoni abbandonati e zone industriali dismesse faranno la felicità degli intermediari più scaltri e le speculazioni finanziarie saranno all’ordine del giorno. La rarefazione dei terreni edificabili si tradurrà in città che forzatamente dovranno crescere verso l’alto, oltre che in metrature minori delle abitazioni. La densità abitativa crescerà, con tutti i problemi sociali che ciò comporta. Dall’altra parte, gli stessi contadini francesi che contestano oggi il governo, lodano la legge Zan perché frena l’erosione delle terre coltivabili. Si evidenzia ancora come le politiche per la transizione acuiscano le fratture sociali, anziché risolverle. La legge dà tempo fino al 2050, ma intanto dal 2021 al 2031 gli amministratori locali possono utilizzare solo il 50% del territorio naturale rispetto a quello utilizzato dieci anni prima.Molto netto è il giudizio di Laurent Wauquiez, presidente della regione Auvergne-Rhône-Alpes: «I nuovi decreti sono ridicoli, stiamo raggiungendo vette di tecnocrazia inapplicabile. Non si tratta di non applicare la legge ma di allertare, come funzionari eletti, quando siamo convinti che una legge mal fatta e mal progettata porterà a conseguenze catastrofiche». Ma la legge Zan prevede che se non sono gli amministratori a muoversi, lo faccia il governo centrale attraverso i prefetti. In barba alla rappresentanza democratica e perfettamente in linea con la transizione ecologica.Perseguendo un’agenda green intransigente, Emmanuel Macron sta alzando la temperatura dello scontro sociale. Le elezioni europee incombono, però, e Marine Le Pen è seduta sulla riva del fiume ad attendere.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/francia-sotto-assedio-trattori-2667061227.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-scuola-cattolica-stan-finisce-nel-mirino-della-televisione-di-stato" data-post-id="2667061227" data-published-at="1705998561" data-use-pagination="False"> La scuola cattolica Stan finisce nel mirino della televisione di Stato Anche la tv pubblica francese avrebbe contribuito a mettere in cattiva luce Stanislas, il prestigioso istituto scolastico cattolico parigino, accusato di essere «sessista, omofobo e autoritario». Oltre alle notizie non sempre veritiere, la scuola privata cattolica è oggetto di un’inchiesta per «ingiuria pubblica in ragione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere» e per «provocazione pubblica all’odio o alla violenza». L’inchiesta è stata disposta dalla Procura di Parigi dopo una segnalazione del 19 ottobre 2023, inviata dall’Ispezione generale del ministero dell’educazione (Igers). La Procura ha anche confermato di aver ricevuto la segnalazione da Céline Malaisé, componente del gruppo di sinistra al consiglio regionale dell’Ile-de-France. Alla consigliera «l’insegnamento della sessualità» impartito a Stanislas non parrebbe «conforme» al codice dell’insegnamento francese. Nel frattempo il settimanale Jdd-Journal du Dimanche ha pubblicato testimonianze di persone contattate da giornalisti delle tv statali transalpine che sembrano confermare la volontà di screditare Stanislas. Il Jdd scrive che la scorsa settimana nella chat degli ex studenti di «Stan», come viene familiarmente chiamato l’istituto, circolava un invito arrivato dai tg pubblici. Nel primo messaggio citato dal Jdd si leggeva: «Ciao, sono X, una giornalista di France 2. Come ti dicevo, per il telegiornale delle 20 cerchiamo delle testimonianze di persone che hanno studiato al liceo Stanislas e che abbiano delle cose da dire in merito alle condizioni di vita/studi». Il 18 gennaio la redazione del tg serale di France 3 ha contattato un altro ex allievo di «Stan». Il Jdd precisa che il reportage della terza rete pubblica francese era già pronto, tuttavia una giornalista ha chiesto al giovane di riassumere, via sms, una sintesi della sua testimonianza in modo da poterla usare in altri telegiornali di France Télévision. Poi la cronista ha detto all’ex studente di Stanislas che «per noi (la redazione, ndr) è davvero importante [...] raccogliere delle testimonianze che confermino quanto contenuto nel rapporto di Mediapart». In effetti, il 16 gennaio scorso, il sito d’inchiesta Mediapart ha pubblicato un rapporto su «Stan», redatto dal ministero dell’Educazione. Il documento è il frutto di un’inchiesta condotta dagli ispettori ministeriali e disposta nel febbraio del 2023 da Pap N’diaye, allora a capo del dicastero. Questo dopo che alcuni articoli accusavano «Stan» di coprire derive omofobe e sessiste. N’diaye è noto per aver fatto in passato delle dichiarazioni wokiste e per aver tentennato quando si trattava di impedire le infiltrazioni islamiste nella scuola francese. Tornando a Mediapart, va detto che la testata è diretta da Edwy Plenel, che ha vissuto una giovinezza trotzkista. L’area politica dalla quale viene Plenel va ricordata, dati i risvolti politici che ha assunto il presunto affaire Stanislas. Inoltre il rapporto è stato pubblicato giusto qualche giorno dopo la nascita del governo di Gabriel Attal, con Amélie Oudéa-Castera come ministro dell’Educazione. Per Mediapart quest’ultima è «rea» di aver iscritto i propri figli a Stanislas (mentre quelli di N’diaye frequentano la prestigiosa Ecole alsacienne di Parigi, un istituto privato non confessionale, ndr). Peccato che Mediapart e i tg pubblici non abbiano riportato anche delle testimonianze positive come invece ha fatto il Jdd. È il caso di una giovane che ha detto: «Sono atea e nessuno mi ha obbligata ad avere la fede» a Stanislas. Un’altra ha smentito la presunta omofobia di Stan e ha detto: «Ho due compagne che stanno insieme e nessuno ha mai avuto qualcosa da ridire». Ma l’articolo di Mediapart ha fatto ricadere su Stan una cascata di fango. Poi il Comune di Parigi, guidato dalla socialista Anne-Hidalgo, ha sospeso «temporaneamente» i fondi pubblici municipali versati all’istituto. Nel 2024, in Francia, le scuole cattoliche hanno vita dura.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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