2023-07-03
Guai a gioire di Parigi, rischiamo lo stesso
«È la rivolta dei ragazzi» titola il quotidiano che un tempo fu dei vescovi e oggi è l’organo della ridotta cattocomunista. «Il modello banlieue non regge più» gli fa eco il giornale del capitalista senza capitali, anzi con i capitali, ma rigorosamente parcheggiati in Svizzera, dove il magnate tiene casa.A leggere ciò che resta della stampa cosiddetta progressista, da un lato si scorge una simpatia per coloro che stanno mettendo a ferro e fuoco la Francia e non per antipatia nei confronti di Emmanuel Macron, ma per attrazione verso qualsiasi cosa assomigli a una rivoluzione. Dall’altro lato invece, si intravede la critica ai ghetti creati attorno alle principali città transalpine, ormai diventati simbolo di esclusione ed emarginazione. Nessuna delle testate che paiono prendersi a cuore la questione ha però il coraggio di dire che quello è il destino che ci attende se non metteremo un freno all’immigrazione disordinata che sta sconvolgendo la vita delle nostre città.Già. La Francia prima di noi. La Francia delle colonie, che ha importato popolazioni straniere senza riuscire a integrarle. Ma anche la Francia che arriva ad arrestare un allenatore accusandolo di razzismo per aver discriminato qualche giocatore. La Francia del politicamente corretto, ma allo stesso tempo la Francia politicamente fuori controllo. Sono passati pochi mesi da quando il governo di Parigi ci impartiva lezioni, dicendo che avrebbe vigilato sul rispetto dei diritti civili, quasi che un’elezione svoltasi con tutti i crismi della democrazia potesse rappresentare una deriva fascista. Sì, la Francia che si permetteva di criticare il trattamento inumano dei migranti, ma che ora è sul banco degli imputati per il comportamento della sua polizia, accusata di usare il pugno di ferro e qualche volta la pistola contro i giovani di colore.Certo, ci si può rallegrare per ciò che sta accadendo oltre frontiera, godendo di una nemesi che ci ripaga dopo mesi se non anni di giudizi sprezzanti sulla qualità della nostra Repubblica e della nostra democrazia. Tuttavia, gioire per una cronaca che fa giustizia di un complesso di superiorità che da tempo era ritenuto insopportabile sarebbe un errore. E non perché ciò che sta accadendo in Francia non ci ripaghi delle offese ricevute, ma perché ciò che vediamo nelle principali città della République altro non è che ciò che ci attende se non corriamo ai ripari. In questi giorni si parla molto delle banlieue da cui provengono i giovani che stanno mettendo a ferro e fuoco le città. Alcuni inviati descrivono il problema dei quartieri dormitorio che ospitano gli immigrati, raccontando dei ghetti che non offrono alcuna speranza alle giovani generazioni. I più esperti si spingono a ricordare le rivolte del 2005, quando il ministro dell’Interno era Nicholas Sarkozy, futuro presidente della Repubblica. Le misure adottate all’epoca fermarono gli scontri, ma non risolsero il problema di interi quartieri che non erano sotto il controllo dello Stato. Da allora la situazione non è migliorata, ma semmai peggiorata. La cronaca dei funerali del ragazzo ucciso da cui è partita la protesta di questi giorni lo dimostra. Le esequie non si sono svolte sotto il controllo delle forze dell’ordine, ma seguite da un servizio d’ordine costituito dagli amici della vittima, vale a dire provenienti dallo stesso milieu. Sarebbe come dire che dopo la morte di un giovane ucciso a un posto di blocco, i compagni di scorribande del ragazzo si prendono il quartiere e la città e pretendono di imporre la loro legge, vietando la presenza di giornalisti, fotografi e tv, quasi che la morte legittimi un controllo del territorio al di fuori delle regole dello Stato.Certo, noi leggiamo con disappunto i fatti di Nanterre, ma anche quelli di Parigi e di Marsiglia e delle molte altre città che sono sconvolte dalla violenza di questi giorni. Ma le cronache riflettono come uno specchio ciò che ci attende. Già ora a Milano e Roma, ma anche in altri centri come Brescia e Torino, in Campania o in Calabria, ci sono interi quartieri che sono off limits per le forze dell’ordine. Non si chiamano banlieue, ma ghetti. Ghetti dove regna la legge del più forte, dove ancora non governa la sharia, ma si tratta di questione di tempo. Oggi a dominare è la criminalità, ma domani potrebbe essere altro. Esultare dunque per i guai con cui sono alle prese in nostri cugini non ha molto senso. L’unica lezione da imparare da ciò che accade in Francia è che l’idea del multiculturalismo, dell’integrazione di etnie diverse, non porta a un Paese migliore, ma si accompagna a problemi enormi, difficilmente risolvibili con le misure di uno Stato sociale. I disordini che da Nanterre sono divampati in tutta la Francia e minacciano di contagiare altri Paesi fanno capire che lo Stato di diritto rischia di trasformarsi rapidamente in uno stato di emergenza. Per non giungere a tanto, ed evitare future guerre civili, occorre guardare in faccia la realtà e la prima riflessione riguarda l’immigrazione clandestina. So che non piace l’idea di mettere mano al portafogli, ma prima paghiamo i Paesi del Nord Africa per evitare le partenze e meglio sarà per noi.
Roberto Cingolani, ad e direttore generale di Leonardo (Imagoeconomica)
Ecco #DimmiLaVerità del 20 novembre 2025. Con la nostra Flaminia Camilletti riflettiamo sul fatto che Francesco Saverio Garofani dovrebbe dimettersi dopo lo scandalo del Quirinale.
Il caso Garofani non si sgonfia, anzi esplode. Belpietro ricostruisce come la notizia sia stata verificata e confermata dallo stesso consigliere del Quirinale, mentre parte della stampa tenta di minimizzare e attaccare chi l’ha pubblicata. Padellaro, da sinistra, lo riconosce: è una notizia vera e grave. E allora la domanda resta una: com’è possibile che un uomo così vicino al Colle parli apertamente di scossoni politici e listoni anti-Meloni?
La sede olandese di Nexperia (Getty Images)