Mentre S&P declassa i conti di Macron e Moody’s conferma il giudizio sull’Italia, Société Générale fa le pulci ai nostri titoli.
Mentre S&P declassa i conti di Macron e Moody’s conferma il giudizio sull’Italia, Société Générale fa le pulci ai nostri titoli.Chiamatele, se volete, curiose coincidenze. Eppure proprio nelle ore in cui le due maggiori agenzie di rating internazionali (Moody’s e Standard & Poor’s), davano giudizi opposti e per certi versi sorprendenti, rispetto alla sostenibilità del debito di Italia e Francia (stabile il primo e in peggioramento il secondo), una delle principali banche di sistema francesi, Société Générale, presieduta peraltro dall’italiano Lorenzo Bini Smaghi, lanciava un alert sui titoli di Stato italiani. Lungi da noi pensare possa trattarsi di un report «rosicone», verrebbe, però, da replicare agli esperti analisti della banca transalpina che farebbero meglio a guardare ai guai che hanno in casa piuttosto che fare le pulci a quelli dei vicini. Nella nota di due giorni fa infatti S&P sottolineava che il «downgrading» di Parigi riflette l’attesa di un aumento del debito rispetto al prodotto interno lordo in seguito a deficit più elevati del previsto nel 2023-2027. Fuor da equivoci, è un fatto che la capacità di restituire il debito di Parigi sia ancora a livelli alti (il giudizio è passato da a “AA” a “AA-”) ma è altrettanto evidente che la decisione di Standard & Poor’s non può essere sottovalutata. Da un punto di vista storico, è la seconda volta che accade e l’ultima risale a circa 11 anni fa (eravamo nel 2013), e da quello dei contenuti. Nel report, infatti, viene messo in risalto il deterioramento della situazione fiscale del Paese. «Senza ulteriori misure per ridurre il deficit di bilancio», si legge, «riteniamo che le riforme non saranno sufficienti per consentire al Paese di raggiungere gli obiettivi». In altre parole, il deficit non scenderà sotto il 3% del Pil entro il 2027. Il rischio, quando c’è un giudizio negativo sul rating, vale per la Francia e per qualsiasi altro Paese subisca un declassamento, è che ci sia una perdita di fiducia da parte degli investitori. E la conseguenza diretta è una maggiore onerosità dei rifinanziamenti. SocGen invece preferisce focalizzarsi sulla situazione del debito italiano. Un po’ come ha scelto di fare la nostra stampa progressista che in questi giorni ha lanciato l’allarme rispetto al probabile taglio dei tassi di interesse della Bce. Se la Lagarde parte giovedì (e sarebbe anche arrivato il momento) i rendimenti dei titoli di Stato inizieranno a ridursi. E quindi i Btp potrebbero diventare meno attraenti. E visto che l’Italia ha bisogni di piazzarne tanti, vista la mole del debito, sarebbe un problema. Vero. Ma è altrettanto vero che vista la mole del debito, una riduzione anche minima degli interessi rappresenterebbe un grosso aiuto (meno interessi da pagare) per le tasche del Stato e che non sembra tirar aria di un’inversione a U rispetto alle scelte di politica monetaria. Giovedì quasi sicuramente la Bce taglierà i tassi, ma visto che l’inflazione è ancora a livelli non bassi in Ue è difficile pronosticare un’altra sforbiciata a strettissimo giro.Insomma, siamo di fronte ai due risvolti diversi della stessa medaglia. E ognuno «gioca» a farla cadere sul lato che gli fa più comodo. Di certo gli analisti di SocGen, a poche ore dal declassamento sul debito francese e dalla conferma sul giudizio italiano, non hanno avuto dubbi. Nel loro «Fixed Income Special» (focus sul reddito fisso) del 31 maggio partono dai dati attuali e poi tratteggiano degli scenari. La loro tesi è che i titoli di Stato italiano siano particolarmente vulnerabili nel caso di mutamento di «sentiment» data l’alta esposizione nel nostro debito rispetto agli investitori internazionali.Gli analisti non possono fare a meno di riconoscere che in questo momento il differenziale tra titoli di Stato italiani e Bund tedesco è sotto controllo e in una situazione bassa volatilità. Ed evidenziano che nel rapporto almeno di recente, è stato più il Bund a «muoversi» rispetto ai titoli di pari durata di Roma. Il punto però e che nelle loro valutazioni gli spread non hanno più molto spazio per ridursi ancora e quindi sono propensi a credere che la forchetta finirà per allargarsi proprio a causa dei Btp. Da SocGen fanno anche un’altra previsione. Con la fine del Quantitative easing e con la riduzione dell’onda lunga degli acquisti di imprese e soprattutto famiglie, pian piano gli stranieri aumenteranno la loro disponibilità di buoni polinennali del Tesoro. Fenomeno che si riuscirebbe a intravedere già in questa prima metà del 2024 e che secondo gli esperti della banca transalpina è destinato ad aumentare. Fenomeno ovviamente rischioso per chi ha un debito alto come quello italiano. E fenomeno che il governo ha ben presente e sta già provando a mitigare, per esempio con le varie emissioni di Btp Valore rivolte esclusivamente al mercato retail. Una delle mosse che Moody’s ha dimostrato gradire confermando il giudizio sul debito italiano a dispetto dei tanti che remano contro.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
Continua a leggereRiduci