2025-02-25
Francesca Girardi: «Appena prima dell’esplosione ho visto il ghigno di Unabomber»
Il luogo dell'attentato di Unabomber a Francesca Girardi (nel riquadro) del 25 aprile 2003 (Ansa)
Una vittima: «All’età di 9 anni raccolsi un evidenziatore-trappola lasciato dal maniaco. Ho perso la mano destra e la visione da un occhio. Negli istanti precedenti al botto, notai che un uomo mi stava fissando».Chiamato a insegnare ad Harvard, Theodore Kaczynski, genio della matematica, lasciò presto l’incarico. Si trasferì in una baracca senza elettricità nel Montana, dove scriveva critiche alla società industriale e fabbricava piccoli ordigni spediti per posta, talvolta ad accademici, causando, dal 1978 al 1995, undici feriti e tre morti. Fu catturato dalla Fbi e condannato all’ergastolo. L’Unabomber statunitense si suicidò nel penitenziario di Butler, Carolina del Nord, il 10 giugno 2023. L’identità dell’Unabomber italiano, invece, non è mai stata scoperta. Specialista di esplosivi, dal 1994 al 2006 sgomentò l’alto Veneto e il Friuli attraverso circa 30 attentati in luoghi pubblici. Collocava cilindri di ferro imbottiti di polvere da sparo nelle feste di paese, nelle spiagge. Passò poi alla nitroglicerina. Il 30 settembre 1995, a Pordenone, una settantenne, accanto alla porta di casa, raccolse un tubo con sotto banconote da 10.000 lire, un’esca. Il tubo deflagrò e la signora restò priva di una mano. Gli attentati proseguirono con micro-bombe nascoste negli inginocchiatoi e nei ceri delle chiese, inserite nei tubetti di maionese e di bolle di sapone, nei vasetti di Nutella al supermercato. Il 25 aprile 2003, Francesca Girardi, 9 anni appena compiuti, si trovava sul greto del fiume Piave, nelle vicinanze di Ponte di Piave, nel Trevigiano, intenta a giocare in quella che doveva essere un’allegra gita familiare. Fu attratta da un evidenziatore giallo, strumento per colorare e scrivere, che si trovava sul suolo. Levò il tappo e l’oggetto esplose. Perse irreparabilmente la mano destra e la vista dall’occhio destro. Poco prima di quei terribili attimi, si accorse della presenza, lì vicino, di una figura sinistra attenta a quanto stava accadendo. Era Unabomber? Francesca, che oggi ha 30 anni e all’epoca viveva con la famiglia a Oderzo, è l’unica vittima che potrebbe aver visto in faccia il vile attentatore. L’inchiesta è stata riaperta nel 2022 presso la Procura di Trieste. Come iniziò quella giornata?«Parto dal giorno prima. Ero una bambina normale, una vita come quella di tutti. Il 24 aprile stavo giocando nel parchetto vicino a casa con i bambini del quartiere. Io e un altro bambino c’eravamo dati appuntamento la mattina del 25 aprile perché mi aveva chiesto di fidanzarmi con lui e dovevo dargli una risposta. Il 25 aprile decidemmo di andare a fare un pic-nic in riva sul fiume Piave, essendo una bellissima giornata di sole e di festa. Partimmo, io, mia mamma, mia sorella, amici. Siamo arrivati la mattina ed ero con il figlio di un’amica di mia mamma, un mio coetaneo. In questa zona del fiume, sotto il ponte, c’erano i pilastri di cemento di un cavalcavia. Giocavamo attorno a un pilastro a chi faceva i salti più lunghi, a chi correva più veloce. Alle 10 e mezza siamo andati dai nostri genitori per la merenda e poi siamo tornati ai pilastri». Cosa accadde?«Appena tornati abbiamo subito notato questo evidenziatore, messo lì apposta. Prima non c’era. Facciamo una gara a chi lo prende per primo. L’ho raccolto per prima. Mi chino e, poco prima di sfilare il tappo, mi rendo conto che c’è un uomo poco lontano che ci sta guardando. Penso che sia un signore che guarda i bambini che giocano, ma avverto una strana sensazione. Sembrava in attesa che succedesse qualcosa di cui eravamo ignari. Apro l’evidenziatore, perché volevo far vedere a mia sorella che ero brava a scrivere. Quando tolgo il tappo c’è un’esplosione, un botto fortissimo. Mi rendo conto che ho fatto qualcosa di male perché è successo qualcosa di brutto. Poco dopo vedo tutto nero e poi tutte stelline. Il mio amichetto era in piedi accanto a me, paralizzato». A quel punto cosa fece?«Quando riacquisisco la vista il mio primo pensiero è andare da mia mamma. Appena riprendo a vedere la mia mano destra non c’è più, ridotta a un grumo di carne, ossa e sangue. Anche mia mamma sentì il botto e mi stava cercando. Mentre camminavo, i ciottoli del sentiero si stavano macchiando di rosso, di sangue. Mi resi conto che ero io a perdere sangue. Incrocio mia mamma che, non so con quale coraggio e freddezza, prese subito un asciugamano per bloccare l’emorragia, mi sdraiò sulle sue gambe tenendomi il braccio alto. Mi ha dato la vita e quel giorno mi salvò». Fu colpita anche all’occhio?«Ho perso la vista dall’occhio destro, ma non me ne accorsi subito e tuttora non mi ricordo come si vede con due occhi». Dunque attendeste i soccorsi.«Ricordo che una signora scioccata, nella folla, urlò che stavo morendo. Chiesi a mia mamma se era vero. Lei mi rassicurò. Arrivò l’ambulanza per una prima medicazione. Poi è atterrato l’elicottero. Volevo guardare fuori dai finestrini ma mi fermavano. Il pilota mi disse che quell’elicottero si chiamava Titty perché era tutto giallo. Poi sono arrivata in ospedale e sono stata operata».Tornando a prima, chi depositò l’evidenziatore vi aveva già osservati prima?«Presumo di sì, che fosse stato lì in quella zona per scegliere la vittima. È stato quando ho raccolto l’evidenziatore che mi sono sentita osservata».Può descrivere questa figura?«Lo ricordo come un uomo alto, né giovane né anziano, con i capelli non foltissimi e brizzolati, una camicia floreale, hawaiana, molto colorata. Portava gli occhiali, con lenti graduate un po’ scure, ma non così scure da non vedere attraverso, perché ricordo questi occhi che mi fissavano. Sembrava avere un sorriso, una specie di ghigno».Oltre al primo intervento chirurgico d’urgenza, dovette affrontarne altri?«Sì, mi sono sottoposta per due-tre anni a più di dieci interventi tra mano e occhio. I primi sono stati quelli essenziali, salvavita, all’ospedale di Treviso, dove ho ricevuto tantissime lettere dai bambini italiani che mi auguravano di riprendermi». Ore dove vive?«Ho lasciato il Veneto. Prima ho abitato per cinque anni a Torino e ora, da vari anni, sono in Lombardia. Abito a Monza e lavoro a Milano».Quale professione svolge?«Sono capoufficio di un’azienda che si occupa di ricerche di mercato, una multinazionale inglese. Gestisco la sede italiana a Milano». Molto dinamica, brava! Ha un compagno?«Sono single». Come ha elaborato questo trauma nel suo percorso verso la vita adulta?«Quando ero piccolina, ci ho messo diversi anni a maturare il pensiero che effettivamente quello che mi era capitato non era stato un incidente. E non è stato molto facile accettarlo. Durante l’adolescenza sono riuscita a capire che non era stato un incidente, perché in un incidente nessuno vuole farti del male, non è fatto apposta. Mi sono resa conto che fu un attentato. Qualcuno, quel giorno, si era svegliato per fare del male a qualcun altro, senza alcun motivo. Aveva quasi dei sensi di colpa…«Mi chiedevo “perché proprio me?”, “cosa ho fatto di male per meritare una cosa del genere?”. Pensavo che potesse essere legato a qualcosa di male che avessi fatto. Sono una persona positiva, solare, insomma una persona buona, ma anche tuttora ci sono giorni brutti».Quali difficoltà ha incontrato?«Quando sei piccolo, la tua mente e il tuo corpo crescono insieme a te e quindi ti abitui. È stato relativamente facile imparare a scrivere con la sinistra pur essendo nata destra. Un po’ più difficile alle medie e alle superiori perché qualche compagno prendeva in giro, cose che capitano, il bullismo purtroppo è diffuso ma niente che mi abbia ferito, dopo aver superato quello che ho passato…».Per le operazioni quotidiane?«Sono andata per molti anni a fare fisioterapia perché i danni che ho avuto dall’esplosione sono stati diversi. Ho imparato a fare tutto, vado in bicicletta, guido la macchina, vivo da sola, non c’è niente che non riesca a fare».Ha ricevuto un risarcimento?«Sì. Prima del mio attentato nessuna delle vittime di Unabomber era stata riconosciuta dallo Stato. I miei genitori hanno fatto una battaglia per me e per tutte le altre vittime. Anche se niente può rimediare a…».Il ricordo di quella persona sospetta ha influito sulla riapertura delle indagini, nel 2022? «Non credo abbia influito, quanto un giornalista con cui ho lavorato a un podcast su questa vicenda, che ha recuperato dei reperti e li ha portati al pm. Poi io, con il giornalista Marco Maisano e un’altra delle vittime, abbiamo chiesto la riapertura delle indagini. La richiesta è stata accolta e stanno analizzando il Dna nei reperti. Ma dal 2022 a oggi, purtroppo, non è ancora emerso nulla».La consegna delle analisi del Dna dei Ris è stata prorogata a metà marzo 2025. «Se si continua a prorogare, se non sbaglio, il prossimo anno c’è il rischio che tutto vada in prescrizione».Non si sa se Unabomber sia ancora vivo. Giuseppe Rinaldi, nel programma di Rai 2 Detectives, ha istituito un numero di telefono per raccogliere elementi utili per individuarlo. «Chiunque sapesse qualcosa o che in quel 25 aprile abbia fatto delle foto dove risultasse un signore con una camicia a fiori, sarebbe molto utile perché c’è un’indagine in corso e abbiamo il tempo contato».Prova odio per l’autore di quel crimine nei suoi confronti?«No, assolutamente. Sono un po’ arrabbiata con il destino, con le circostanze».Se dovessero catturarlo e potesse parlargli cosa gli direbbe?«Mi farebbe piacere conoscerlo e parlarci, sapere chi è, come ha vissuto, perché l’ha fatto, se ha ottenuto quello che sperava. Mi piacerebbe sapere se colpendo i bambini si aspettava di togliere qualcosa a una persona come me, solare, pacifica, non inacidita, se si aspettava questa mia reazione o volesse rendermi una persona cupa, diffidente, spenta. Non è giusto che una persona che ha compiuto queste azioni atroci possa continuare la sua vita liberamente, indisturbato».Quali sono i suoi auspici? «Conto di vivere serenamente come ho sempre fatto. La cosa che desidero di più è essere felice».
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