
La collaborazione fra i Paesi deve crescere. Tel Aviv può offrire le sue eccellenze, noi una sponda fidata nel Vecchio continente.La relazione industriale tra Israele e Italia è molto proficua per ambedue, in particolare dal 2002, quando fu siglato un accordo bilaterale tra ministeri della Difesa per lo sviluppo cooperativo di nuove tecnologie - ministro all'epoca era Antonio Martino con cui ebbi l'onore di collaborare - ampliato da uno nel 2018. Ora ritengo utile segnalare l'utilità per l'interesse nazionale italiano di estendere e approfondire ulteriormente la relazione economica con Israele.Il punto: nell'industria tecnologica residente in Italia e operante nel perimetro delle funzioni di sicurezza c'è un gap a livello di prodotti per la sicurezza informatica e guerra cibernetica. Il motivo non è tanto la mancanza di competenze, ma il fatto che queste sono imprigionate in aziende troppo piccole per finanziare lo sviluppo continuo della tecnologia e/o bloccate dall'assenza di un vero mercato dei capitali denso di fondi finanziari capaci di investire in start up tecnologiche e di sostenerle via acquisizioni espansive. Ciò comporta il rischio sia di dover importare sicurezza dall'estero senza un controllo nazionale della stessa, sia di non essere competitivi in un settore industriale sempre più di punta, non solo militare, ma anche civile. Per esempio, prima o poi la Bce dovrà emanare degli standard di sicurezza molto evoluti per evitare penetrazioni malevole nelle transazioni bancarie e simili sempre più robotizzate. Sarebbe meglio, ovviamente, che Banca d'Italia, Consob e sezione fintech dei servizi segreti (Dis) nonché polizia postale disponessero di un sistema tecnologico nazionale integrato - anche collegato al monitoraggio «humint» - e non importato da altri senza possibilità di vero controllo su una funzione così vitale per l'economia italiana.All'obiezione che dovremmo avere fiducia nell'europeizzazione di tale sicurezza dovremmo rispondere cortesemente non denunciando gli eurogiochi di dominio a nostro svantaggio né segnalando l'arretratezza delle tecnologie francesi e tedesche nel settore in confronto a quelle cinesi, russe, americane e perfino iraniane, ma dicendo che parteciperemo ai nuovi standard con una piattaforma nazionale evoluta ed euro compatibile. Il problema è che, allo stato attuale, non abbiamo la capacità per poterlo fare. Inoltre, il sistema finanziario italiano è in ritardo tecnologico, con conseguenze decompetitive. Da un lato, c'è un'accelerazione nel processo di adeguamento. Dall'altro, nel migliore dei casi, il sistema resterà in ritardo competitivo endemico nei confronti di altri. Pertanto l'Italia ha il problema di importare tecnologie nei settori sia della sicurezza sia civile che possano colmare rapidamente il gap detto, ma trovando un partner che permetta la costruzione di sistemi a controllo nazionale o comunque basati su iniziative imprenditoriali residenti in Italia per non essere impoveriti dalla concorrenza esterna. Secondo me Israele è il partner perfetto per tale scopo perché il suo peculiare sistema di innovazione ha le tecnologie che servono all'Italia, o è più avanti nel loro sviluppo, e non ha intenti condizionanti. Anche l'America potrebbe essere un buon fornitore, ma le aziende statunitensi potrebbero pretendere un dominio che limiterebbe le possibilità degli sviluppi residenti nel settore mentre le aziende israeliane sarebbero interessate a sostenerli. Ma è Israele così evoluta sul piano tecnologico? Per resistere come nazione minuscola in dintorni ostili ha dovuto necessariamente puntare sulla superiorità tecnologica, configurandosi tutta come un laboratorio innovativo e incubatore di start up. Ma ha difficoltà a scaricare sul mercato tutto il potenziale così creato. Possiamo fidarci di Israele? La domanda giusta è: di chi Israele può fidarsi in Europa? Germania? Mai. Francia? È troppo condizionante. Regno Unito? Anni fa Israele mandò agli inglesi un (mini)missile di nuova generazione affinché lo valutassero per l'acquisizione, ma Londra non glielo restituì per l'embargo dell'export di armi a Israele: surreale e certamente rimasto nella memoria.Resta, tra le potenze industriali, solo l'Italia. Anche perché con questa, oltre alla non condizionalità geopolitica, Israele ha potuto instaurare una relazione commerciale simmetrica: ha comprato un numero rilevante di aerei addestratori prodotti da Leonardo e altro, per un miliardo, e l'Italia ha acquistato sistemi israeliani, tra cui un satellite, per analogo valore. Conviene ad ambedue estendere e rendere più profonda la relazione, appunto. Sta avvenendo, ma mi permetto di suggerire relazioni più forti tra la due agenzie spaziali, la creazione di una piattaforma di cybersecurity italo-israeliana, un accordo economico per fornire bandiera fiscale italiana ad aziende israeliane in via di internazionalizzazione e una banca italo-israeliana (e americana) fintech, con raggio globale.
Ansa
Fabiano Mura, astro nascente della Cgil, aveva denunciato un’aggressione con tanto di saluti romani e skinhead rasati In piazza per lui scesero Salis, Landini e Orlando. Ma non era vero niente. E ora farà quattro mesi di servizi socialmente utili.
Quella mattina del 15 aprile una notizia che sembrava uscita da un film di denuncia sociale aveva scosso Sestri Ponente. L’ex segretario genovese della Fillea Cgil, Fabiano Mura (in quel momento tra gli astri nascenti del sindacalismo locale e ancora in carica), aveva raccontato di essere stato aggredito da due estremisti di destra («uno con la testa rasata») mentre si recava su un cantiere per incontrare degli operai ai quali avrebbe dovuto parlare del referendum su lavoro e cittadinanza dell’8 e 9 giugno. Gli ingredienti suggestivi, a dieci giorni dal 25 aprile (e a un mese dalle urne referendarie), c’erano tutti: la tensione ideale, la ferita simbolica inflitta al mondo del lavoro, i saluti romani, gli insulti e pure la fuga disperata fino alla sede del sindacato e poi in ospedale (dove Mura rimediò un certificato con cinque giorni di prognosi).
Nel riquadro, il chirurgo Ludwig Rehn (IStock)
Il medico tedesco Ludwig Rehn riuscì con successo a suturare il ventricolo di un paziente accoltellato che sopravvisse all'intervento, eseguito senza gli strumenti della cardiochirurgia moderna.
Non c’era più tempo per il dottor Ludwig Rehn. Il paziente stava per morire dissanguato davanti ai suoi occhi. Era il 7 settembre 1896 e il medico tedesco era allora il primario di chirurgia dell’ospedale civile di Francoforte quando fu chiamato d’urgenza per un giovane giardiniere di 22 anni accoltellato nel pomeriggio e trovato da un passante soltanto ore più tardi in condizioni disperate. Arrivò di fronte al dottor Rehn solo dopo le 3 del mattino. Da questo fatto di cronaca, nascerà il primo intervento a cuore aperto della storia della medicina e della cardiochirurgia.
Il paziente presentava una ferita da taglio al quarto spazio intercostale, appariva pallido e febbricitante con tachicardia, polso debole, aritmia e grave affanno respiratorio (68 atti al minuto quando la norma sarebbe 18-20) aggravato dallo sviluppo di uno pneumotorace sinistro. Condizioni che la mattina successiva peggiorarono rapidamente.
Senza gli strumenti diagnostici odierni, localizzare il danno era estremamente difficile, se non impossibile. Il dottor Rehn riuscì tuttavia ad ipotizzare la posizione del danno mediante semplice auscultazione. La ferita aveva centrato il cuore. Senza esitare, decise di intervenire con un tamponamento cardiaco diretto, un’operazione mai provata precedentemente. Rehn praticò un’incisione di 14 cm all’altezza del quinto intercostale e scoprì la presenza di sangue scuro. Esplorò il pericardio con le mani, quindi lo aprì, esponendo per la prima volta nella storia della medicina un cuore attivo e pulsante, seppur gravemente compromesso e sanguinante. Tra i coaguli e l’emorragia Rehn individuò la ferita da taglio all’altezza del ventricolo destro. Il chirurgo operò una rapida sutura della ferita al cuore con un filo in seta, approfittando della fase di diastole prolungata a causa della sofferenza cardiaca. La sutura fu ripetuta tre volte fino a che l’emorragia si fermò del tutto e dopo un sussulto del cuore, questo riprese a battere più vigoroso e regolare. Prima di richiudere il torace, lavò il cuore ed il pericardio con soluzione idrosalina. Gli atti respiratori scesero repentinamente da 76 a 48, la febbre di conseguenza diminuì. Fu posto un drenaggio toracico che nel decorso postoperatorio rivelò una fase critica a causa di un’infezione, che Rehn riuscì tuttavia a controllare per l’efficacia del drenaggio stesso. Sei mesi dopo l’intervento il medico tedesco dichiarava: «Sono oggi nella fortunata posizione di potervi dichiarare che il paziente è ritornato in buona salute. Oggi è occupato in piccole attività lavorative, in quanto non gli ho al momento permesso nessuno sforzo fisico. Il paziente mostra ottime prospettive di conservazione di un buono stato di salute generale».
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Roberto FIco (Ansa)
Ha il gozzo ormeggiato alla banchina gestita dall’Aeronautica e in mare è seguito da vistose imbarcazioni delle Forze dell’ordine.
Roberto Fico e la sua barca, anzi barchetta, anzi gozzo, anzi gozzetto: da settimane la politica campana e nazionale si sta dedicando alla imbarcazione dell’ex presidente della Camera, candidato alla guida della Regione Campania per il centrosinistra allargato. La Verità è in grado di raccontare per filo e per segno questa storia, correggendo una serie di imprecisioni che sono state riportate, e aggiungendo particolari gustosi che i diportisti napoletani conoscono benissimo. E’ bene ribadire sin da ora che nulla di quello che raccontiamo è illegale o illegittimo: si tratta solo di mettere in luce che i proclami dei sedicenti «anticasta» spesso non corrispondono ai comportamenti individuali. Punto primo: la barca che veniva ormeggiata presso l’area della banchina di Nisida gestita dall’Aeronautica militare, a quanto ci risulta, non sarebbe il «Paprika», il cabinato la cui foto ha fatto il giro dei media italiani con Fico a bordo, bensì un gozzo in legno scoperto, di colore blu, senza cabine e con un albero al centro. Non sappiamo se Fico abbia successivamente acquistato un’altra barca più grande, ma non è questo il tema.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Scandalo nel settore energetico: tangenti per 100 milioni ai funzionari della società pubblica del nucleare. Cinque arresti. Volodymyr Zelensky perde la faccia. Mosca attacca: «Soldi europei sottratti dal regime ucraino». Berlino: «Preoccupati, ora vigileremo».
Un nuovo scandalo di corruzione travolge Kiev, mettendo in crisi la credibilità del governo nel pieno della guerra contro la Russia e accendendo le tensioni con gli alleati occidentali. Il presidente Volodymyr Zelensky ha chiesto e ottenuto le dimissioni del ministro della Giustizia German Galushchenko e della ministra dell’Energia Svitlana Grynchuk, dopo averli accusati di aver perso la fiducia necessaria per restare nei loro incarichi. La decisione è arrivata dopo settimane di tensioni e indagini sul sistema energetico nazionale, già sotto pressione per i bombardamenti e le difficoltà economiche.






