2025-08-07
        La foto con il presunto corruttore che smentisce Ricci
    
 
        Matteo Ricci conversa con Stefano Esposto, l’imprenditore accusato di corruzione
    
Due scatti ritraggono il candidato governatore mentre conversa col presunto corruttore Esposto durante il Palio dei bracieri, organizzato da quest’ultimo. Intanto Santini col nuovo legale ha pronti due «assi».Una foto poterebbe smentire la dichiarazione sofferente di Matteo Ricci ai suoi elettori. Martedì 22 luglio, con l’avviso di garanzia in mano, a proposito delle associazioni Opera maestra e Stella polare, fondate e presiedute dal presunto corruttore Stefano Esposto, era stato definitivo: «Io non ho mai avuto a che fare direttamente con queste associazioni».Che cosa intendesse dire a questo punto non ci è chiaro. Infatti, dopo avere pubblicato le immagini di Ricci ed Esposto fianco a fianco durante tre presentazioni del Palio dei bracieri (la manifestazione intorno a cui ci sarebbe stato, secondo la Procura, un giro di soldi sospetto), ecco che spuntano un paio di scatti, a nostro giudizio, molto significativi. Nel fossato della Rocca Costanza, cornice dell’evento, si vede l’allora primo cittadino, maglietta nera e bermuda, soffermarsi a chiacchierare proprio con Esposto. Quest’ultimo indossa la t-shirt del Palio e ha in mano un copione intitolato «Contenuti palio 2019». L’allora primo cittadino gli appoggia una mano sulla spalla e gli sorride. Ricci, immortalato in diversi altri scatti (in uno con lui ed Esposto, che sghignazza divertito, ci sono anche altre due persone), non può non sapere di avere a che fare con uno degli organizzatori. E con lui discute. Non è una foto in posa, ma uno scatto realizzato da distante. Forse il politico non sa nemmeno di essere inquadrato da un obiettivo. Ma quello che appare chiaro dagli album fotografici è che sin dalle prime edizioni di questa festa popolare, ideata e organizzata da Massimiliano Santini, assunto da Ricci come factotum proprio nel 2019, l’europarlamentare dem non ha mai mancato l’occasione per mettersi in mostra e approfittare della grande affluenza di giovani per raccogliere il famoso dividendo politico, ovvero l’«accresciuta popolarità e consenso», l’«utilità» contestata dagli inquirenti. C’è da capire quanto, in quegli anni, il Comune abbia contribuito finanziariamente all’allestimento della manifestazione. L’amministrazione municipale, attraverso i propri rappresentanti, ha più volte evidenziato il sostegno economico pubblico garantito all’evento.Ma il Palio era una macchina di aggregazione e divertimento capace di attirare decine di sponsor privati. Nei video realizzati durante il raduno si può notare la gran quantità di marchi che sostenevano la kermesse. Tutto il fossato era pavesato di striscioni di associazioni, aziende e piccole attività commerciali, tutte interessate ad apparire durante i tre-quattro giorni dell’atteso appuntamento estivo.Quanto valeva per Santini quel palio da lui ideato? E, soprattutto, quei guadagni erano tutti leciti? A giudizio della Procura il contratto che ha firmato nel 2023 con Opera maestra per la cessione del marchio per un intero lustro sarebbe stato un accordo fittizio per ricompensare il giovanotto degli affidi (del valore complessivo di circa mezzo milione di euro) che lo stesso avrebbe fatto arrivare alle associazioni sotto inchiesta. Santini, con noi, ha smentito questa ricostruzione dei pm e ha svelato il suo asso nella manica: «Io ho sempre fatto altri contratti con altre associazioni per fare questo evento» ci ha detto. Quindi ha incassato denaro anche prima dell’arrivo di Opera maestra? «Sì, sì» ci ha assicurato. Santini sostiene, dunque, di avere affittato il marchio da lui registrato a partire dal 2014, quando era entrato in Consiglio comunale con una lista civica. Per l’ex factotum di Ricci questo vecchio accordo sarebbe la prova che anche nel 2023 aveva effettivamente ceduto il format del palio. Quando gli abbiamo chiesto se avesse così trovato il modo di raggranellare qualche soldo ci ha risposto con entusiasmo: «Esatto, esatto». E poi ha puntualizzato: «Anche con Opera maestra non è che io ho preso soldi in nero. Io ho avuto dei bonifici e nella causale del contratto è scritto perché io ricevessi quel denaro». Ma per la Procura quello sarebbe un contratto fittizio e i 45.000 euro incassati da una delle associazioni di Esposto, come ha rivelato La Verità, potrebbero essere stati utilizzati anche per acquistare un appartamento di 200 metri quadrati ceduto all’asta. Santini respinge con forza queste accuse e, per questo, ha messo a disposizione dei suoi legali i vecchi contratti di affitto del marchio con altre associazioni. Documenti che conserva in casa. Non sappiamo se la Procura quando ha perquisito l’abitazione di Santini li abbia trovati e non li abbia considerati dirimenti. L’ex collaboratore di Ricci e gli altri 23 indagati avrebbero anche un’altra carta da giocare. Nei giorni scorsi tra alcuni difensori circolavano le motivazioni di una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione di cui ha parlato il quotidiano Il Dubbio mercoledì 30 luglio, il giorno in cui è stato interrogato Ricci presso la caserma del Comando provinciale della Guardia di finanza di Pesaro. Una sentenza che ridisegnerebbe «i confini del reato» a favore degli indagati. Non basterebbe, infatti, la consegna di denaro o di altre utilità al pubblico ufficiale per cristallizzare il delitto. Secondo gli ermellini «è necessario che la promessa/dazione del corruttore e l’accettazione del corrotto convergano verso la medesima finalità e diano causa al compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio». Come spiega il quotidiano costituito su impulso della Fondazione della avvocatura italiana, questo sarebbe «un passaggio che sposta il focus dall’atto materiale del dare/avere all’esistenza di un vero e proprio accordo illecito, un “pactum sceleris”». Che nella vicenda andrà trovato. Di certo le difese intendono valorizzare la decisione del Palazzaccio e Santini venerdì, il giorno in cui ci ha incontrato, era a conoscenza della decisione e ne aveva stampato una copia. Aveva anche provato a comprenderne il contenuto con l’aiuto di Chat Gpt. Nelle stesse ore, all’intelligenza artificiale, aveva posto quesiti sulle attenuanti generiche, ma anche sulle incombenze da sostenere con la Siae in vista di appuntamenti elettorali con donazioni liberali, con particolare riferimento alla cena popolare organizzata da Ricci il 12 aprile 2024. Insomma, come ci sono gli internauti che si curano con il dottor Google, esistono anche gli indagati che puntano al proscioglimento o all’assoluzione interrogando l’avvocato Chat Gpt. Proprio venerdì l’avvocato Paola Righetti ha rimesso il mandato e ha rinunciato ad assistere Santini. Troppo diverse le strategie difensive. Da una parte la prudenza del legale che consigliava al suo cliente di attendere il deposito degli atti della Procura prima di parlare con i pm, per evitare di rendere dichiarazioni al buio e fare eventuali chiamate di correo senza conoscere le prove raccolte dagli inquirenti, dall’altra l’atteggiamento ansioso di un indagato desideroso di parlare con i magistrati per evitare misure restrittive (da lui temutissime). Due posizioni inconciliabili. Anche perché, da tempo, Santini era attirato dalle sirene di altri legali. Dopo l’interrogatorio di lunedì 28 luglio, in cui aveva fatto scena muta (su consiglio del suo vecchio difensore in carne ossa) aveva iniziato a ipotizzare di affiancare all’avvocato Righetti un altro avvocato pesarese, non si sa bene consigliato da chi. Poi giovedì scorso, alla nostra presenza, aveva conversato al telefono con un noto penalista: «Mi ha detto di non dire un cavolo a nessuno, ma è un avvocato molto conosciuto. Lavora tra Roma, Palermo e Milano. È uno che ha vinto le cause con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi» era stata la spiegazione dell’indagato. Il legale che più corrisponde a questo identikit è Giuseppe Li Peri, ma questi, contattato dalla Verità, ha smentito di essere il nuovo difensore di Santini.
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