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2018-10-05
Denunciato don Biancalani, aveva pubblicato le foto dei migranti in piscina
La smania di protagonismo è una belva difficile da domare, e quando esce dalla gabbia provoca danni notevoli. Ne sa qualcosa don Massimo Biancalani, il sacerdote di Vicofaro, a Pistoia, che da anni si affanna per apparire in televisione e sui giornali nel ruolo di paladino dei migranti. Per farsi notare le ha provate tutte e molto spesso non gli è andata bene. L'ultima vicenda che lo vede protagonista, però, è probabilmente la più eclatante. Mercoledì, il prete ha tenuto una conferenza stampa in cui ha espresso solidarietà al sindaco di Riace e ha raccontato di essere indagato. «Di questo fatto non ho mai parlato fino ad oggi», ha dichiarato, «lo dico solamente per far capire quanto sia difficile e rischioso occuparsi dell'accoglienza dei migranti, ma anche delle altre persone che ho accolto».
Chiaro no? Il sant'uomo ha pensato bene di sfruttare i guai giudiziari di Mimmo Lucano per rimediare un po' di pubblicità gratuita, credendo di potersi atteggiare anche lui a vittima del sistema razzista e intollerante. Solo che le cose stanno molto diversamente da come il prete le ha descritte. Tanto per cominciare, come spiega il suo avvocato Ermanno Buiani, don Biancalani non è indagato. Semplicemente, nel dicembre scorso ha ricevuto un verbale di identificazione ed elezione di domicilio da parte della Questura.
Nel suo caso, quindi, non c'è alcuna «resistenza civile» che genera «avvisi di garanzia». C'è, però, una storia grottesca che merita di essere raccontata. Ecco i fatti. Alla fine dello scorso anno, la questura di Pistoia si è rivolta al garante della privacy segnalando una faccenda che, in effetti, coinvolgeva in prima persona Biancalani. Il sacerdote, infatti, aveva pubblicato sui social network le fotografie di alcuni richiedenti asilo ospiti del suo Centro di accoglienza straordinaria a Vicofaro.
Forse ve le ricordate: sono le immagini dei migranti che, belli soddisfatti, sguazzano in piscina. Il prete le diffuse su Facebook nell'agosto del 2017, con il commento: «Loro sono la mia patria, i razzisti e i fascisti i miei nemici». Non pago, nel dicembre dello stesso anno, decise di utilizzare quelle immagini per realizzare un calendario. «È un modo che ho trovato per svelenire e sdrammatizzare il clima di odio che si è venuto a creare dopo la pubblicazione delle foto in piscina di questa estate», disse ai giornali. «Una copia del calendario la invierò a Matteo Salvini che alimentò la polemica».
Insomma, Biancalani utilizzò quelle foto per far bisticciare con Salvini. E qui sorge il problema. Prima di pubblicare le immagini del bagnetto, don Massimo non chiese l'autorizzazione ai migranti. Motivo per cui la questura è intervenuta con la segnalazione al Garante della privacy.
Biancalani presenta questa storia come la prova dell'accanimento delle istituzioni nei suoi confronti. Ma la realtà è diversa. Fonti della Questura di Pistoia, sentite dalla Verità, spiegano che la denuncia in effetti è stata fatta. Ma le autorità, in questi casi, non si muovono spontaneamente. Se si sono rivolte al Garante della privacy è perché qualcuno ha «dato un input». Ed è molto probabile che sia stato un migrante.
Del resto, chi poteva lamentarsi della violazione della privacy degli stranieri se non gli stranieri stessi? Per farla breve: se Biancalani è stato denunciato, con tutta probabilità, è perché uno degli stranieri fotografati in piscina si è lamentato. La Questura ha indagato, ha scoperto che a nessuno era stato chiesto il consenso per la pubblicazione delle immagini, e a quel punto ha girato la pratica al garante. Secondo l'avvocato di Biancalani, poi, il procedimento non ha avuto conseguenze. Ma non è ancora finita. Dalla Questura fanno notare che diffondere sui social network le foto dei richiedenti asilo non è affatto cosa buona. Anzi, è addirittura pericoloso. In teoria, i migranti che richiedono la protezione fuggono da guerre, persecuzioni, minacce gravi. Insomma, sarebbero a rischio della vita. Dunque mostrare all'universo mondo dove essi si trovino potrebbe rivelarsi dannoso per la loro sicurezza.
È un clamoroso caso di eterogenesi dei fini. Don Biancalani ha pubblicato le immagini per (dice lui) sostenere la causa dei migranti. In realtà li ha danneggiati, e li ha pure fatti irritare. Tuttavia, il prete si atteggia a martire, a perseguitato politico. Ha addirittura iniziato lo sciopero della fame, per protestare contro il provvedimento del Comune di Pistoia (risalente a settembre) che gli vieta di accogliere stranieri. Nel frattempo, 190 abitanti di Vicofaro hanno firmato una petizione in cui spiegano che, nella zona, «è impossibile vivere tranquillamente». Ci sono ospiti del centro profughi che «orinano e defecano» in strada, e poi liti, risse, caos.
Ecco, magari don Massimo, invece di pubblicare foto e fare la vittima, farebbe meglio ad ascoltare un po' di più i suoi parrocchiani. Non finirebbe sui giornali, ma tutti sarebbero più felici.
Francesco Borgonovo
Le Ong sfidano ancora il governo. E la Rai sponsorizza il loro festival
«C'è una nave dei centri sociali che vaga nel Mediterraneo», ha detto ieri Matteo Salvini in diretta Facebook, inviando questo messaggio all'equipaggio: «Potete raccogliere chi volete, ma in Italia non sbarcherete». La «nave dei centri sociali» fa parte di una nuova missione delle Ong, stavolta tutta italiana.
Il nome del progetto è Mediterranea ed è promosso da varie associazioni che, in effetti, sono tutte gravitanti nell'area dell'associazionismo e della militanza nell'estrema sinistra: Arci nazionale, Ya Basta di Bologna, la Ong Sea Watch, il magazine online I Diavoli e l'impresa sociale Moltivolti di Palermo. Ma c'entra anche la politica istituzionale, nel pieno dell'ubriacatura per la presunta «disobbedienza civile» di questi giorni: Mediterranea è sostenuta politicamente e finanziariamente da Nichi Vendola e tre parlamentari di Leu (Nicola Fratoianni, Erasmo Palazzotto e Rossella Muroni). I parlamentari di Sinistra italiana hanno sottoscritto una fideiussione da 460.000 euro per finanziare il tutto.
La nave di soccorso Mare Ionio, accompagnata dalla nave appoggio chiamata Burlesque (e qui non si sa se ridere o piangere...) è salpata all'alba di ieri da Augusta e ha preso il largo verso il Mediterraneo centrale. Batte bandiera italiana, è lunga 37 metri e larga nove e può imbarcare un centinaio di persone. L'equipaggio è composto da undici persone.
Si tratta, ma a questo punto è quasi superfluo specificarlo, di un progetto politico da cima a fondo, pensato in esplicita sfida al governo italiano, come peraltro appare chiaro leggendo la presentazione sul sito della missione: «Quella di Mediterranea è un'azione di disobbedienza morale ma di obbedienza civile. Disobbedisce al discorso pubblico nazionalista e xenofobo e al divieto, di fatto, di testimoniare quello che succede nel Mediterraneo; obbedisce, invece, alle norme costituzionali e internazionali, da quelle del mare al diritto dei diritti umani, comprese l'obbligatorietà del salvataggio di chi si trova in condizioni di pericolo e la sua conduzione in un porto sicuro se si dovessero verificare le condizioni».
Viste le rassicurazioni di Salvini, che come abbiamo visto ha negato con fermezza che l'imbarcazione possa portare migranti in Italia, è lecito a questo punto attendersi un nuovo caso Aquarius all'orizzonte. O forse, dato che la nave stavolta è italiana, qualcosa di più simile al caso Diciotti. La voglia di forzare la mano da parte delle Ong c'è tutta, stavolta con il coinvolgimento diretto di una sinistra istituzionale in piena fregola «resistenziale»: l'arresto del sindaco di Riace per quello che, in modo a dir poco surreale, è stato letto come un «reato di umanità», ha generato una paranoia ribellistica dai toni talora eversivi. C'è da combattere contro un regime, dicono. Ma è una curiosa resistenza, quella che si fa con l'appoggio della tv pubblica.
Già perché la Rai sembra aver fatto da tempo una precisa scelta di campo. Abbiamo già visto il logo di viale Mazzini sulla manifestazione appena conclusasi a Lampedusa per ricordare il naufragio del 3 ottobre 2013 (cosa di per sé lodevole, se il tutto non si fosse risolto nella solita passerella per Ong). Ed è stata Rai cinema a produrre Iuventa, il documentario di Michele Cinque che racconta l'anno e mezzo di attività tra 2016 e 2017 della discussa nave al servizio della Ong tedesca Jugend Rettet, formata da studenti tedeschi di estrema sinistra noti per l'atteggiamento sfrontato e una certa tendenza a operare sul filo delle regole. Iuventa verrà proiettato anche a Sabir, il «festival diffuso delle culture mediterranee» che si terrà dall'11 al 14 ottobre a Palermo, organizzato da Arci e collegato a tutto il solito circuiti di enti sorosiani e attivismo progressista (Asgi, A buon diritto, Carta di Roma, per esempio).
Nel programma, conferenze imperdibili come «Decriminalizzare la solidarietà», «Frontiere armate», «Buone prassi di accoglienza», ma anche «laboratori di cinema e videomaking rivolto ai rifugiati», spettacoli teatrali come «Tutti abbiamo sangue rosso», a cura della Caritas diocesana di Brescia, risultato di un laboratorio con ragazzi richiedenti asilo. E via di questo passo. Iuventa non sarà peraltro l'unico film proiettato. Tra gli altri, ci sarà anche Last man in Aleppo, il documentario danese-siriano del 2017 diretto da Firas Fayyad e dedicato all'epopea (si fa per dire) dei Caschi bianchi, la controversa organizzazione umanitaria siriana accusata da più parti di essere vicina ad Al Nusra, cioè, in buona sostanza, ad Al Qaeda.
Una kermesse che sembra uscita dalla stagione estiva di qualche centro sociale, e che invece, gode dei patrocini di Rai, ma anche di Anci e Comune di Palermo. Tanto perché siamo in un orribile regime liberticida.
Francesco Borgonovo e Adriano Scianca
Lucano provoca: «Io rispetto solo la Costituzione»
Aveva detto «è tutto a posto» anche dopo l'interrogatorio in Procura un anno fa. Per la seconda volta Domenico Mimmo Lucano, sindaco di Riace sospeso dalla prefettura, re dell'accoglienza a tutti i costi e, stando alle accuse, combinatore di matrimoni farlocchi e fuorilegge tra giovani immigrate e vecchietti calabresi, dopo aver incontrato una toga mostra il petto: «C'è chi mi accusa di non aver rispettato le regole ma forse la Costituzione italiana la rispetto più io di molti che si nascondono dietro le leggi. La prima regola della Costituzione italiana che nasce dalla resistenza è il rispetto degli esseri umani. E non hanno colore della pelle o nazionalità».
Sembra un manifesto politico dell'ultrasinistra. Ovviamente recitato a modo suo, con una cadenza mix tra Cetto La Qualunque e Franco Neri di Zelig. Alle 9 di ieri mattina, per il suo interrogatorio di garanzia, si è seduto davanti a Domenico Di Croce, il gip che l'ha privato della libertà e dal quale dipende la decisione sulla misura cautelare. La giornata è cominciata presto. Locri dista da Riace una quarantina di minuti. Uscendo dalla casa in cui il sindaco è costretto ai domiciliari si è fatto scappare qualche parola: «È tutto assurdo».
In quella occasione, però, è bastata un'occhiataccia del suo avvocato per silenziarlo. La falla si è aperta appena uscito dal tribunale. Lucano infatti riparte con la stessa frase: «È tutto assurdo. Anche gli inquirenti hanno riconosciuto che mi contestano il reato di umanità». Peccato che il procuratore di Locri Luigi D'Alessio poco dopo abbia detto all'agenzia Reuters che Lucano «ha violato la legge con una allarmante naturalezza». E che avrebbe commesso, sempre secondo l'accusa, «una serie di illeciti per una visione assolutamente personalistica dell'accoglienza, fatta senza alcuna considerazione delle regole e in barba alle leggi».
E allora Lucano si gioca la carta di Becky Moses, la ragazza nigeriana morta carbonizzata mesi fa nella tendopoli di San Ferdinando di Rosarno. «Chi ha pagato per questo?», chiede Lucano. «Io quello che ho fatto è evitare che ci fossero tante Becky. Salvare una sola persona dalla strada vale fare il sindaco». Pareva un'arringa difensiva. Poi è arrivata una seconda mazzata: il procuratore di Locri ha annunciato che ricorrerà ai giudici del Riesame per chiedere di valutare tutti i documenti dell'inchiesta che a suo parere il gip non ha valutato, riconoscendo per la misura cautelare solo le accuse di aver organizzato nozze di comodo e assegnato il servizio di raccolta di rifiuti aggirando le regole.
Le prove sui matrimoni, d'altra parte, appaiono schiaccianti anche a Lucano. Tant'è che l'indagato, pur cercando di sminuire, lo ammette: «Il matrimonio che è stato celebrato è uno solo ed è vero». Le telefonate? Quelle invece sono state «interpretate male».
E i fondi? Lucano sul punto non pontifica. Per il gip la gestione è stata disordinata. Roba da Corte dei conti. Ma alla Verità gli investigatori confermano: «Le iscrizioni restano quelle». Anche quella di associazione a delinquere stampata sulla copertina della richiesta d'arresto. Secondo il procuratore sono stati acquisiti elementi utili per dimostrare la distrazione di fondi che, spiega il magistrato, «sono stati giustificati con fatture per operazioni inesistenti». Ma questo non conta per i giudici popolari dell'ultrasinistra alla Roberto Saviano che hanno già assolto Lucano, senza leggere una sola pagina degli atti d'accusa. Ora spetta al gip però amministrare la legge e decidere se confermare la misura cautelare, modificarla o annullarla.
Nel frattempo nel municipio di Riace, teatro dei reati secondo il pm, ha preso le redini il vicesindaco Giuseppe Gervasi per guidare il primo consiglio comunale senza Mimmo Lucano. Da qualche giorno ripete: «Ho pianto di rabbia, stavamo sognando perché Riace era, è e sarà un esempio meraviglioso. Un amministratore può commettere un errore, ma qui è stata messa in ginocchio la parte buona della Calabria». Sulle delibere per la raccolta dei rifiuti, denuncia da tempo l'opposizione, c'è anche la sua firma. Come quella di una buona fetta dell'amministrazione comunale.
Fabio Amendolara
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Riduci
Il prete pro migranti spara: «Indagato perché accolgo». In realtà, è stato segnalato al Garante della privacy per aver diffuso le immagini dei richiedenti asilo in acqua senza il loro consenso. Molto probabilmente, a lamentarsi sono stati gli stessi stranieri.Nel Mediterraneo torna una nave di attivisti, sostenuta dai parlamentari di sinistra: «È disobbedienza morale». Intanto la tv pubblica patrocina la kermesse che sostiene le frontiere aperte e i tassisti del mare.Il sindaco di Riace, interrogato, ostenta sicurezza. Per il procuratore, però, «violava la legge con allarmante naturalezza».Lo speciale contiene tre articoliLa smania di protagonismo è una belva difficile da domare, e quando esce dalla gabbia provoca danni notevoli. Ne sa qualcosa don Massimo Biancalani, il sacerdote di Vicofaro, a Pistoia, che da anni si affanna per apparire in televisione e sui giornali nel ruolo di paladino dei migranti. Per farsi notare le ha provate tutte e molto spesso non gli è andata bene. L'ultima vicenda che lo vede protagonista, però, è probabilmente la più eclatante. Mercoledì, il prete ha tenuto una conferenza stampa in cui ha espresso solidarietà al sindaco di Riace e ha raccontato di essere indagato. «Di questo fatto non ho mai parlato fino ad oggi», ha dichiarato, «lo dico solamente per far capire quanto sia difficile e rischioso occuparsi dell'accoglienza dei migranti, ma anche delle altre persone che ho accolto».Chiaro no? Il sant'uomo ha pensato bene di sfruttare i guai giudiziari di Mimmo Lucano per rimediare un po' di pubblicità gratuita, credendo di potersi atteggiare anche lui a vittima del sistema razzista e intollerante. Solo che le cose stanno molto diversamente da come il prete le ha descritte. Tanto per cominciare, come spiega il suo avvocato Ermanno Buiani, don Biancalani non è indagato. Semplicemente, nel dicembre scorso ha ricevuto un verbale di identificazione ed elezione di domicilio da parte della Questura.Nel suo caso, quindi, non c'è alcuna «resistenza civile» che genera «avvisi di garanzia». C'è, però, una storia grottesca che merita di essere raccontata. Ecco i fatti. Alla fine dello scorso anno, la questura di Pistoia si è rivolta al garante della privacy segnalando una faccenda che, in effetti, coinvolgeva in prima persona Biancalani. Il sacerdote, infatti, aveva pubblicato sui social network le fotografie di alcuni richiedenti asilo ospiti del suo Centro di accoglienza straordinaria a Vicofaro. Forse ve le ricordate: sono le immagini dei migranti che, belli soddisfatti, sguazzano in piscina. Il prete le diffuse su Facebook nell'agosto del 2017, con il commento: «Loro sono la mia patria, i razzisti e i fascisti i miei nemici». Non pago, nel dicembre dello stesso anno, decise di utilizzare quelle immagini per realizzare un calendario. «È un modo che ho trovato per svelenire e sdrammatizzare il clima di odio che si è venuto a creare dopo la pubblicazione delle foto in piscina di questa estate», disse ai giornali. «Una copia del calendario la invierò a Matteo Salvini che alimentò la polemica». Insomma, Biancalani utilizzò quelle foto per far bisticciare con Salvini. E qui sorge il problema. Prima di pubblicare le immagini del bagnetto, don Massimo non chiese l'autorizzazione ai migranti. Motivo per cui la questura è intervenuta con la segnalazione al Garante della privacy. Biancalani presenta questa storia come la prova dell'accanimento delle istituzioni nei suoi confronti. Ma la realtà è diversa. Fonti della Questura di Pistoia, sentite dalla Verità, spiegano che la denuncia in effetti è stata fatta. Ma le autorità, in questi casi, non si muovono spontaneamente. Se si sono rivolte al Garante della privacy è perché qualcuno ha «dato un input». Ed è molto probabile che sia stato un migrante. Del resto, chi poteva lamentarsi della violazione della privacy degli stranieri se non gli stranieri stessi? Per farla breve: se Biancalani è stato denunciato, con tutta probabilità, è perché uno degli stranieri fotografati in piscina si è lamentato. La Questura ha indagato, ha scoperto che a nessuno era stato chiesto il consenso per la pubblicazione delle immagini, e a quel punto ha girato la pratica al garante. Secondo l'avvocato di Biancalani, poi, il procedimento non ha avuto conseguenze. Ma non è ancora finita. Dalla Questura fanno notare che diffondere sui social network le foto dei richiedenti asilo non è affatto cosa buona. Anzi, è addirittura pericoloso. In teoria, i migranti che richiedono la protezione fuggono da guerre, persecuzioni, minacce gravi. Insomma, sarebbero a rischio della vita. Dunque mostrare all'universo mondo dove essi si trovino potrebbe rivelarsi dannoso per la loro sicurezza. È un clamoroso caso di eterogenesi dei fini. Don Biancalani ha pubblicato le immagini per (dice lui) sostenere la causa dei migranti. In realtà li ha danneggiati, e li ha pure fatti irritare. Tuttavia, il prete si atteggia a martire, a perseguitato politico. Ha addirittura iniziato lo sciopero della fame, per protestare contro il provvedimento del Comune di Pistoia (risalente a settembre) che gli vieta di accogliere stranieri. Nel frattempo, 190 abitanti di Vicofaro hanno firmato una petizione in cui spiegano che, nella zona, «è impossibile vivere tranquillamente». Ci sono ospiti del centro profughi che «orinano e defecano» in strada, e poi liti, risse, caos. Ecco, magari don Massimo, invece di pubblicare foto e fare la vittima, farebbe meglio ad ascoltare un po' di più i suoi parrocchiani. Non finirebbe sui giornali, ma tutti sarebbero più felici. Francesco Borgonovo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/foto-in-piscina-denunciato-don-biancalani-2610059591.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-ong-sfidano-ancora-il-governo-e-la-rai-sponsorizza-il-loro-festival" data-post-id="2610059591" data-published-at="1765385157" data-use-pagination="False"> Le Ong sfidano ancora il governo. E la Rai sponsorizza il loro festival «C'è una nave dei centri sociali che vaga nel Mediterraneo», ha detto ieri Matteo Salvini in diretta Facebook, inviando questo messaggio all'equipaggio: «Potete raccogliere chi volete, ma in Italia non sbarcherete». La «nave dei centri sociali» fa parte di una nuova missione delle Ong, stavolta tutta italiana. Il nome del progetto è Mediterranea ed è promosso da varie associazioni che, in effetti, sono tutte gravitanti nell'area dell'associazionismo e della militanza nell'estrema sinistra: Arci nazionale, Ya Basta di Bologna, la Ong Sea Watch, il magazine online I Diavoli e l'impresa sociale Moltivolti di Palermo. Ma c'entra anche la politica istituzionale, nel pieno dell'ubriacatura per la presunta «disobbedienza civile» di questi giorni: Mediterranea è sostenuta politicamente e finanziariamente da Nichi Vendola e tre parlamentari di Leu (Nicola Fratoianni, Erasmo Palazzotto e Rossella Muroni). I parlamentari di Sinistra italiana hanno sottoscritto una fideiussione da 460.000 euro per finanziare il tutto. La nave di soccorso Mare Ionio, accompagnata dalla nave appoggio chiamata Burlesque (e qui non si sa se ridere o piangere...) è salpata all'alba di ieri da Augusta e ha preso il largo verso il Mediterraneo centrale. Batte bandiera italiana, è lunga 37 metri e larga nove e può imbarcare un centinaio di persone. L'equipaggio è composto da undici persone. Si tratta, ma a questo punto è quasi superfluo specificarlo, di un progetto politico da cima a fondo, pensato in esplicita sfida al governo italiano, come peraltro appare chiaro leggendo la presentazione sul sito della missione: «Quella di Mediterranea è un'azione di disobbedienza morale ma di obbedienza civile. Disobbedisce al discorso pubblico nazionalista e xenofobo e al divieto, di fatto, di testimoniare quello che succede nel Mediterraneo; obbedisce, invece, alle norme costituzionali e internazionali, da quelle del mare al diritto dei diritti umani, comprese l'obbligatorietà del salvataggio di chi si trova in condizioni di pericolo e la sua conduzione in un porto sicuro se si dovessero verificare le condizioni». Viste le rassicurazioni di Salvini, che come abbiamo visto ha negato con fermezza che l'imbarcazione possa portare migranti in Italia, è lecito a questo punto attendersi un nuovo caso Aquarius all'orizzonte. O forse, dato che la nave stavolta è italiana, qualcosa di più simile al caso Diciotti. La voglia di forzare la mano da parte delle Ong c'è tutta, stavolta con il coinvolgimento diretto di una sinistra istituzionale in piena fregola «resistenziale»: l'arresto del sindaco di Riace per quello che, in modo a dir poco surreale, è stato letto come un «reato di umanità», ha generato una paranoia ribellistica dai toni talora eversivi. C'è da combattere contro un regime, dicono. Ma è una curiosa resistenza, quella che si fa con l'appoggio della tv pubblica. Già perché la Rai sembra aver fatto da tempo una precisa scelta di campo. Abbiamo già visto il logo di viale Mazzini sulla manifestazione appena conclusasi a Lampedusa per ricordare il naufragio del 3 ottobre 2013 (cosa di per sé lodevole, se il tutto non si fosse risolto nella solita passerella per Ong). Ed è stata Rai cinema a produrre Iuventa, il documentario di Michele Cinque che racconta l'anno e mezzo di attività tra 2016 e 2017 della discussa nave al servizio della Ong tedesca Jugend Rettet, formata da studenti tedeschi di estrema sinistra noti per l'atteggiamento sfrontato e una certa tendenza a operare sul filo delle regole. Iuventa verrà proiettato anche a Sabir, il «festival diffuso delle culture mediterranee» che si terrà dall'11 al 14 ottobre a Palermo, organizzato da Arci e collegato a tutto il solito circuiti di enti sorosiani e attivismo progressista (Asgi, A buon diritto, Carta di Roma, per esempio). Nel programma, conferenze imperdibili come «Decriminalizzare la solidarietà», «Frontiere armate», «Buone prassi di accoglienza», ma anche «laboratori di cinema e videomaking rivolto ai rifugiati», spettacoli teatrali come «Tutti abbiamo sangue rosso», a cura della Caritas diocesana di Brescia, risultato di un laboratorio con ragazzi richiedenti asilo. E via di questo passo. Iuventa non sarà peraltro l'unico film proiettato. Tra gli altri, ci sarà anche Last man in Aleppo, il documentario danese-siriano del 2017 diretto da Firas Fayyad e dedicato all'epopea (si fa per dire) dei Caschi bianchi, la controversa organizzazione umanitaria siriana accusata da più parti di essere vicina ad Al Nusra, cioè, in buona sostanza, ad Al Qaeda. Una kermesse che sembra uscita dalla stagione estiva di qualche centro sociale, e che invece, gode dei patrocini di Rai, ma anche di Anci e Comune di Palermo. Tanto perché siamo in un orribile regime liberticida. Francesco Borgonovo e Adriano Scianca <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/foto-in-piscina-denunciato-don-biancalani-2610059591.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="lucano-provoca-io-rispetto-solo-la-costituzione" data-post-id="2610059591" data-published-at="1765385157" data-use-pagination="False"> Lucano provoca: «Io rispetto solo la Costituzione» Aveva detto «è tutto a posto» anche dopo l'interrogatorio in Procura un anno fa. Per la seconda volta Domenico Mimmo Lucano, sindaco di Riace sospeso dalla prefettura, re dell'accoglienza a tutti i costi e, stando alle accuse, combinatore di matrimoni farlocchi e fuorilegge tra giovani immigrate e vecchietti calabresi, dopo aver incontrato una toga mostra il petto: «C'è chi mi accusa di non aver rispettato le regole ma forse la Costituzione italiana la rispetto più io di molti che si nascondono dietro le leggi. La prima regola della Costituzione italiana che nasce dalla resistenza è il rispetto degli esseri umani. E non hanno colore della pelle o nazionalità». Sembra un manifesto politico dell'ultrasinistra. Ovviamente recitato a modo suo, con una cadenza mix tra Cetto La Qualunque e Franco Neri di Zelig. Alle 9 di ieri mattina, per il suo interrogatorio di garanzia, si è seduto davanti a Domenico Di Croce, il gip che l'ha privato della libertà e dal quale dipende la decisione sulla misura cautelare. La giornata è cominciata presto. Locri dista da Riace una quarantina di minuti. Uscendo dalla casa in cui il sindaco è costretto ai domiciliari si è fatto scappare qualche parola: «È tutto assurdo». In quella occasione, però, è bastata un'occhiataccia del suo avvocato per silenziarlo. La falla si è aperta appena uscito dal tribunale. Lucano infatti riparte con la stessa frase: «È tutto assurdo. Anche gli inquirenti hanno riconosciuto che mi contestano il reato di umanità». Peccato che il procuratore di Locri Luigi D'Alessio poco dopo abbia detto all'agenzia Reuters che Lucano «ha violato la legge con una allarmante naturalezza». E che avrebbe commesso, sempre secondo l'accusa, «una serie di illeciti per una visione assolutamente personalistica dell'accoglienza, fatta senza alcuna considerazione delle regole e in barba alle leggi». E allora Lucano si gioca la carta di Becky Moses, la ragazza nigeriana morta carbonizzata mesi fa nella tendopoli di San Ferdinando di Rosarno. «Chi ha pagato per questo?», chiede Lucano. «Io quello che ho fatto è evitare che ci fossero tante Becky. Salvare una sola persona dalla strada vale fare il sindaco». Pareva un'arringa difensiva. Poi è arrivata una seconda mazzata: il procuratore di Locri ha annunciato che ricorrerà ai giudici del Riesame per chiedere di valutare tutti i documenti dell'inchiesta che a suo parere il gip non ha valutato, riconoscendo per la misura cautelare solo le accuse di aver organizzato nozze di comodo e assegnato il servizio di raccolta di rifiuti aggirando le regole. Le prove sui matrimoni, d'altra parte, appaiono schiaccianti anche a Lucano. Tant'è che l'indagato, pur cercando di sminuire, lo ammette: «Il matrimonio che è stato celebrato è uno solo ed è vero». Le telefonate? Quelle invece sono state «interpretate male». E i fondi? Lucano sul punto non pontifica. Per il gip la gestione è stata disordinata. Roba da Corte dei conti. Ma alla Verità gli investigatori confermano: «Le iscrizioni restano quelle». Anche quella di associazione a delinquere stampata sulla copertina della richiesta d'arresto. Secondo il procuratore sono stati acquisiti elementi utili per dimostrare la distrazione di fondi che, spiega il magistrato, «sono stati giustificati con fatture per operazioni inesistenti». Ma questo non conta per i giudici popolari dell'ultrasinistra alla Roberto Saviano che hanno già assolto Lucano, senza leggere una sola pagina degli atti d'accusa. Ora spetta al gip però amministrare la legge e decidere se confermare la misura cautelare, modificarla o annullarla. Nel frattempo nel municipio di Riace, teatro dei reati secondo il pm, ha preso le redini il vicesindaco Giuseppe Gervasi per guidare il primo consiglio comunale senza Mimmo Lucano. Da qualche giorno ripete: «Ho pianto di rabbia, stavamo sognando perché Riace era, è e sarà un esempio meraviglioso. Un amministratore può commettere un errore, ma qui è stata messa in ginocchio la parte buona della Calabria». Sulle delibere per la raccolta dei rifiuti, denuncia da tempo l'opposizione, c'è anche la sua firma. Come quella di una buona fetta dell'amministrazione comunale. Fabio Amendolara
(Totaleu)
Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
Getty Images
Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
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