
«Silvio Berlusconi e i suoi ormai parlano in politichese, come la sinistra». Secondo il sociologo i guai del centrodestra si risolveranno solo con una nuova discesa in campo: «Magari di Urbano Cairo...».Un'esplosione cosmica: tra Italia ed Europa, magari con l'uscita dall'euro e con una botta di iperinflazione; ma forse una conflagrazione universale anche in quel che resta della politica italiana, a partire dal centrodestra. Gli scenari tratteggiati da Luca Ricolfi, docente di Analisi dei dati all'Università di Torino, nonché una delle migliori menti della sinistra riformista italiana e responsabile scientifico della Fondazione David Hume (www.fondazionehume.it), sono ancora più cupi dell'orizzonte che oggi si para dinnanzi a chi si sporga dal moncone superstite del viadotto Morandi. Un baratro. Non si salva nulla: né il governo, né i politici, di sinistra come di destra. Con qualche (sorprendente) eccezione. Professor Ricolfi, oggi quanto si sentirebbe di scommettere sulla tenuta del governo Lega-Movimento 5 stelle?«Non farei alcuna scommessa. È come se lei lanciasse in aria una moneta, e poi mi chiedesse se prevedo che venga fuori testa o venga croce…».Le differenze tra i due partiti di governo si sono già evidenziate con forza sul tema pensioni: non crede esploderanno in settembre, con il Documento di economia e finanza?«Temo che in settembre a esplodere non siano le differenze tra la Lega e i 5 stelle, ma tra il governo italiano e la Commissione europea. E, ancora di più, tra le credenze economiche del governo gialloblù e le percezioni dei mercati finanziari».In quel caso, potrebbe tornare in auge l'alleanza Lega-Forza Italia-Fratelli d'Italia?«No. Penso anzi che l'eventualità più probabile sia un'annessione di Fratelli d'Italia al campo della destra antieuropea, con il conseguente isolamento di Forza Italia».In effetti, oggi, i rapporti Lega-Forza Italia sono ai minimi storici. Gli azzurri iniziano a parlare esplicitamente di «tradimento». Prevede un'intensificazione delle ostilità?«Forza Italia è nell'angolo. Non ha il coraggio di allearsi con il Partito democratico, perché sarebbe un suicidio. Non ha la forza di vincolare Matteo Salvini al programma del centrodestra, perché Salvini guida il primo partito italiano ed è affetto da una sensazione, non del tutto ingiustificata, di onnipotenza personale». Quindi?«Quindi credo che alla fine Forza Italia non farà nulla, perché non ha alcuna freccia al suo arco». Però un mese fa Forza Italia ha bloccato la nomina del presidente della Rai. Alla ripresa, in settembre, non potrebbe essere quello il casus belli finale? «Sarebbe bellissimo se i contrasti riguardassero cosucce come la Rai, o gli interessi economici di Silvio Berlusconi. Ma la realtà è che ci sono cose ben più importanti a dividere Lega e Forza Italia: prima fra tutte la politica verso Bruxelles».Una rottura tra Lega e Forza Italia potrebbe far cadere anche qualche giunta regionale dove oggi sono alleate? «Non penso. Non credo che Forza Italia abbia voglia di perdere le ultime roccaforti di potere che le restano».Fin qui l'eventualità è stata smentita, formalmente: ma se la Lega in autunno corresse da sola alle elezioni in Abruzzo prevarrebbe anche lì su Forza Italia, come negli ultimi voti locali?«Sì, penso che a destra come a sinistra la gente si sia stufata di votare partiti troppo piccoli, e quindi impotenti».Dov'è nato il sorpasso della Lega? Il suo cavallo vincente è stata la dura campagna sull'immigrazione?«In parte sì, ma in parte no. Il vero cavallo vincente di Salvini è stato l'approccio concreto ai problemi, l'uso di messaggi semplici e comprensibili, oltreché ripetuti senza limiti. Quando parla Salvini, la gente ha la sensazione, spesso fallace, ma tant'è, che “lui" i problemi sappia risolverli e che abbia ogni intenzione di prenderli per le corna». E Berlusconi dove sbaglia, secondo lei?«Berlusconi e i suoi, in particolare Antonio Tajani, usano un linguaggio esangue ed esausto, assai simile al politichese della sinistra».Quindi anche la scelta di Tajani, come possibile successore di Berlusconi, non le è piaciuta?«Scelta pessima, direi. Tajani, anche fisicamente, è il perfetto emblema della burocrazia europea».E quante speranze ha Berlusconi di recuperare consensi alle europee del 2019, se si candiderà?«Pochissime, a mio parere». E perché? Ha sempre dato prova di recuperi che tutti ritenevano impensabili e impossibili.«Una delle ragioni dell'estinzione di Forza Italia è proprio la cecità di Berlusconi, che non è stato capace di cogliere il passaggio dalla stagione in cui era un valore aggiunto a quella in cui è un valore sottratto».Insomma, lei crede che la crisi di Forza Italia sia irreparabile?«È da qualche anno che sostengo che, per salvarsi, Forza Italia dovrebbe come minimo, ossia come condizione preliminare, cambiare nome e gruppo dirigente. E poi ci vorrebbe qualche idea nuova e comprensibile: non è solo la sinistra che è a corto di idee, e senza idee non si può resuscitare un partito».Anche il Pd è in grave crisi: dovrebbe sciogliersi, per dare vita a un nuovo partito di centrosinistra? «I casi di autoscioglimento di un partito sono molto rari, finché il partito riesce a raccogliere voti e a gestire il potere che - non dobbiamo mai dimenticarlo - non è solo nazionale ma anche locale e territoriale. Tuttavia una “Rifondazione democratica" non si può escludere, come estremo tentativo di salvare la pelle».In quel caso, chi potrebbe esserne il leader?«Apparentemente il federatore naturale di tutto ciò che sa ancora di sinistra è Nicola Zingaretti. Ma un Pd ricostruito a partire da una figura come la sua sarebbe una sorta di “Ulivo senza Prodi" o, se si preferisce, una ri-bersanizzazione del medesimo partito che Matteo Renzi ha prima rigenerato e poi distrutto. Un po' troppo, per un organismo già provato da anni di cure sbagliate».Vede altre soluzioni?«No, non ne vedo molte, più che altro per ragioni culturali. Se si compara il livello dei dirigenti del passato con quello dei quarantenni e cinquantenni attuali, non si può che essere colti da sconforto. Per costruire un “partito non populista" ci vogliono idee, visione, conoscenze approfondite, oltreché un certo carisma. Io non vedo alcun leader dotato di carisma; quanto alle idee, ne trovo tracce in pochissimi dirigenti del Pd attuale».In chi, per esempio?«A sinistra in Gianni Cuperlo, forse l'unico vero intellettuale del Pd. A destra (della sinistra) in Marco Minniti e Carlo Calenda, due persone che, a differenza della maggior parte dei loro compagni di partito, sanno sempre di che cosa stanno parlando». Alla fine si realizzerà il nuovo «bipartitismo imperfetto» italiano, con la Lega che ingloberà il resto del centrodestra e il M5s che assorbirà quanto resta del Pd e della sinistra?«È possibile, ma non è l'unico scenario verosimile. Io ne immagino almeno altri due». Cioè?«Il primo scenario è quello della discesa in campo di un imprenditore della politica».Ah, sì? E a chi pensa? «Chissà: un Urbano Cairo, forse? Uno che, come Berlusconi nel 1994 e come Emmanuel Macron nel 2016, fondi un nuovo partito che vada a occupare il centro del sistema politico. Questa eventualità attiverebbe una dinamica tra le “forze della chiusura", tendenzialmente populiste, nazionaliste, stataliste, e le “forze dell'apertura", tendenzialmente moderate, europeiste, liberali. In un simile scenario lo scontro politico vedrebbe da una parte Lega e M5s, dall'altra il neopartito di centro supportato da quel che resterà di Pd e Forza Italia».E il secondo scenario?«Lo considero improbabile, ma non impossibile: che l'imprudenza di questo governo in materia di conti pubblici precipiti l'Italia in una crisi tipo quella del 2011, con conseguenze economico-sociali devastanti». Tipo una nuova recessione? «Sì, se va bene». E se va male?«Se va male, anche l'uscita dall'euro e un'iperinflazione». E che cosa potrebbe accadere alla politica, in quel caso?«In questo caso non si può escludere che Lega e 5 stelle subiscano un grave ridimensionamento elettorale, e che il sistema torni a un'alternanza più o meno tradizionale fra destra e sinistra. Con un'importante differenza rispetto al passato, però».Tremo, nel chiederle quale sia questa differenza...«E fa bene a tremare. Perché in questa nuova situazione, destra e sinistra non si confronterebbero sulle ricette per creare più prosperità, ma su quelle per ritrovarne un po'. Sulle macerie di un Paese andato in default».
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