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2022-06-16
Follia mascherina: in aereo si può levare ma sui mezzi rimane
Roberto Speranza (Imagoeconomica)
Pausa di riflessione, si fa per dire, nella farsa mascherine, durata poche ore. Il consiglio dei ministri è arrivato a metà giugno senza avere idee chiare se mantenere o meno l’obbligo in aereo. Governo balneare, nella forma e nella sostanza, capace di incartarsi nelle ultime restrizioni, ha preso tempo prima di dire stop sugli aerei. Ma intanto bisogna tenersela fino a fine settembre su treni, autobus, tram, un continuo togliersi e mettere il bavaglio.
La schizofrenia delle nuove regole risulta ancora più evidente se si pensa che i passeggeri sono obbligati a coprire il volto sui mezzi utilizzati per raggiungere l’aeroporto, comprese le navette per arrivare al proprio aereo dai gate, per poi toglierla, magari per ore, durante il volo.
Il tutto quando l’Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza aerea, insieme al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, avevano già deciso di revocarne l’utilizzo sugli aerei che volano all’interno dell’Ue.
Da noi, da oggi, le mascherine saranno solo raccomandate nei cinema, teatri e palazzetti dello sport, a messa e agli esami di maturità mentre l’obbligo, oltre che in ospedali e Rsa, è stato prorogato al 30 settembre su treni, navi, autobus e metropolitane. «È un settore già martoriato dal Covid-19 e che sta già pagando tantissimo il prezzo del caro energia e caro carburante», ha protestato Flavio Cattaneo, vicepresidente esecutivo di Italo, società privata dell’alta velocità e azionista fondatore di Itabus, compagnia di trasporto su gomma. «Ancora una volta per l’ottusa burocrazia del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di Sanità che gestisce questi processi, deve pagare un conto salato chi accusa minori entrate derivanti dall’utilizzo delle mascherine Ffp2, che vede l’Italia l’unico Paese al mondo che continua ad averle obbligatorie». Anche l’ad Gianbattista La Rocca ha parlato di «una tegola che ancora una volta si abbatte sul nostro settore, nel momento in cui stiamo per rialzare la testa».
Cattaneo ne ha avute pure per il consigliere di Speranza. «Lasciano sconcertati le indicazioni del professor Ricciardi che dall’alto della sua posizione, evidentemente non toccata da guerre e pandemie, continua a sostenere le ragioni dei pasdaran della mascherina», ha tuonato. Walter Ricciardi era infatti tornato a ribadire il mantra del bavaglio sempre. «La nostra raccomandazione», aveva detto, è di mantenere la mascherina nei luoghi chiusi e affollati e di tenerla obbligatoria nei trasporti locali, sul treno e in aereo».
Sul fronte mascheramento a oltranza c’è anche Sandra Zampa, responsabile salute nella segreteria del Pd. Ha sostenuto che «è davvero lunare, e strumentale, il tentativo di alcune forze di destra, di piantare bandierine criticando l’utilizzo delle mascherine. Il ministro Speranza ha fatto benissimo, a mio parere, a mantenere l’obbligo per coloro che utilizzano il trasporto pubblico. I dati ci dicono che dobbiamo essere molto attenti».
Per fortuna proprio ieri è uscita una stima di Sima, la società italiana di medicina ambientale, secondo la quale sono oltre 46 miliardi le mascherine utilizzate in Italia da inizio pandemia ad oggi, e ben 129 miliardi a livello globale quelle consumate ogni mese, ovvero 3 milioni al minuto. Ai circa 2 miliardi di mascherine utilizzate in Italia dalla popolazione scolastica a partire dall’inizio dell’emergenza Covid-19 nel nostro Paese, si aggiungerebbero i 16 miliardi di dpi indossati dai lavoratori e una quota stimabile in 28 miliardi per l’utilizzo quotidiano nelle varie situazioni.
«Sul fronte dell’ambiente, le mascherine hanno avuto un impatto paragonabile a quello di uno tsunami», ha dichiarato il presidente Sima, Alessandro Miani. «L’Oms ha stimato in 3,4 miliardi le mascherine che finiscono ogni giorno nella spazzatura, assieme a 140 milioni di kit di test, che hanno il potenziale di generare 2.600 tonnellate di rifiuti non infettivi, principalmente plastica, e 731.000 litri di rifiuti chimici. Uno studio su Environmental Advances ha rivelato come buona parte delle mascherine finisca in acqua, quasi 5.500 tonnellate metriche di plastica ogni anno con una stima al ribasso». Le conseguenze sarebbero disastrose perché «una singola mascherina potrebbe rilasciare fino a 173.000 microfibre di plastica al giorno negli oceani».
Eppure a settembre forse ci ritroveremo di nuovo con le mascherine a scuola, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi sostiene che sta lavorando «per una presenza in sicurezza», che significa proprio bavaglio a oltranza. Adesso l’obbligo è scomparso per i maturandi e i fine corso, anche se «purtroppo per la scuola media la decisione non arriva in tempo perché gli esami sono già iniziati e in alcuni casi anche finiti», ha osservato Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale presidi, auspicando chiarezza: «È necessario modificare la legge in vigore che impone l’utilizzo delle mascherine in tutte le scuole».
I casi in lieve risalita riesumano i gufi ma a infettarsi è il pasdaran Speranza
Lo dicono per spingere la prossima campagna vaccinale? O per giustificare la pagliacciata del governo sulle mascherine? O per entrambi i motivi? Fatto sta che è ricominciata la litania: la pandemia non è finita, arriva «l’ondata estiva» - sembra il titolo di una hit di Er Piotta. In sintesi, ci vuole prudenza. Finora, la ritirata delle virostar era stata solo strategica; adesso è partito il contrattacco.
Si registra il grande ritorno di Walter Ricciardi: «Stiamo vedendo una proliferazione di varianti incredibile», sentenzia. Per cui, «bisogna adottare cinque pilastri: mascherine, ventilazione degli ambienti e filtraggio dell’aria, test e monitoraggio, distanziamento sociale e vaccinazioni». Se ci fosse la Cirinnà, dovrebbe chiosare: che vita di m… Almeno, non è sul tavolo la soluzione Shanghai.
Il consulente di Roberto Speranza fa eco a Fabrizio Pregliasco, per tradizione incline a planare su ogni brandello di potenziale allarme sanitario. L’igienista paventa, per colpa di Omicron 5, fino a 100.000 contagi al giorno, «ancora per tre-quattro settimane». «È una ipotesi che con questa contagiosità», conferma Ricciardi, «potrebbe anche avverarsi». Rispuntano la lotteria del Covid, i vaticini spacciati per statistica e usati come grimaldelli per le restrizioni. Il senso del discorso, infatti, è questo qua: «Dobbiamo stare attenti», bercia, all’unisono con la dem Sandra Zampa, il superconsigliere del ministro. «Ecco perché servono ancora le mascherine». Che, appunto, restano obbligatorie sui trasporti, però non su tutti: sul treno sì, in aereo no. Nelle Rsa, per forza; al cinema, al teatro, nei negozi e agli esami di Stato, evidentemente se ne può fare a meno.
Beninteso: la curva epidemiologica è davvero in lieve peggioramento. È plausibile che, per quanto riguarda i contagi, stiamo già raggiungendo un piccolo plateau. I ricoveri, ieri, sono aumentati di poco; considerato che l’effetto sugli ospedali di un incremento dei casi si apprezza un po’ in ritardo, sarebbe logico attendersi che la tendenza prosegua la prossima settimana. La situazione delle terapie intensive, fortunatamente, rimane stabile. E ciò, forse, è spia di un fattore distorsivo: una parte delle infezioni viene registrata in pazienti testati direttamente in corsia, dove comunque erano finiti per motivi che non hanno a che vedere con il Covid.
Comunque stiano le cose, i dati depongono a sfavore della pervicacia con cui i sacerdoti del culto pandemico promuovono bavagli e punture. Già qualche esperto, come Andrea Crisanti e Maria Rita Gismondo, aveva provato a spiegare che, quando il tasso di trasmissibilità di un ceppo supera una certa soglia, la stoffa sul viso non aiuta granché ad arginare il contagio. Le ricerche comparate sull’utilizzo delle mascherine a scuola, poi, mostrano che ovunque siano state rese obbligatorie, non c’è stato alcun impatto apprezzabile sulla circolazione del Sars-Cov-2. Quanto ai vaccini, sono gli stessi report dell’Iss a provare che, specialmente tra gli under 40, essi sono pressoché incapaci di schermare dall’infezione: l’incidenza dei casi è quasi identica in vaccinati recenti, vaccinati con booster e non vaccinati, mentre, sorprendentemente, è più bassa nei vaccinati con due dosi da oltre quattro mesi. Tutta gente che, con ogni probabilità, dopo il primo ciclo d’inoculazioni, è guarita da Omicron. Un altro punto a favore della strategia inglese.
Il buon senso suggerirebbe di lasciarsi provocare dagli esempi viventi del flop di una filosofia aggreppiata al mantra del Covid (quasi) zero: il premier canadese, Justin Trudeau, è positivo per la seconda volta, dopo aver già contratto il coronavirus e dopo tre vaccini; contagiato, nonostante il poker di dosi, pure Anthony Fauci, oltranzista dei divieti e habitué del salottino di Fabio Fazio. Ha «sintomi lievi». Persino Roberto Speranza, il pasdaran del pandemicamente corretto, è infetto, con buona pace di punturine e mascherine.
Barlumi di lucidità, invero, giungono da Gianni Rezza, direttore della Prevenzione al dicastero della Salute. Il virus, osserva, «sta diventando endemico e ci aspettiamo nuove frequenti ondate, ma di limitata intensità». Il problema è che, di tali scampoli di realtà, ci si ostina a fare un uso deviante. Sempre Rezza aggiunge, difatti, che, proprio per questa ragione, «ci saranno delle limitazioni e sarà necessario un uso selettivo delle mascherine». Ricapitoliamo: abbiamo trascorso mesi a incrociare le dita, augurandoci che i vaccini anti Covid fossero sterilizzanti. Quando abbiamo scoperto che non lo erano, ci siamo consolati così: almeno, evitano le forme gravi della malattia. Finirà che il Sars-Cov-2 proseguirà a circolare, ma senza mietere vittime, come nella primavera del 2020. E oggi che l’obiettivo è stato raggiunto? Cosa succede? Arriva il contrordine: siccome il virus è endemico, allora manteniamo le restrizioni.
Se l’epidemiologia non è un’opinione, stiamo fingendo di poter fermare il vento con le mani, al solo scopo di salvare dal crac il carrozzone politico e burocratico costruito sulla pandemia. Ormai è chiaro come il sole: è la ditta Speranza il vero soggetto fragile.
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Il bavaglio può essere tolto in volo, però va ancora indossato su treni, bus e navi. La Cei ripete: «Nessun obbligo in chiesa».Perfino il ministro iper rigorista è positivo: l’ennesima prova che la strategia Covid (quasi) zero è un flop. Rispuntano i profeti di sventura pandemica. Walter Ricciardi e Fabrizio Pregliasco: «Rischiamo 100.000 contagi al giorno».Lo speciale contiene due articoliPausa di riflessione, si fa per dire, nella farsa mascherine, durata poche ore. Il consiglio dei ministri è arrivato a metà giugno senza avere idee chiare se mantenere o meno l’obbligo in aereo. Governo balneare, nella forma e nella sostanza, capace di incartarsi nelle ultime restrizioni, ha preso tempo prima di dire stop sugli aerei. Ma intanto bisogna tenersela fino a fine settembre su treni, autobus, tram, un continuo togliersi e mettere il bavaglio. La schizofrenia delle nuove regole risulta ancora più evidente se si pensa che i passeggeri sono obbligati a coprire il volto sui mezzi utilizzati per raggiungere l’aeroporto, comprese le navette per arrivare al proprio aereo dai gate, per poi toglierla, magari per ore, durante il volo. Il tutto quando l’Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza aerea, insieme al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, avevano già deciso di revocarne l’utilizzo sugli aerei che volano all’interno dell’Ue. Da noi, da oggi, le mascherine saranno solo raccomandate nei cinema, teatri e palazzetti dello sport, a messa e agli esami di maturità mentre l’obbligo, oltre che in ospedali e Rsa, è stato prorogato al 30 settembre su treni, navi, autobus e metropolitane. «È un settore già martoriato dal Covid-19 e che sta già pagando tantissimo il prezzo del caro energia e caro carburante», ha protestato Flavio Cattaneo, vicepresidente esecutivo di Italo, società privata dell’alta velocità e azionista fondatore di Itabus, compagnia di trasporto su gomma. «Ancora una volta per l’ottusa burocrazia del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di Sanità che gestisce questi processi, deve pagare un conto salato chi accusa minori entrate derivanti dall’utilizzo delle mascherine Ffp2, che vede l’Italia l’unico Paese al mondo che continua ad averle obbligatorie». Anche l’ad Gianbattista La Rocca ha parlato di «una tegola che ancora una volta si abbatte sul nostro settore, nel momento in cui stiamo per rialzare la testa».Cattaneo ne ha avute pure per il consigliere di Speranza. «Lasciano sconcertati le indicazioni del professor Ricciardi che dall’alto della sua posizione, evidentemente non toccata da guerre e pandemie, continua a sostenere le ragioni dei pasdaran della mascherina», ha tuonato. Walter Ricciardi era infatti tornato a ribadire il mantra del bavaglio sempre. «La nostra raccomandazione», aveva detto, è di mantenere la mascherina nei luoghi chiusi e affollati e di tenerla obbligatoria nei trasporti locali, sul treno e in aereo». Sul fronte mascheramento a oltranza c’è anche Sandra Zampa, responsabile salute nella segreteria del Pd. Ha sostenuto che «è davvero lunare, e strumentale, il tentativo di alcune forze di destra, di piantare bandierine criticando l’utilizzo delle mascherine. Il ministro Speranza ha fatto benissimo, a mio parere, a mantenere l’obbligo per coloro che utilizzano il trasporto pubblico. I dati ci dicono che dobbiamo essere molto attenti». Per fortuna proprio ieri è uscita una stima di Sima, la società italiana di medicina ambientale, secondo la quale sono oltre 46 miliardi le mascherine utilizzate in Italia da inizio pandemia ad oggi, e ben 129 miliardi a livello globale quelle consumate ogni mese, ovvero 3 milioni al minuto. Ai circa 2 miliardi di mascherine utilizzate in Italia dalla popolazione scolastica a partire dall’inizio dell’emergenza Covid-19 nel nostro Paese, si aggiungerebbero i 16 miliardi di dpi indossati dai lavoratori e una quota stimabile in 28 miliardi per l’utilizzo quotidiano nelle varie situazioni. «Sul fronte dell’ambiente, le mascherine hanno avuto un impatto paragonabile a quello di uno tsunami», ha dichiarato il presidente Sima, Alessandro Miani. «L’Oms ha stimato in 3,4 miliardi le mascherine che finiscono ogni giorno nella spazzatura, assieme a 140 milioni di kit di test, che hanno il potenziale di generare 2.600 tonnellate di rifiuti non infettivi, principalmente plastica, e 731.000 litri di rifiuti chimici. Uno studio su Environmental Advances ha rivelato come buona parte delle mascherine finisca in acqua, quasi 5.500 tonnellate metriche di plastica ogni anno con una stima al ribasso». Le conseguenze sarebbero disastrose perché «una singola mascherina potrebbe rilasciare fino a 173.000 microfibre di plastica al giorno negli oceani». Eppure a settembre forse ci ritroveremo di nuovo con le mascherine a scuola, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi sostiene che sta lavorando «per una presenza in sicurezza», che significa proprio bavaglio a oltranza. Adesso l’obbligo è scomparso per i maturandi e i fine corso, anche se «purtroppo per la scuola media la decisione non arriva in tempo perché gli esami sono già iniziati e in alcuni casi anche finiti», ha osservato Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale presidi, auspicando chiarezza: «È necessario modificare la legge in vigore che impone l’utilizzo delle mascherine in tutte le scuole». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/follia-mascherina-in-aereo-si-puo-levare-ma-sui-mezzi-rimane-2657516187.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-casi-in-lieve-risalita-riesumano-i-gufi-ma-a-infettarsi-e-il-pasdaran-speranza" data-post-id="2657516187" data-published-at="1655332675" data-use-pagination="False"> I casi in lieve risalita riesumano i gufi ma a infettarsi è il pasdaran Speranza Lo dicono per spingere la prossima campagna vaccinale? O per giustificare la pagliacciata del governo sulle mascherine? O per entrambi i motivi? Fatto sta che è ricominciata la litania: la pandemia non è finita, arriva «l’ondata estiva» - sembra il titolo di una hit di Er Piotta. In sintesi, ci vuole prudenza. Finora, la ritirata delle virostar era stata solo strategica; adesso è partito il contrattacco. Si registra il grande ritorno di Walter Ricciardi: «Stiamo vedendo una proliferazione di varianti incredibile», sentenzia. Per cui, «bisogna adottare cinque pilastri: mascherine, ventilazione degli ambienti e filtraggio dell’aria, test e monitoraggio, distanziamento sociale e vaccinazioni». Se ci fosse la Cirinnà, dovrebbe chiosare: che vita di m… Almeno, non è sul tavolo la soluzione Shanghai. Il consulente di Roberto Speranza fa eco a Fabrizio Pregliasco, per tradizione incline a planare su ogni brandello di potenziale allarme sanitario. L’igienista paventa, per colpa di Omicron 5, fino a 100.000 contagi al giorno, «ancora per tre-quattro settimane». «È una ipotesi che con questa contagiosità», conferma Ricciardi, «potrebbe anche avverarsi». Rispuntano la lotteria del Covid, i vaticini spacciati per statistica e usati come grimaldelli per le restrizioni. Il senso del discorso, infatti, è questo qua: «Dobbiamo stare attenti», bercia, all’unisono con la dem Sandra Zampa, il superconsigliere del ministro. «Ecco perché servono ancora le mascherine». Che, appunto, restano obbligatorie sui trasporti, però non su tutti: sul treno sì, in aereo no. Nelle Rsa, per forza; al cinema, al teatro, nei negozi e agli esami di Stato, evidentemente se ne può fare a meno. Beninteso: la curva epidemiologica è davvero in lieve peggioramento. È plausibile che, per quanto riguarda i contagi, stiamo già raggiungendo un piccolo plateau. I ricoveri, ieri, sono aumentati di poco; considerato che l’effetto sugli ospedali di un incremento dei casi si apprezza un po’ in ritardo, sarebbe logico attendersi che la tendenza prosegua la prossima settimana. La situazione delle terapie intensive, fortunatamente, rimane stabile. E ciò, forse, è spia di un fattore distorsivo: una parte delle infezioni viene registrata in pazienti testati direttamente in corsia, dove comunque erano finiti per motivi che non hanno a che vedere con il Covid. Comunque stiano le cose, i dati depongono a sfavore della pervicacia con cui i sacerdoti del culto pandemico promuovono bavagli e punture. Già qualche esperto, come Andrea Crisanti e Maria Rita Gismondo, aveva provato a spiegare che, quando il tasso di trasmissibilità di un ceppo supera una certa soglia, la stoffa sul viso non aiuta granché ad arginare il contagio. Le ricerche comparate sull’utilizzo delle mascherine a scuola, poi, mostrano che ovunque siano state rese obbligatorie, non c’è stato alcun impatto apprezzabile sulla circolazione del Sars-Cov-2. Quanto ai vaccini, sono gli stessi report dell’Iss a provare che, specialmente tra gli under 40, essi sono pressoché incapaci di schermare dall’infezione: l’incidenza dei casi è quasi identica in vaccinati recenti, vaccinati con booster e non vaccinati, mentre, sorprendentemente, è più bassa nei vaccinati con due dosi da oltre quattro mesi. Tutta gente che, con ogni probabilità, dopo il primo ciclo d’inoculazioni, è guarita da Omicron. Un altro punto a favore della strategia inglese. Il buon senso suggerirebbe di lasciarsi provocare dagli esempi viventi del flop di una filosofia aggreppiata al mantra del Covid (quasi) zero: il premier canadese, Justin Trudeau, è positivo per la seconda volta, dopo aver già contratto il coronavirus e dopo tre vaccini; contagiato, nonostante il poker di dosi, pure Anthony Fauci, oltranzista dei divieti e habitué del salottino di Fabio Fazio. Ha «sintomi lievi». Persino Roberto Speranza, il pasdaran del pandemicamente corretto, è infetto, con buona pace di punturine e mascherine. Barlumi di lucidità, invero, giungono da Gianni Rezza, direttore della Prevenzione al dicastero della Salute. Il virus, osserva, «sta diventando endemico e ci aspettiamo nuove frequenti ondate, ma di limitata intensità». Il problema è che, di tali scampoli di realtà, ci si ostina a fare un uso deviante. Sempre Rezza aggiunge, difatti, che, proprio per questa ragione, «ci saranno delle limitazioni e sarà necessario un uso selettivo delle mascherine». Ricapitoliamo: abbiamo trascorso mesi a incrociare le dita, augurandoci che i vaccini anti Covid fossero sterilizzanti. Quando abbiamo scoperto che non lo erano, ci siamo consolati così: almeno, evitano le forme gravi della malattia. Finirà che il Sars-Cov-2 proseguirà a circolare, ma senza mietere vittime, come nella primavera del 2020. E oggi che l’obiettivo è stato raggiunto? Cosa succede? Arriva il contrordine: siccome il virus è endemico, allora manteniamo le restrizioni. Se l’epidemiologia non è un’opinione, stiamo fingendo di poter fermare il vento con le mani, al solo scopo di salvare dal crac il carrozzone politico e burocratico costruito sulla pandemia. Ormai è chiaro come il sole: è la ditta Speranza il vero soggetto fragile.
Vediamo i dettagli: per quel che riguarda i rimpatri, la modifica del regolamento sul concetto di «Paese terzo sicuro» consentirà agli Stati europei di respingere una richiesta di asilo senza entrare nel merito della singola pratica, ma dichiarando la domanda stessa come «irricevibile» già al momento della presentazione se il richiedente avrebbe potuto ottenere asilo in un altro Paese considerato sicuro. Gli Stati potranno applicare il concetto di Paese terzo sicuro sulla base di tre elementi: l’esistenza di un legame tra il richiedente asilo e il Paese terzo; se il richiedente ha transitato attraverso il Paese terzo prima di raggiungere l’Ue; se esiste un accordo con un Paese terzo sicuro che garantisce che la domanda di asilo sarà esaminata. Il Consiglio ha finalmente messo nero su bianco la lista dei Paesi di origine da considerare sicuri: oltre a quelli candidati a far parte dell’Unione, troviamo anche Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia. Ricorderete tutti che alcuni magistrati italiani hanno bloccato il rimpatrio di immigrati provenienti da Egitto e Bangladesh, perché considerati non sicuri: ora la nuova lista dovrebbe mettere fine a ogni dubbio. «Abbiamo un afflusso molto elevato di migranti irregolari», ha spiegato il ministro per l’Immigrazione della Danimarca, Rasmus Stoklund, il cui Paese detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, «e i paesi europei sono sotto pressione. Migliaia di persone annegano nel Mar Mediterraneo o subiscono abusi lungo le rotte migratorie, mentre i trafficanti di esseri umani guadagnano fortune. Ciò dimostra che l’attuale sistema crea strutture di incentivi malsane e un forte fattore di attrazione, difficili da eliminare. La Danimarca e la maggior parte degli Stati membri dell’Ue si sono battuti per l’esame delle domande di asilo in paesi terzi sicuri, al fine di eliminare gli incentivi a intraprendere viaggi pericolosi verso l’Ue».
In sostanza, gli Stati europei potranno realizzare centri per l’esame delle domande di asilo nei Paesi di partenza o di transito dei migranti, bloccando chi non ha i requisiti ancora prima che inizi il viaggio. «Sugli hub per i rimpatri», ha sottolineato Magnus Brunner, commissario Ue per gli Affari interni e la Migrazione, «si tratta di negoziati tra gli Stati membri e poi con i Paesi terzi. Sarebbe positivo, naturalmente, se più parti unissero le forze. Penso ai Paesi Bassi, che stanno discutendo con l’Uganda. La Germania ha già aderito ai colloqui. Così come l’Italia e l’Albania».
A margine dell’intesa, tuttavia, arriva anche la notizia meno piacevole di un accordo con Italia e Grecia che permetterà a Berlino di riconsegnare tutti i migranti che sono arrivati nei due Paesi, sono stati lì registrati e poi hanno scelto di trasferirsi in Germania. Lo ha riferito ieri il quotidiano tedesco Bild spiegando che le norme dovrebbero essere operative a partire da giugno 2026.
«Ottimo lavoro! Le misure di solidarietà stanno dando il via all’attuazione del Patto su migrazione e asilo. E tutte adottate in tempi record. Il Patto, insieme alle proposte sul rimpatrio e sui Paesi sicuri, rivede la nostra politica migratoria. È molto di più: solidarietà. Sicurezza. Responsabilità. Ed efficienza», ha scritto e su X la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Sempre Brunner ha inoltre commentato: «Direi che oggi, con queste riforme, stiamo mettendo in ordine la casa europea e queste riforme che abbiamo concordato oggi sono la base per avere una politica migratoria in atto nell’interesse degli europei. Questo è importante, garantire che abbiamo il controllo su chi può entrare nell’Ue, chi può rimanere e chi deve lasciare di nuovo l’Unione Europea».
Inevitabilmente soddisfatto il ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi: «La svolta che il governo italiano ha chiesto in materia di migrazione c’è stata, finalmente abbiamo ottenuto una lista europea di Paesi di origine sicuri, riformato completamente il concetto di Paese terzo sicuro e ci avviamo a realizzare un sistema europeo per i rimpatri realmente efficace. In un momento decisivo per le politiche europee, ha prevalso l’approccio italiano. Gli Stati membri potranno finalmente applicare le procedure accelerate di frontiera (così come previsto dal protocollo Italia-Albania) e a questo si aggiunge l’importante novità che i ricorsi giudiziari non avranno più effetto sospensivo automatico della decisione di rimpatrio. Inoltre», aggiunge, «la definizione di una lista europea dei Paesi terzi sicuri, dove compaiono oltre ai Paesi candidati alla adesione anche Paesi quali Egitto, Tunisia e Bangladesh è in linea con i provvedimenti già adottati dall’Italia». «Accogliamo con grande soddisfazione», commenta Carlo Fidanza, capodelegazione di Fdi-Ecr al Parlamento europeo, «l’accordo. È un risultato che conferma quanto l’Italia guidata abbia fornito una linea chiara e coerente all’Europa sull’immigrazione».
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Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
«Il discorso di Vance a Monaco e i numerosi tweet del presidente Trump sono diventati ufficialmente dottrina statunitense. E come tali, dobbiamo riconoscerlo e agire di conseguenza», riflette il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, nel suo intervento all’Institute Jacques Delors. «Cosa significa? Abbiamo bisogno di qualcosa di più di una semplice energia rinnovata. Dobbiamo lavorare insieme per costruire un’Europa che comprenda che i rapporti tra gli Alleati e le alleanze del secondo dopoguerra sono cambiati. Sappiamo già che Europa e Stati Uniti non condividono la stessa visione dell’ordine internazionale».
Costa, in buona sostanza, accusa Washington di non avere rispetto: «Gli alleati non minacciano l’interferenza nella vita politica. Nella vita politica interna di questi alleati, ci si rispetta, si rispetta la sovranità gli uni degli altri. Sicuramente molti europei non condividono la stessa visione degli americani su diversi temi ed è naturale che loro non condividano la nostra; quello che non possiamo accettare è questa la minaccia di interferenza nella vita politica dell’Europa». Quindi chiosa: «Gli Stati Uniti non possono sostituirsi ai cittadini europei per scegliere quali siano i partiti buoni e quelli cattivi. Gli Stati Uniti non possono sostituirsi all’Europa sulla visione che abbiamo della libertà di espressione, e su questo bisogna essere chiari», ha aggiunto. «La nostra storia ci ha insegnato che non esiste libertà di espressione senza libertà di informazione. E la libertà di informazione esiste solo quanto più c’è rispetto per il pluralismo. E così non esiste mai libertà di informazione se c’è il monopolio di una sola piattaforma. E non ci sarà libertà di espressione se la libertà di informazione dei cittadini viene sacrificata per difendere gli interessi degli oligarchi tecnologici degli Stati Uniti». Il riferimento è diretto a Elon Musk, che nelle ore precedenti aveva paragonato l’Unione europea al Terzo Reich su X.
Insomma, Costa non l’ha presa bene, ma non è il solo. Anche buona parte dei dem italiani sono sulla stessa lunghezza d’onda. Filippo Sensi , senatore del Pd, ha persino invocato una manifestazione su modello di quella che fu di Michele Serra. «Sarebbe ora, stavolta in Campidoglio per raggiungere il Colosseo illuminato dalla bandiera dell’Unione. Per dire dove siamo, chi siamo, per cosa vale la pena di combattere. Chi ci sta?». Anche la segretaria del Pd Elly Schlein coglie l’occasione. Più per attaccare il governo che per sventolare europeismo. «Questa convergenza nell’attacco all’Ue dimostra quanto sia reale il rischio che denunciamo da mesi. O l’Europa fa un salto in avanti di integrazione politica oppure rischia di essere schiacciata e messa al margine dalle grandi potenze che la circondano e che trovano un obiettivo comune nell’indebolirla. L’Europa sarà federale o non sarà» chiarisce convinta. Poi l’affondo al governo: «Non può far finta di nulla ammiccando in modo subalterno agli attacchi di Trump. La strategia di Putin e anche di Trump è evidente: dividerci, per renderci più vulnerabili singolarmente. E purtroppo trovano sponda in alcuni governi nazionalisti europei. Il governo Meloni non si presti a questo gioco e non si faccia utilizzare per andare contro anche agli stessi interessi dei cittadini italiani».
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Giulio Sapelli (Ansa)
Un cambiamento che resisterà anche una volta che Trump non ci sarà più?
«La classe dirigente americana è molto cambiata. Le trasformazioni sono iniziate negli anni Ottanta con la crescente influenza delle università francesi (con il pensiero decostruttivista di Derrida e Foucault) sull’élite universitaria nordamericana. Questo ha provocato una reazione culturale che ha colpito sia il fronte democratico che quello repubblicano. Tradizionalmente, si pensava che la scuola del multilateralismo fosse di matrice democratica. I “leostraussiani della costa atlantica”, seguaci di Leo Strauss, un importante pensatore critico di Machiavelli, sostenevano l’impetuosità e la necessità dell’intervento americano all’estero. Per motivi umanitari e per portare la libertà».
Era anche l’essenza della dottrina dei neocon…
«Esattamente. Il culmine l’abbiamo avuto con la scenetta di Powell».
La fialetta con le armi chimiche…
«Il tutto a giustificare l’intervento per motivi umanitari in Iraq nel 2003. Il “trumpismo” rappresenta la reazione di una parte dell’establishment americano a questo pensiero dominante. Nasce da un altro filone di pensiero che parte sempre da Leo Strauss, ma che impone agli Stati Uniti la ripresa di temi tradizionalisti originali, inclusa la dottrina Monroe, e dell’intervento per salvaguardare l’interesse americano».
Sempre all’interventismo americano si arriva.
«Come spiegato da Alfred Hirschman in International trade and national power, la politica commerciale è spesso un mezzo per espandere il potere. L’establishment è cambiato radicalmente perché si è creata una cultura di destra completamente nuova, diversa dalla destra classica. Non qualificabile affatto, come fa qualcuno senza basi, nella cultura fascista o nazionalista. È una destra di reazione alla cultura woke. Molti intellettuali americani rifiutano la negazione delle radici giudaico-cristiane dell’Occidente. E si oppongono all’immigrazione gestita dal mercato, vale a dire dai trafficanti di uomini. Nella storia, sempre, le immigrazioni sono state controllate dagli Stati».
C’è una nascita del cattolicesimo negli Stati Uniti secondo lei?
«Di sicuro vedo come il fenomeno woke sia figlio di un intreccio fra neoateismo, transumanesimo e antisemitismo. Questo connubio mi fa veramente paura, e le posizioni trumpiane non sono la cura per questa situazione. Il rischio è che la cura sia peggiore del male».
Venendo al documento National security strategy?
«Segna un ritorno all’importanza degli Stati nazionali. Un ritorno al trattato di Vestfalia, dove ogni Stato è libero di avere la sua religione. Tuttavia, Trump esprime queste idee in forma caricaturale, con cadute di stile come quando si schiera esplicitamente a favore dei partiti di destra. Una cosa che di solito si fa ma non si scrive. Almeno in un documento come quello. Ma è innegabile che vi siano implicazioni rilevanti sul futuro dell’Unione europea. Intanto non è riuscita a darsi una Costituzione. E non può esistere uno Stato contemporaneo senza una costituzione. Invece si è affidata a una “burocrazia celeste”. Personificata alla perfezione da una figura come Ursula von der Leyen, figlia del primo direttore generale dell’Ue».
Ma in Europa i partiti euroscettici non vogliono una Costituzione.
«Nessuna di queste forze politiche pone l’accento sulla necessità di avere una Costituzione europea. Come anche i mandarini. Ecco perché intravedo uno scenario molto negativo. Accanto al ritorno degli Stati nazionali vedo anche il fallimento storico della borghesia europea. Il dirigismo europeo in campo ambientale ha finito per privarla di ampi margini in termini di capacità di azione e proprietà privata. L’esempio dello stop al motore termico è emblematico. I borghesi proprietari delle industrie automobilistiche sono stati espropriati della facoltà di decidere come utilizzare la loro proprietà da un insieme di trattati e decisioni prese da un Parlamento eletto su base nazionale, il quale però si limita ad approvare regolamenti e direttive di una Commissione non eletta. Questo ha distrutto l’industria europea, rendendola sempre più dipendente dalla Cina e strutturalmente dipendente dal fallimento del modello tedesco, che si fondava sull’accordo bipartisan Merkel e Schröder con la Russia».
In questo momento l’Unione europea non ha una strategia di pacificazione del quadrante Ucraina, perché di fatto sembra quasi che stia per intestarsi una sconfitta, quella di Kiev, non supportando il tentativo.
«È paradossale come tutto sia capovolto. Ci si aspetterebbe che a invocare l’uso delle armi e il riarmo fossero le forze di destra tradizionale, invece sono le forze cosiddette democratiche filo Ue che rifiutano il piano americano. E che pensano si possa addirittura creare un esercito comune. Molti esponenti di quelle forze, in un dibattito pubblico al Senato anni fa, mi hanno vilipeso e bollato come “guerrafondaio” semplicemente perché a suo tempo mi ero opposto all’abolizione della leva. Che ora prima o poi ritornerà».
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Xi Jinping (Ansa)
I dati delle Dogane cinesi, pubblicati l’8 dicembre, spiegano tutto. A novembre l’export della Cina è balzato del 5,9%, l’import è salito dell’1,9%, e il surplus mensile ha raggiunto 111,68 miliardi di dollari. Nei primi undici mesi dell’anno il surplus ha superato i mille miliardi, con un aumento del 22,1% rispetto al 2024. Numeri che indicano una Cina ancora in grado di muoversi con agilità nelle rotte globali. Con gli Stati Uniti, però, la situazione è opposta. Le esportazioni verso il mercato americano sono crollate del 28,6% a 33,8 miliardi, lontane dai 47,3 miliardi dell’anno precedente. I dazi restano al 47,5% medio sui prodotti cinesi. Una barriera altissima. Inevitabile che le aziende cinesi devino le vendite verso altri mercati.
Ed è qui che scatta l’irritazione di Trump. L’Europa assorbe ciò che l’America respinge. Lo scorso mese il flusso verso l’Ue infatti è cresciuto del 14,8%, secondo quanto riporta la Reuters. Un trend già evidente nel 2024, quando le esportazioni cinesi verso l’Europa avevano superato i 516 miliardi di dollari. L’Europa diventa così la valvola di compensazione della Cina. Quella che permette a Pechino di mantenere attivo il motore dell’export anche mentre gli Stati Uniti montano barriere.
Per Trump questa dinamica non è un incidente collaterale. È un problema strategico. Lui vede la scena in termini di competizione commerciale globale. Se gli Stati Uniti chiudono il loro mercato a un concorrente, lo fanno per ridurre la capacità di quel concorrente di crescere. Ma se un altro grande mercato, come l’Europa, raccoglie tutto ciò che l’America respinge, l’effetto dei dazi si diluisce. Washington alza un muro. Bruxelles costruisce un ponte. Risultato: il traffico scorre, solo spostandosi di qualche centinaio di chilometri.
È qui che si accende il Trump imprenditore. Nella sua visione, l’Europa si comporta come un «free rider commerciale»: beneficia del confronto tra Stati Uniti e Cina senza pagarne il costo politico. Acquista prodotti più economici, vede scendere i prezzi al consumo, non alza barriere, non si espone. In pratica, mantiene la Cina in piedi mentre gli Stati Uniti cercano di metterla alle corde. Da questa lettura derivano parte dei suoi attacchi sempre più duri verso Bruxelles. Non è un giudizio culturale sul Vecchio Continente. È una reazione da uomo di affari che vede i propri strumenti perdere potenza. E che percepisce l’Europa come un competitor passivo-aggressivo: non attacca, ma sottrae efficacia. Non sceglie il blocco americano, ma ne usa i risultati per garantirsi prezzi migliori. Il ragionamento di Trump si muove lungo due assi. Primo: la Cina va fermata. Secondo: nessun grande mercato deve aiutare Pechino a compensare il colpo. L’Europa lo sta facendo, anche se non dichiaratamente. Per questo, agli occhi di Trump, diventa un bersaglio. Non principale. Ma necessario. La pressione verso Bruxelles è un modo per riprendere il controllo del campo di gioco. Per chiudere anche la seconda uscita di sicurezza cinese. Per impedire che l’export deviato continui a trovare strade aperte.
Intanto la Cina procede. Il Politburo punta su più domanda interna, politiche fiscali attive e una monetaria accomodante. Ma la vera forza resta l’export. Le merci scorrono, cambiano rotta, si adattano. La guerra dei dazi non ha fermato la Cina. Ha ridisegnato le mappe. E nella nuova mappa l’Europa è il porto dove attraccano sempre più container cinesi. Trump, nel suo linguaggio pragmatico, vede esattamente questo. E reagisce. Perché per lui la partita non è ideologica. È una questione di affari. E in questa partita, la Cina resta l’avversario più importante.
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