2025-09-20
Sfregio rosso al ricordo delle foibe. Targa della Cossetto a testa in giù
Norma Cossetto. Nel riquadro la targa in suo ricordo vandalizzata
Il gesto rivendicato da Genova antifascista: «Non dobbiamo abbassare il livore».Si dice che l’odio stia a destra, insieme alla violenza verbale e fisica. Eppure, certi gesti, certe parole, continuano ad arrivare da sinistra. Come è successo a Genova, dove ieri un collettivo antifascista ha staccato la targa che ricorda Norma Cossetto, la studentessa italiana uccisa in Istria, gettandola ancora viva in una foiba dopo averla seviziata e violentata per giorni, dai partigiani comunisti di Josip Broz Tito nella notte tra il 4 e il 5 ottobre del 1943. Dopo aver rimosso la targa, Genova antifascista (e viene da dare ragione a Donald Trump che vuole mettere questo movimento fuorilegge) l’ha posizionata a testa in giù, in modo tale da ricordare lo scempio di piazzale Loreto. Non una novità. Del resto, proprio a Genova, solamente qualche giorno fa, il consigliere del Partito democratico, che di democratico ha davvero poco, Claudio Chiarotti, ha detto, rispondendo ad Alessandra Bianchi di Fratelli d’Italia: «Non dire cazzate, vi abbiamo già appesi per i piedi una volta». Odio puro. Odio di chi si crede superiore e quindi è pronto a minacciare gli altri. Ma viene da sinistra e quindi va bene. Anzi: è giusto e doveroso. Perché il pericolo fascismo è sempre dietro l’angolo, soprattutto quando ci sono delle elezioni alle porte. Genova antifascista si spinge più in là e rivendica il diritto all’astio, al disprezzo. Nella sua rivendicazione scrive infatti, mischiando storia e cronaca e dimostrando di non conoscere né la prima né la seconda: «Come la Resistenza palestinese combatte strenuamente il sionismo, nei nostri quartieri non dobbiamo abbassare l’odio di classe! Nessuno spazio al revisionismo fascista. Fischia ancora il vento!». E poi le imbarazzanti emoticon, da boomer fuori tempo massimo, con il pugno chiuso e la fiamma. Ovviamente da sinistra nessuna condanna del gesto. Eppure, bisognerebbe ricordare a Genova antifascista che, come ha ricostruito Giampaolo Pansa, gran parte dei quadri «bianchi» all’interno della Resistenza ligure furono eliminati dai rossi della Brigata Garibaldi, proprio quella che aveva come inno «Fischia il vento». E quelli non erano pericolosi fascisti. Anzi. Si trovavano spalla a spalla con i garibaldini, ma furono traditi. Perché Genova, medaglia d’oro della Resistenza, è stata anche teatro di atroci vendette interne tra coloro che combattevano il fascismo. E non per questioni ideali, ma solo ideologiche e legate al potere. I garibaldini volevano avere il controllo della Resistenza e, per farlo, hanno eliminato chiunque si opponesse a questo piano. Aldo Gastaldi, nome di battaglia «Bisagno», era un partigiano bianco, entrato in contrasto con quelli della Brigata Garibaldi, tanto da temere per la propria vita. Morì, in un tragico incidente, anche se forse sarebbe meglio parlare di attentato, sul Lago di Garda a guerra finita. Perché la Resistenza, soprattutto quella genovese, fu anche questo. Ed è proprio a questo mito che si rifà il gruppo antifascista. Non a quella di «Bisagno», sul cui corpo non si fece mai un’autopsia e sulla cui fine aleggiano ancora parecchi dubbi. Ma a quella della Brigata Garibaldi, fatta di violenza indiscriminata contro chiunque la pensi diversamente. «Fischia ancora il vento», è vero. E porta con sé l’odio di ieri e di oggi. Che proviene da una sinistra che oltraggia la memoria di chi, come Norma Cossetto, non può più reagire.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro il consigliere Pd Mattia Abdu