2022-02-17
La fine dello smart working è una pistola alla tempia di chi non ha il lasciapassare
Il 31 marzo decadrà la normativa sul lavoro da casa che finora ha salvato migliaia di over 50. Se dovranno andare in ufficio anche una sola volta perderanno lo stipendio.La fine dello stato di emergenza chiude tutte le porte a chi non vuole vaccinarsi, ponendo definitivamente fine alla libertà di scelta. Se con l’introduzione dell’obbligo vaccinale per gli over 50, a partire dal 15 febbraio, molti hanno scelto di mettersi in smart working per evitare di essere sospesi dal proprio posto di lavoro, dal 1° aprile, se lo stato di emergenza finirà, non potranno più usare il lavoro agile come uno scudo per salvare lo stipendio. Ricordiamo infatti che per un’azienda al momento è difficile sapere se un lavoratore è vaccinato oppure no se lavora a casa. L’unico momento idoneo per scoprirlo rimane il primo giorno in cui ci si reca in azienda. Situazione di non facile gestione, anche perché ricordiamo che le attuali norme sullo smart workign non derivano da un contratto nazionale, ma sono il frutto dell’emergenza sanitaria. Si è dunque concessa la libertà di mettere i propri lavoratori in smart working senza la presenza di un accordo collettivo o individuale tra l’azienda e il dipendente. Non sono dunque state stabilite regole per quanto riguarda l’alternanza del lavoro in ufficio e a casa, così come non sono stati normati molti altri aspetti. In questo contesto, si capisce bene come sia dunque difficile controllare, per esempio, se un lavoratore che sta svolgendo il suo lavoro da remoto abbia o meno il super certificato verde. Realtà confermata in parte anche dal sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, che un paio di giorni fa a Rai Radio 1 (oltre a dire che il certificato verde è obbligatorio anche in smart working) ha sottolineato che «i controlli (in questo momento, ndr) sono un’operazione più complicata rispetto alle verifiche sui luoghi di lavoro». Situazione che ha però una data di scadenza ben precisa, il 31 marzo 2022. Se infatti il governo Draghi dovesse decidere di porre fine allo stato di emergenza si darebbe il via a una vera e propria contrattualizzazione dello smart working. E, dunque, la base normativa di riferimento rimarrebbe per tutti (lavoratori pubblici e privati) la legge numero 81 del 2017 sul lavoro agile con l’applicazione di diverse peculiarità per i singoli settori. Per quanto riguarda i lavoratori del privato, non ci sarà nessun intervento normativo nell’immediato. La cornice entro cui ci si deve muovere è il protocollo delle linee di indirizzo stipulato il 7 dicembre tra il ministero del Lavoro e le parti sociali. In questo si è delineato lo schema principale che deve essere poi seguito dalle varie aziende quando stipulano i singoli contratti individuali con i propri lavoratori. Si dovranno dunque definire la durata dell’accordo (se a termine o a tempo indeterminato), l’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno dell’azienda e da casa, in quali luoghi si può svolgere il lavoro da remoto, quali sono gli strumenti di lavoro forniti, i tempi di riposo, le forme e le modalità di controllo fuori dall’azienda e i diritti di cui gode il lavoratore. Quello su cui il governo sta ancora lavorando è la fluidità delle comunicazioni che le società dovranno mandare. Si sta dunque cercando di rendere questa parte normativa meno pesante dal punto di vista burocratico per le aziende, dato che le comunicazioni che dovranno inoltrare non saranno poche. Per quanto riguarda invece la pubblica amministrazione, che vede come ministro di riferimento Renato Brunetta, l’idea è quella di creare dei contratti collettivi nazionali ad hoc che andranno a disciplinare il quadro generale dello smart working. Poi, ogni singola amministrazione definirà in modo più dettagliato i singoli accordi individuali con i propri dipendenti. Nell’arco di tempo tra la realizzazione dei vari contratti collettivi e il 31 marzo, si dovranno invece applicare le linee guide redatte dal ministero per quanto riguarda lo smart working, in modo da non lasciare periodi non normati. Bisogna sottolineare come la modalità di lavoro agile sia del tutto volontaria (passaggio precisato anche sui diversi protocolli). Questo significa che l’azienda privata, così come quella pubblica, può benissimo decidere, quando finirà lo stato di emergenza, di non voler dar più seguito all’esperienza dello smart working, pretendendo che tutti i lavoratori siano presenti in pianta stabile in sede. Stessa libertà di scelta avrà anche il dipendente che potrà decidere di non voler aderire al contratto di lavoro agile aziendale. Quello che invece non si potrà più scegliere è se vaccinarsi oppure no. I protocolli di intesa sottolineano infatti come sia «sano» alternare il lavoro da casa a quello in ufficio, imponendo di fatto un’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno e all’esterno dei locali dell’azienda. Questo farà sì che i lavoratori dovranno recarsi (in base alle regole stipulate dalle singole aziende) in ufficio almeno una volta a settimana. E per poter accedere ai locali si dovrà essere muniti di certificato verde, che ricordiamo non scomparirà con la fine dello stato di emergenza, ma sarà operativo ancora per diversi mesi. Nel caso dunque in cui non ci si sia sottoposti al vaccino si verrà sospesi dal lavoro e dallo stipendio, pur conservando il proprio posto almeno fino al 15 giugno.
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