2024-09-29
Ecco che fine fanno gli immigrati trattenuti al confine e salvati dai giudici
Su 148 richieste di protezione internazionale solo due sono andate in porto: quindi fermarli negli hotspot era sacrosanto.Gli ultimi dati sulle procedure accelerate alla frontiera smontano definitivamente le teorie ideologiche delle toghe che si oppongono all’applicazione del decreto Cutro. Per comprendere il bizzarro iter che innescano e la sua conclusione bisogna partire dal totale del numero di procedimenti avviati dai questori: 173 dato aggiornato a ieri, tutti passati per le due strutture attivate dal governo per le procedure accelerate alla frontiera, quella di Modica e quella di Porto Empedocle. Le convalide sono 16 (il 9 per cento), mentre i provvedimenti annullati sono 66 (il 38 per cento), più o meno in linea con i dati diffusi l’altro giorno: dieci accoglimenti contro 64 rigetti. Questi ultimi bollati dai giudici tutti come «illegittimi». Ovviamente i migranti (quelli provenienti da un Paese di origine sicuro e fermati nell’imminenza dell’ingresso in Italia dopo aver eluso o tentato di eludere i controlli) sono tornati liberi di muoversi agevolmente sul territorio nazionale. Hanno 28 giorni per chiedere la protezione umanitaria. Due dei 173 (l’uno per cento) dovranno presentarsi all’autorità giudiziaria, che con molta probabilità li attenderà inutilmente. Altri 89 (il 51 per cento) hanno consegnato i loro passaporti, così come previsto dal decreto Cutro. E ce ne sono due (l’uno per cento) che hanno presentato una garanzia finanziaria, la famosa fidejussione (che il richiedente può presentare entro sette giorni dalla quantificazione della stessa da parte del questore) che i giudici ritengono un’operazione impossibile per i migranti. Inoltre, secondo i giudici, il pagamento di una somma a garanzia come mezzo per evitare il trattenimento sarebbe incompatibile con le norme Ue. E, così, alla fine tutti i provvedimenti di rigetto liquidano le decisioni dei questori come «non adeguatamente motivate». Fatto sta che c’è chi la fidejussione riesce a depositarla. Proprio come previsto dalla legge: ovvero con garanzia «individuale (non può essere versata da terzi, ndr)» e versata in unica soluzione mediante fidejussione bancaria o polizza assicurativa e costituita «entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento foto dattiloscopico e segnaletico». Ma è dalle statistiche delle Commissioni territoriali competenti, che La Verità è riuscita a procurarsi, che si ricava la prova del cortocircuito. Dei 148 migranti (l’86 per cento) che nei 28 giorni presentano una richiesta di protezione internazionale solo due alla fine dell’iter sono riusciti a ottenerla. Le restanti 146 richieste sono state rigettate «per manifesta infondatezza». Stando alle Commissioni territoriali (che hanno sette giorni per decidere), quindi, i migranti che i questori vorrebbero far trattenere, come prevede il decreto Cutro, negli hotspot, nei centri di soccorso e prima accoglienza e, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati, anche nei centri di permanenza per rimpatri, perché non hanno consegnato il passaporto o perché non disposti a presentare la garanzia finanziaria, alla fine non avevano titolo per restare in Italia. Cosa accade a questo punto? Bisognerà espellerli. In realtà, grazie all’ampia libertà di movimento che è stata loro garantita dall’annullamento della procedura accelerata alla frontiera, molto probabilmente hanno già cambiato aria. Si ha notizia di uno soltanto dei 173: è stato arrestato in quanto destinatario di un provvedimento di carcerazione. Deve aver commesso qualche reato mentre era in attesa che la Commissione territoriale decidesse definitivamente il suo status. D’altra parte, la Procura generale della Corte di Cassazione, valutando i primi annullamenti disposti dai due giudici catanesi Iolanda Apostolico (la toga che in passato aveva preso parte alle manifestazioni contro Matteo Salvini, quando il leader del Carroccio era ministro dell’Interno) e Rosario Cupri, aveva ritenuto che la procedura accelerata alle frontiera fosse «stata applicata» dai questori «legittimamente e in modo conforme alle norme». E aveva spiegato: «Non si ravvisano le palesi illegittimità riscontrate perché, come correttamente indicato dall’Avvocatura dello Stato (che aveva presentato i ricorsi contro gli annullamenti, ndr), si era comunque al cospetto di una delle condizioni (provenienza da un Paese di origine sicuro) e, del pari, si era in presenza di una delle ipotesi di procedura accelerata consentite», nel contesto di una «peculiare situazione» che «precludeva, con ogni evidenza, ogni possibile accertamento e trattazione della procedura nella stessa zona di arrivo». In sostanza la procedura avviata dai questori sarebbe stata ineccepibile. Manca ora la decisione dei giudici delle Sezioni unite, davanti ai quali pende il ricorso, che stanno aspettando un parere della Corte europea su un punto specifico. Quello della garanzia finanziaria. Le toghe della Suprema corte hanno chiesto se le fidejussioni «debbano rispettare parametri desumibili dal diritto eurounitario, con riguardo al profilo quantitativo (anche in ordine alla possibilità di rapportarle alla somma necessaria a far fronte alle necessità del richiedente asilo per tutta la durata del trattenimento), al soggetto che può prestarla (se cioè possa essere ammessa la costituzione da parte di un terzo), alla modalità della restituzione». Nell’attesa con molta probabilità continuerà la manfrina. Con i questori che disporranno i trattenimenti e i giudici che si affanneranno ad annullarli. E le Commissioni territoriali, infine, che giudicheranno le richieste di protezione internazionale inammissibili.