2024-03-31
L’Unione usa i nostri soldi per pagare i grandi giornali che devono parlare di Ue
L’ex corrispondente del «Corriere» rivela sul «Fatto»: fondi comunitari nelle casse di Gedi e di via Solferino. Con centinaia di migliaia di euro gli applausi son garantiti.La musica celestiale degli eurolirici è il tintinnio dei soldi. Ora è tutto chiaro, tutto molto interessante: i più importanti quotidiani d’informazione italiani sono entrati in partnership con la Commissione europea e con l’Europarlamento per promuovere le magnificenze di Bruxelles sfornando articoli, reportage, inni alla gioia in vista delle elezioni di giugno. Una mossa determinata dalla paura di perdere consensi dopo un quinquennio di politiche controverse, qualche volta sgangherate, che hanno avuto il solo effetto di impoverire gli Stati, di indebolirne le economie e di suscitare ribellioni come quelle di agricoltori, allevatori, autotrasportatori del continente. Poiché da tempo si leggono sviolinate a senso unico, il dubbio era nell’aria. Le narrazioni profumate e cosparse di petali di rose non possono che indurre i cittadini più distratti o assuefatti ad allinearsi alle «magnifiche sorti e progressive» del liberal-socialismo al potere. Quello del Green deal, dei patti di stabilità secondo convenienza, dei warning di fuoco a chi non si omologa. Quello di Ursula von der Leyen, dei commissari talebani, delle invettive macroniane. E dei burocrati che alla vigilia dell’ultimo voto politico italiano minacciarono gli elettori tuonando: «Se le cose dovessero andare male abbiamo a disposizione i numeri adeguati».Lo scoop del Fatto Quotidiano è come quel leggendario incontro di boxe fra Muhammad Alì e George Foreman: Rumble in the jungle. Un terremoto nella giungla mediatica, dove si è scoperto che per esempio il gruppo Gedi, che edita Repubblica e Stampa, ha siglato un’intesa con le istituzioni europee pagata con fondi Ue (40.000 dall’Europarlamento, 22.000 dalla Commissione più 96.000 per un bando vinto), per evidenziare quanto fatto in questi anni. L’obiettivo surrettizio di Bruxelles è quello di indirizzare la sfida fra europeisti e sovranisti. Come scrive Ivo Caizzi, ex corrispondente da Bruxelles del Corriere della Sera, ora nella squadra guidata da Marco Travaglio, «la partnership sarebbe gradita dal commissario Ue Paolo Gentiloni del Pd».Secondo la stessa fonte, anche il Corriere della Sera di Urbano Cairo avrebbe beneficiato di 200.000 euro con un bando. E altre 35 testate rientrerebbero in questo panel. Le istituzioni europee stanno valutando ulteriori partnership «e studiando come finanziare a più ampio spettro possibile la promozione dei messaggi - banner, spot, pubblicità - sui media, sempre per supportare l’informazione e la partecipazione alle prossime elezioni di giugno». Il corto circuito è nei fatti e il rischio è evidente: i cani da guardia della Ue rischiano così di diventarne partner a tutti gli effetti. Con un ulteriore imbarazzo per Bruxelles, molto attenta alla libera concorrenza ma di fatto protagonista di palesi favoritismi e di aiuti pubblici vietatissimi per altri settori strategici. È l’ipocrisia congenita dell’Unione europea, che aveva varato il «Media freedom act» per proteggere l’indipendenza dei giornalisti ma ha pensato bene di porre in essere anche un’operazione opposta: finanziarli per provare a condizionarli. Così ha cominciato a elargire fondi con più contenitori, che vanno dai contratti puri e semplici ai bandi per progetti e collaborazioni, fino ai viaggi gratis non solo a vantaggio delle piccole testate che non hanno uffici di corrispondenza a Bruxelles. Si è arrivati a finanziamenti fra i 100.000 e i 250.000 euro agli editori, con lo scopo neppure troppo nascosto di supportare narrazioni favorevoli. Secondo il Fatto Quotidiano, fra i gruppi che hanno beneficiato della pioggia magica ci sarebbero anche Mediaset, l’Eni proprietaria dell’agenzia Agi, Il Sole 24 Ore di Confindustria e l’agenzia Ansa.In questi mesi si stanno notando numerosi servizi sui lavori dell’Unione europea, interminabili e autorevoli interventi per testimoniare la laboriosità e l’efficienza della macchina amministrativa. Tutto legittimo in clima elettorale, anche se la potenza di fuoco mediatica balza all’occhio. Il Corrierone ha varato pagine speciali e anche un podcast di più puntate dal titolo «Questa è l’Europa». È un viaggio nei corridoi dell’Europarlamento con una testimonial accompagnatrice d’effetto, la presidente Roberta Metsola, che «eccezionalmente in italiano» (recita il claim) spiega «l’allargamento, la sicurezza, la disinformazione, l’astensionismo, preoccupazioni e speranze in vista del voto». All’operazione partecipa una firma di prestigio come lo scrittore Paolo Giordano, che flauta di allargamenti fino a Bakhmut nel Donetz (meglio non dirlo a Vladimir Putin), di sconfitte populiste, di pace ideale (quella europea) e di pace perversa (quella degli scettici). Con onestà bisogna ammettere che in calce al titolo viene segnalato che l’operazione «è cofinanziata dall’Unione europea».Rimane la perplessità per l’helicopter money, al quale non tutti hanno aderito con entusiasmo. Anzi, testate tedesche e dei Paesi nordici si sono rifiutate di entrare nel libro paga di Bruxelles e di Strasburgo, tenendosi stretta la libertà di fare i tifosi gratis, in difesa di principi ai quali credono. Per liberali di antico vizio come noi i denari sono sempre una motivazione nobile, anche se non sempre una garanzia di equilibrio intellettuale e di autonomia. In ogni caso da domani sarà difficile prendere sul serio lezioni di europeismo à la carte con il prezzo sul menù.
Alessandro Benetton (Imagoeconomica)