
Arriva l'intervento che allunga di 20 anni la fertilità. «Così le donne penseranno alla carriera sollevate da questo peso».Ingannare l'orologio biologico delle donne per allontanare il tempo della menopausa anche di vent'anni è la promessa di una ricerca partita in una clinica britannica. Sulla carta la sperimentazione è per ridurre i problemi della menopausa (osteoporosi, infarto e ictus, vampate di calore e insonnia), ma non esclude la possibilità di una gravidanza. La procedura rivoluzionaria, come ha dichiarato il capo dei ricercatori al Telegraph, andrebbe quindi ben oltre: toglierebbe ogni ostacolo alla carriera delle donne che potrebbero diventare madri all'età in cui di solito si è nonne. L'intervento dura mezz'ora e consiste nel prelevare del tessuto ovarico e di conservarlo a -150 gradi centigradi. Il tessuto può quindi restare nella biobanca anche per decine d'anni ed essere reimpiantato quando la donna raggiunge la menopausa. A quel punto il tessuto, più giovane di vent'anni rispetto al resto del corpo, potrebbe ripristinare l'attività ormonale. Ovviamente il ritardo della menopausa dipende dall'età in cui il tessuto in questione viene prelevato e va dai 20 anni, quando l'intervento è fatto a 25, e si riduce a qualche anno per la donna ne ha 40 al momento del prelievo. Già nove donne tra 22 e 36 anni hanno subito l'intervento chirurgico, che costa tra i 7.000 e i 12.000 euro e viene offerto a Birmingham, nella sede della clinica Profam (Protecting fertility and menopause). Alla guida della società, cofondata da quattro tra i massimi esperti mondiali, c'è Simon Fishel, presidente dell'Uk care fertility group, molto noto del settore. Fishel ha infatti seguito la fecondazione in vitro che ha portato alla nascita di Natalie Brown, sorella della prima bambina in provetta, Louise Brown. Natalie in seguito è stata la prima donna concepita attraverso la fecondazione in vitro ad avere naturalmente i suoi figli. Insomma la sperimentazione è partita per ridurre i problemi della menopausa, ma gli orizzonti sono ben più ampi. «La conservazione del tessuto ovarico», spiega alla Verità Giovanni Nardelli, direttore della clinica ginecologica ostetrica dell'Università di Padova, «è una tecnica già usata per preservare la fertilità nelle donne che vanno incontro a terapie oncologiche», chiaramente però ci si deve accertare che il tessuto sia sano. L'idea è che una volta reimpiantato, il tessuto torni a produrre gli ovuli. Ovviamente «in pazienti che hanno avuto un tumore di origine ormonale, come ad esempio quello al seno», dice il professore, «la procedura del reimpianto non è indicata perché la patologia potrebbe ripresentarsi».Tornando però a quanto sta succedendo in Gran Bretagna, anche se il prelievo è semplice, per via laparoscopica, «bisogna verificare che impiantare tessuto ovarico giovane in pazienti in peri-menopausa», continua Nardelli, «non causi tumori ovarici, disfunzioni, dolori problemi ovulatori… una serie di patologie». Certo, una cosa è conservare il tessuto ovarico per la fertilità, nel qual caso il prelievo deve essere eseguito entro i 35 anni di età della paziente, e un'altra è farlo per la conservazione ormonale, il cui limiti arriverebbe a 40, ma al momento la sperimentazione è in donne tra i 22 e 36 anni. «Inoltre», spiega il professore, «non è escluso che il tessuto reimpiantato non sia quello prelevato dalla stessa paziente. Potrebbe essere anche fornito da una donatrice più giovane». Insomma, la nonna, allontanando la menopausa, potrebbe anche trovarsi ad avere una figlia eterologa, da ovociti con Dna diverso dal suo. Non è fantascienza. «Una delle ragioni dell'aumento dei tassi di infertilità», ha spiegato al Telegraph il capofila della sperimentazione Fishel, «è che le donne non pensano di avere figli fino ai 30 anni. Questa procedura consente alle donne di farsi una carriera e sentirsi sollevate da questo peso e, se a 40 anni vogliono ancora un bambino, ma non sono in grado di avere il proprio naturalmente, possono tornare ai loro tessuti che hanno congelato a 30». Nessun problema scientifico né tantomeno etico.Del resto, ha aggiunto Fishel, la sua figlia più piccola, di 22 anni, tra i 25 e i 30 anni eseguirà questa procedura come «regalo di compleanno».
Andy Mann for Stefano Ricci
Così la famiglia Ricci difende le proprie creazioni della linea Sr Explorer, presentata al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, concepita in Patagonia. «Più preserveremo le nostre radici, meglio costruiremo un futuro luminoso».
Il viaggio come identità, la natura come maestra, Firenze come luogo d’origine e di ritorno. È attorno a queste coordinate che si sviluppa il nuovo capitolo di Sr Explorer, il progetto firmato da Stefano Ricci. Questa volta, l’ottava, è stato presentato al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, nata tra la Patagonia e la Terra del Fuoco, terre estreme che hanno guidato una riflessione sull’uomo, sulla natura e sul suo fragile equilibrio. «Guardo al futuro e vedo nuovi orizzonti da esplorare, nuovi territori e un grande desiderio di vivere circondato dalla bellezza», afferma Ricci, introducendo il progetto. «Oggi non vi parlo nel mio ruolo di designer, ma con lo spirito di un esploratore. Come un grande viaggiatore che ha raggiunto luoghi remoti del Pianeta, semplicemente perché i miei obiettivi iniziavano dove altri vedevano dei limiti».
Aimo Moroni e Massimiliano Alajmo
Ultima puntata sulla vita del grande chef, toscano di nascita ma milanese d’adozione. Frequentando i mercati generali impara a distinguere a occhio e tatto gli ingredienti di qualità. E trova l’amore con una partita a carte.
Riprendiamo con la seconda e conclusiva puntata sulla vita di Aimo Moroni. Cesare era un cuoco di origine napoletana che aveva vissuto per alcuni anni all’estero. Si era presentato alla cucina del Carminati con una valigia che, all’interno, aveva ben allineati i ferri del mestiere, coltelli e lame.
Davanti agli occhi curiosi dei due ragazzini l’esordio senza discussioni: «Guai a voi se me li toccate». In realtà una ruvidezza solo di apparenza, in breve capì che Aimo e Gialindo avevano solo il desiderio di apprendere da lui la professione con cui volevano realizzare i propri sogni. Casa sua divenne il laboratorio dove insegnò loro i piccoli segreti di una vita, mettendoli poi alla prova nel realizzare i piatti con la promozione o bocciatura conseguente.
Alessandra Coppola ripercorre la scia di sangue della banda neonazi Ludwig: fanatismo, esoterismo, violenza e una rete oscura che il suo libro Il fuoco nero porta finalmente alla luce.
La premier nipponica vara una manovra da 135 miliardi di dollari Rendimenti sui bond al top da 20 anni: rischio calo della liquidità.
Big in Japan, cantavano gli Alphaville nel 1984. Anni ruggenti per l’ex impero del Sol Levante. Il boom economico nipponico aveva conquistato il mondo con le sue esportazioni e la sua tecnologia. I giapponesi, sconfitti dall’atomica americana, si erano presi la rivincita ed erano arrivati a comprare i grattacieli di Manhattan. Nel 1990 ci fu il top dell’indice Nikkei: da lì in poi è iniziata la «Tokyo decadence». La globalizzazione stava favorendo la Cina, per cui la nuova arma giapponese non era più l’industria ma la finanza. Basso costo del denaro e tanto debito, con una banca centrale sovranista e amica dei governi, hanno spinto i samurai e non solo a comprarsi il mondo.





