2024-08-05
Lode al fico d’India, il frutto agostano che colora l’estate e aiuta a idratarci
Coltivato al Sud, i contadini siciliani lo mangiavano a colazione per i suoi sali minerali prima di iniziare una giornata di fatiche. Ricco di vitamina C, ha proprietà antiossidanti e gastroprotettive.C’è un frutto che molti italiani, magari del Nord, hanno scoperto in estate, in vacanza sulle nostre coste, in particolare siciliane. Si tratta di un frutto che davvero raramente, perfino quando è la sua stagione, si trova nei supermercati cittadini posizionati fuori dal territorio cui il frutto in questione appartiene. È il fico d’India, che lo scrittore Elio Vittorini in Conversazione in Sicilia definì «frutto coronato di spine», un po’ come la testa di Gesù. Il fico d’India, che si può scrivere anche tutto attaccato ficodindia, è una pianta succulenta originaria del Centro America poi giunta e ben attecchita in area mediterranea. «Succulenta», cioè? Di solito si dice «piante grasse» e, come sinonimo, piante succulente. La dicitura corretta non è grassa, sebbene con grassa si voglia popolarmente intendere una pianta grassa, nel senso di gonfia di liquidi. Per questo motivo succulenta, dal latino sucus ossia succo, è la dicitura corretta per indicare una pianta che trattiene liquidi per usarli quando ne ha bisogno. La succulenza della pianta non è per forza la caratteristica di un’intera famiglia di piante, ma può caratterizzare anche solo una o più piante di una famiglia. Per intenderci, tutte le Cactacee sono succulente, ma non solo le Cactacee sono succulente. La succulenza non si esplicita solo nel fusto, come è per il cactus e il fico d’India: ci sono succulente da fusto, sì, ma anche da radice o da tubero, a seconda di dove la pianta stipa la sua riserva d’acqua. Risulta simpatico osservare le modifiche fisiche che nel tempo sono servite ad affinare questa necessità di stipare acqua in climi molto aridi. Le spine delle Cactacee, e anche dunque del fico d’India, in precedenza erano foglie: diventando spine, restringendosi, hanno ridotto la propria area e con ciò l’area della pianta esposta al sole e all’evaporazione. Il nome botanico della nostra succulenta fico d’India è Opuntia ficus-indica; appartiene appunto alla famiglia delle Cactacee e al genere Opuntia. Pianta arborescente, cioè con fusto aereo grande e a forma ramificata sebbene non abbia rami di albero e non sia un albero, può giungere anche a 5-6 metri di altezza. Ciò che costituisce il fusto della pianta sono i cladodi, anche detti pale, di forma ovali, spessi fino a 3 cm, su cui si trovano le spine, più tipi, e compaiono anche i fiori che poi si fanno frutti. Anche le vere e proprie foglie, piccolissime, lunghe giusto qualche millimetro, appaiono per breve tempo sui cladodi giovani. Liricamente, si chiamano effimere. Alla loro base ci sono le areole, che possono ospitare spine oppure glochidi, ossia microspine lunghe poche millimetri, di forma uncinata, che sono presenti anche nelle varietà di fico d’India senza spine vere e proprie perciò dette, ancora liricamente, inermi, come quelle che si trovano, per esempio in Sardegna. In realtà proprio inermi non sono nemmeno i glochidi; quindi, sia per le spine vere e proprie, sia per i glochidi, mai maneggiare pale e frutti del fico d’India senza guanti. Da queste areole possono anche nascere radici avventizie, nuovi cladodi o fiori, che si caratterizzano per il bel colore giallo caldo. I cladodi sono anche ricoperti da una sorta di cera che li difende dai predatori e, ancora, evita un’eccessiva evaporazione. Verso i quattro anni di età lignificano. Anche il ricettacolo floreale è ricoperto di areole che possono a loro volta far nascere nuovi fiori o nuove radici. Su un cladode possono fiorire fino a 30 fiori. E poi, dal fiore, il frutto. Vi diciamo subito una cosa da tenere a mente per capire meglio questi bei frutti quando ve li ritroverete davanti. Il frutto è una bacca detta polispermica perché contiene anche dei semi diffusi, simili a quelli dell’uva, che come quelli si possono ingoiare ma è meglio non masticare con foga onde evitare di rovinare i denti; molti preferiscono non ingoiarli e sputarli dopo la masticazione della polpa. Il colore del frutto cambia a seconda della varietà, può essere bianco, giallognolo, rosso. Tendenzialmente, nei campi coltivati a fichi d’India si tende a coltivare le varie varietà insieme, in modo da riempire le cassette per i fruttivendoli di tutti i colori dei fichi. Anche la forma può cambiare, minimamente, ma riconoscibilmente, sia in virtù della varietà, sia in relazione al momento della raccolta: il primo frutto della pianta, infatti, è tondeggiante, quello tardivo è più oblungo. Per avere il frutto tardivo si fa la cosiddetta scozzolatura, cioè si tagliano i fiori prima della prima fioritura a maggio o giugno, e ciò dà luogo a una seconda fioritura più abbondante e a una raccolta ritardata, in autunno. Quindi i fichi d’India possono essere agostani oppure autunnali, detti anche tardivi o bastardoni.Insomma, spine vere e proprie, glochidi, buccia e semi (pensate, in un solo frutto di fico d’India ce ne possono essere fino a 300!). Ora direte: ma chi ce la fa fare di mangiare il fico d’India coi guanti o con forchetta e coltello? Beh, innanzitutto il fatto che il fico d’India, un po’ come il gelso, è un frutto antico, rustico, che ci riporta con la memoria a un tempo passato e antico e rustico anch’esso: si pensi alla tradizione contadina siciliana di mangiare i fichi d’India anche a colazione, per idratarsi e rimineralizzarsi prima di iniziare la giornata di fatica. Ma è anche un frutto contemporaneo, giunto nel presente in virtù di una gagliarda resistenza rispetto ad altri frutti antichi fatti fuori dai decenni: proprio noi italiani siamo tra i maggiori produttori mondiali di fico d’India con prevalenza di coltivazione nelle nostre Regioni mediterranee, in particolare la Sicilia, dove il fico d’India è riconosciuto Pat, prodotto agroalimentare tradizionale. Ci sono il ficodindia della valle del Belice, il ficodindia della valle del Torto, la bastarduna di Calatafimi, il ficodindia di San Cono e ci sono anche i Dop: il ficodindia di San Cono e il ficodindia dell’Etna, per esempio, sono riconosciuti appunto «denominazione di origine protetta». Per quanto riguarda la salubrità, in 100 g di fico d’India troviamo 83,2 g di acqua, 0,8 g di proteine, 0,1 g di lipidi, 13 g di zuccheri solubili, 5 g di fibre (0,13 g di fibra solubile e 4,87 g di fibra insolubile). Quanto ai micronutrienti, 100 g di fico d’India contengono 18 mg di vitamina C: infatti in passato i fichi d’India, grazie anche alla loro resistenza, venivano trasportati sulle navi e consumati per prevenire lo scorbuto (che viene per carenza di vitamina C). Grazie alla vitamina A, il fico d’India ha effetto antiossidante. Il fico d’India è anche rimineralizzante (su 100 g troviamo 190 mg di potassio, 30 mg di calcio, 25 mg di fosforo, 0,4 mg di ferro, 1 mg di sodio). Mucillagini e pectine hanno effetto gastroprotettivo. Molto interessante è poi il loro aspetto ipoglicemizzante: i polisaccaridi presenti nella polpa di frutto e pale riducono l’assorbimento degli zuccheri e anche dei grassi perché li legano a sé. Anche per questo motivo esistono integratori di fico d’India, usati proprio per stimolare il metabolismo glico-lipidico. Se si assumono farmaci ipoglicemizzanti, il fico d’india potrebbe amplificarne l’effetto, quindi fate attenzione. La pala (sbucciata) viene anche usata localmente, a mo’ di impacco, con effetto antinfiammatorio e cicatrizzante. Curiosità. Dai semi di fico d’India si ottiene una farina e un olio. Esiste il miele di fico d’India, un miele caratteristico e molto profumato, soprattutto siciliano. Nell’area centroamericana il fico d’India è coltivato anche per l’allevamento della cocciniglia, quel Dactylopius coccus da cui si ricava il colorante naturale, e perciò assai ricercato, carminio. La cocciniglia colonizza, infatti, le pale. Il tentativo di importare questo allevamento anche in area mediterranea non ha avuto lo stesso successo della normale coltivazione del fico d’India a uso alimentare umano, poiché le temperature invernali troppo basse e le abbondanti piogge locali rendono estremamente difficile la sopravvivenza degli esemplari dell’insetto in allevamenti a esso dedicati. Fa eccezione la Spagna, Lanzarote. Anche la coltivazione del fico d’India a scopo energetico, per usare le pale come fornitrici di biomassa, al momento, nella nostra area mediterranea, non è presente; in Centro America questo uso non alimentare della pianta, invece, è assai sviluppato. Qui siamo ancora agli albori: nel 2023 in Salento la società agricola leccese Wakonda ha siglato un accordo con Sebigas per realizzare il primo impianto biogas in Europa alimentato con cladodi (le pale, ricordate?) di fico d’India, sansa di olive, vinacce, siero di latte. Ricordatevi che se le specie tardive arrivano anche a ottobre, perfino novembre: i primi fichi d’India si raccolgono ad agosto. Se siete in vacanza in territori di fico d’India, mangiateli!
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.