2019-09-14
Fiano e la Trenta trombati eccellenti. L’ombra della vendetta sul Senato
Veti incrociati e rese dei conti interne ai due partiti hanno fatto fuori big considerati intoccabili. Nel Pd niente posti di governo per Maurizio Martina, Debora Serracchiani e Lia Quartapelle. Il M5s sacrifica Barbara Lezzi, Francesco D'Uva ed Emilio Carelli.«Non me lo meritavo, ho lottato contro Matteo Salvini più di altri...». Già al momento della scelta dei ministri, una settimana fa, si era levato alto e forte il grido di dolore di Elisabetta Trenta, evidentemente convinta che un'azione da kamikaze politico contro il leader leghista dovesse garantirle gratitudine in casa grillina, e magari anche su qualche altro Colle romano. Ma i dolori e le umiliazioni dell'ex ministra della Difesa si sono raddoppiati ieri: neanche un posticino da viceministro, nemmeno uno strapuntino da sottosegretario. Niente di niente. Ma la Trenta promette (o minaccia, a seconda dei punti di vista) di rimanere nella trincea politica: «Si sono rincorse voci circa una mia nomina come sottosegretario. È stata una possibilità che non si è concretizzata, ma questo non significa che la mia attività politica si esaurisca qui». Inutile girarci intorno: con rispetto parlando, è lei la capofila dei «trombati», è lei la presidente d'onore del comitato delle vittime di Luigi Di Maio. Ma dietro di lei si accalca un folto gruppo di delusi, alcuni dei quali definiti fino a ieri «blindati» e «sicuri», e invece improvvisamente sacrificati o nello scambio incrociato tra Pd e grillini, o - peggio ancora - nel suk correntizio interno a ciascuno dei due partiti. Nel Pd, ad esempio, le vittime illustri sono almeno nove. Il bersaglio più grosso è quello di Emanuele Fiano, che da giorni presidiava ogni possibile studio televisivo come aspirante bodyguard della ministra degli Interni Luciana Lamorgese. Fiano era già pronto, approfittando della dimensione tecnica della titolare del ministero, a vestire i panni dell'uomo forte politico del Viminale, candidandosi ad anti Salvini. Progetti forse da rimettere nel cassetto, così come la pericolosa idea di nuove norme restrittive del free speech e per il controllo della libera espressione dei cittadini sui social network, in nome del contrasto al cosiddetto «linguaggio di odio». Ma nel Pd le vittime non si contano più. C'è Giovanni Legnini, già vicepresidente del Csm, curiosamente tornato in ballo (nonostante l'eventuale deminutio in termini di rango) o come sottosegretario alla Giustizia, o come responsabile della più pesante delega all'Editoria (per cui l'ha invece bruciato il compagno di partito Andrea Martella). C'è anche Lia Quartapelle, che già si vedeva alla Farnesina, dopo la sua sceneggiata estiva, quando - telecamere al seguito - andò a citofonare alla sede leghista di via Bellerio a Milano sventolando rubli in chiassosa polemica dopo il caso dell'Hotel Metropol: ma è stata battuta sul filo di lana dai colleghi del Pd Marina Sereni e Ivan Scalfarotto, e dall'immarcescibile eletto all'estero Riccardo Merlo (i voti al Senato hanno un peso). Piangeranno calde lacrime negli studi televisivi Debora Serracchiani e Luigi Marattin, che però si troveranno a difendere proprio coloro che li hanno sopravanzati nello sprint finale. In generale, i trombati di obbedienza renziana (vale anche per Fiano) sanno bene chi siano stati i loro involontari killer: le compagne di corrente Anna Ascani, Simona Malpezzi e Alessia Morani, prossime star della Leopolda, naturalmente dopo Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Ma attenzione: al di là delle soddisfazioni o insoddisfazioni personali, i renziani già preannunciano battaglia. Dà loro voce l'ex tesoriere Francesco Bonifazi: «Dispiace che per vendicarsi della stagione renziana il Pd abbia cancellato la Toscana dai ruoli di governo». Sulla stessa linea anche Dario Nardella e la Boschi. Se il buongiorno si vede dal mattino...Altra vittima illustre è l'ex reggente del partito e già ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina. A bocca asciutta anche l'ex potentissimo sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, il veltroniano Walter Verini (che avrà da fare con le prossime giornali in Umbria) e Antonio Funiciello, dato in corsa in quota Paolo Gentiloni. Una discreta strage si è realizzata pure in casa grillina. Di Maio non ha fatto prigionieri, ignorando bellamente l'invito di Beppe Grillo a indicare personalità tecniche di alto profilo, e blindando una serie di fedelissimi del suo correntone. A rimetterci sono stati Emilio Carelli, che troppi pasdaran grillini hanno sempre considerato un corpo estraneo, il capogruppo alla Camera Francesco D'Uva, l'ex ministra Barbara Lezzi, indimenticabile teorica del ruolo dei condizionatori estivi nella crescita del Pil, e il giovane startupper Luca Carabetta (dato per certo all'Innovazione). Una vittima anche in Leu: è l'ambientalista Rossella Muroni, già presidente di Legambiente. Scavalcata per un verso (in quel ministero) dall'esponente Pd Roberto Morassut, e per altro verso da altri due esponenti di Leu premiati in altri dicasteri, Cecilia Guerra e Giuseppe De Cristofaro. Vedremo quanto ci vorrà affinché questi o altri delusi, dopo il maxi giro di poltrone di ieri, presentino il conto ai loro partiti. Inevitabilmente, gli occhi andranno puntati su Palazzo Madama. Non subito, magari: ma è lì, dove la maggioranza è numericamente più fragile, che ogni voto conta. E anche ogni singola vendetta, ogni singolo conto da regolare. Perché i sottosegretari mancati hanno memoria lunga...
Getty Images
Le manifestazioni guidate dalla Generazione Z contro corruzione e nepotismo hanno provocato almeno 23 morti e centinaia di feriti. In fiamme edifici istituzionali, ministri dimissionari e coprifuoco imposto dall’esercito mentre la crisi politica si aggrava.
La Procura di Torino indaga su un presunto sistema di frode fiscale basato su appalti fittizi e somministrazione irregolare di manodopera. Nove persone e dieci società coinvolte, beni sequestrati e amministrazione giudiziaria di una società con 500 dipendenti.