2024-04-25
La festa del 25 aprile forse è meglio abolirla
Divide il Paese. È ostaggio dei nipotini dei partigiani rossi che massacrarono quelli bianchi. Fischia la Brigata ebraica che combatté il nazismo e inneggia ai palestinesi che erano alleati di Adolf Hitler. E c’è rischio di scontri.Picchetto dei centri sociali contro la Brigata con la stella di David, che deporrà una corona di fiori a Roma. Tensione anche a Milano, minacciata Liliana Segre.Bella ciao è stata creata a guerra finita per creare l’illusione che di resistenza ce ne sia stata una sola e nascondere i crimini dei partigiani rossi, che hanno massacrato quelli bianchi della divisione Osoppo. Il 25 aprile ricordiamo la liberazione dal nazifascismo che fu fatta, vale la pena ricordarlo, dalle truppe alleate. Fu una liberazione, certo, che ha incluso anche episodi tragici come gli stupri delle «marocchinate» e distruzioni inutili come quella del monastero di Monte Cassino. Ringraziamo, è stato sicuramente un vantaggio, ma non un dono, e questo è il motivo per cui la nostra politica estera non è autonoma né libera, ancora oggi. La resistenza italiana era divisa in tre tronchi: verdi, bianchi e rossi, come la nostra bandiera. I verdi, Giustizia e libertà, sono ad esempio Oriana Fallaci e Primo Levi, grandi ideali e poche armi. I bianchi i badogliani e i rossi, la Brigata Garibaldi, comunisti che prendevano ordini da Stalin. I bianchi erano in maggioranza ex militari, quindi avevano le armi e le sapevano usare. Erano in contatto radio con gli alleati che impartivano ordini cifrati attraverso Radio Londra. Erano partigiani bianchi gli uomini della divisione Osoppo, massacrata a tradimento dai rossi a Portius, episodio che l’Associazione nazionale partigiani non ricorda mai. Vale per la resistenza italiana la stessa regola che George Orwell ha descritto nel saggio In omaggio alla catalogna e che Arthur Koestler ha descritto nel romanzo Buio a mezzogiorno: i partigiani non comunisti avevano due nemici, i nazifascisti e i comunisti, entrambi nemici mortali. Ai partigiani comunisti dobbiamo anche la serie di assassini e scomparse di persone nel cosiddetto Triangolo rosso. La canzone Bella ciao ha tre scopi: creare l’illusione che ci sia stata una sola resistenza omogenea e cancellare i crimini. Non era pensabile che tutti i partigiani avessero la stessa canzone perché erano diversi dal punto di vista politico e distanti da quello geografico. Chiunque canti Bella ciao sta calpestando i morti della Osoppo. Qualche anima molto candida obietta: perché non usare la canzone come simbolo dell’antifascismo? Perché l’antifascismo non è uno solo. C’è l’antifascismo della Osoppo a Porzus e quello di coloro che hanno massacrato come cani quegli uomin. Il secondo scopo lo spiegano con spietata chiarezza Marco Della Luna e Paolo Cioni nel saggio Neuroschiavi: «Lo stesso linguaggio è un fatto associativo: le parole evocano, automaticamente, per riflesso condizionato, significati ma anche emozioni, giudizi, odio, simpatia - basti pensare a parole come “fondamentalista”, “fascista”, “comunista”, “tasse”». Quando un corteo di dimostranti canta Bella ciao all’indirizzo di colui che percepisce come nemico politico (per esempio Silvio Berlusconi), quel canto fa scattare nei «coristi» e in buona parte degli spettatori tutta una cascata, una grappolata di associazioni condizionate, implicanti sia significati che emozioni assai gratificanti: «Noi siamo i partigiani antifascisti, buoni, eroici; tu sei il nazifascista, malvagio e bieco; noi siamo giustamente orgogliosi; tu sei un essere abietto, come Mussolini e Hitler». Questa grappolata di associazioni condizionate viene scatenata contro il nemico politico mediante una semplice canzone. Ed è assai difficile difendersi, replicare a un insulto come «sporco fascista», o a una canzone, soprattutto se evoca miti, come Bella ciao. Negli ultimi tre anni abbiamo assistito alla sospensione delle libertà più elementari, al disprezzo totale per i dissidenti politici - i no vax - spacciati per untori sanitari. L’ottimo libro sulla schiavitù neuronale è stato scritto prima della pandemia, manca il meglio della distruzione della libertà e dell’individuo, cui un mucchio di intellettuali hanno plaudito con tutta la loro energia. Nemmeno il fascismo aveva imposto farmaci pessimi e sperimentali a cittadini cavia costretti a firmare un consenso per non perdere il lavoro e il diritto a salire su un treno. Il fascismo ha fatto schifo. L’antifascismo è stato un fallimento. Ha assolto il comunismo da tutti i suoi crimini, ha creato eroi che bruciano piccoli appartamenti pieni di bambini (Primavalle) e sfondano a martellate il cranio dei nemici (Budapest). Ci ha regalato un regime che ci ha lasciato senza verità sul rapimento Moro, su Ustica, sulla stazione di Bologna e su innumerevoli altre tragedie.Oggi, 25 aprile, ci saranno i latrati contro la Brigata ebraica - che ha combattuto contro i nazifascisti - e gli inni ai palestinesi che ne erano alleati, perché il vero antifa non si interessa di quisquilie come la storia. Nazi Palestine: the plans for the extermination of the jews in Palestine è il saggio del 2009 di Klaus-Michael Mallmann e Martin Cuppers che ricostruisce le alleanze in Europa e in Medio Oriente tra palestinesi e nazisti per lo sterminio degli ebrei in Israele. La provvidenziale vittoria alleata a El Alamein ha impedito questo secondo Olocausto. Avendo l’onore di appartenere a una famiglia antifascista anche prima del 1945, mi permetto tre modeste proposte: abolire i finanziamenti all’Anpi, che con eroico sprezzo del ridicolo sta spostando nel Terzo millennio una battaglia della prima metà del secolo scorso, ammantandola di sfumature arcobaleno che avrebbero lasciato perplessi gli originali autentici combattenti, salvo sprofondare in un affetto profondo per le svastiche del battaglione Azov e di quelle di Hamas. Possiamo elargire lo stesso giustificato disprezzo che accompagna la parola fascista a un altrettanto giustificato disprezzo che accompagni la parola comunista? Di quanti milioni di morti hanno bisogno costoro perché le loro impalpabili coscienze abbiano un sussulto di indignazione? La terza proposta consiste nel non ricordare la tragica data del 25 aprile - non è cortese per i morti della divisione Osoppo - e festeggiare invece il 18 dello stesso mese, quando con un’insorgenza civile incruenta, nel 1948, il popolo italiano sconfisse nelle urne il socialcomunismo, che sull’onda della vittoria sovietica contro il nazionalsocialismo sembrava inarrestabile. Oppure possiamo fare una festa di riconciliazione: che i morti seppelliscano i morti, che i sette fratelli Cervi, tutti maschi, fucilati dai repubblichini nel 1943 consolino della loro morte i sette fratelli Govoni, sei uomini e una giovanissima madre, uccisi nel maggio del 1945 a guerra finita dalla Brigata Garibaldi. Possiamo commemorare il 28 aprile del 1945, quando partigiani e repubblichini hanno combattuto affiancati, per contrastare l’avanzata delle truppe francesi che volevano invadere la Valle d’Aosta, su ordine di De Gaulle, violando l’armistizio del 1943. Come racconta lo storico aostano Andrea Désandré nel suo libro Sotto il segno del Leone, il confine italo-francese nella Vagrisenche, Valle di Rhemes e a Pre-Saint-Didier fu difeso da partigiani dell’organizzazione Fiamme verdi e le divisioni Monterosa e Littorio della Repubblica sociale, che per otto giorni tennero testa all’offensiva fino a quando arrivarono i carri armati statunitensi per intimare i francesi a ritirarsi, mentre i soldati della Rsi lasciavano le loro posizioni con l’onore delle armi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/festa-25-aprile-meglio-abolirla-2667871180.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-assalto-agli-ebrei-nelle-piazze" data-post-id="2667871180" data-published-at="1714026256" data-use-pagination="False"> È assalto agli ebrei nelle piazze L’unica buona notizia di questo 25 Aprile l’ha data l’Anpi: «Un benvenuto ai compagni Vigili del fuoco da parte di tutti gli antifascisti genovesi!». Perché sì, nel capoluogo ligure è finalmente arrivata la «Sezione Anpi Vigili del fuoco». E molti pompieri servirebbero oggi per placare gli animi in vista dei vari cortei per la Liberazione, dove le polemiche e gli scontri dei giorni passati sulla guerra in Medio Oriente rischiano di far passare una giornata da incubo agli ebrei italiani, da giorni minacciati dai collettivi di estrema sinistra, dalle associazioni pro Palestina e dalle frange violente degli anarchici. Tensione e confusione sono ben rappresentate dalle parole di Maya Issa, presidente del Movimento degli studenti palestinesi: «È in corso un genocidio, quindi non permetteremo che sia esposto alcun simbolo sionista». A Roma le organizzazioni ebraiche si guarderanno bene dal partecipare al corteo dell’Anpi per farsi insultare e si sono date appuntamento a Porta San Paolo alle 8.30 per deporre una corona d’alloro. «Non ci faremo dire da nessuno che siamo i nuovi fascisti», dice Noemi Di Segni, presidente dell’Unione comunità ebraiche. Antagonisti, studenti palestinesi e collettivi si troveranno nello stesso luogo, ma mezz’ora prima. Risultato, massima allerta per polizia e carabinieri. Il corteo ufficiale dell’Anpi parte poco distante, all’Ardeatino, intorno alle 9. A Porta San Paolo ci saranno anche quelli di Potere al popolo, che avvertono: «Continuiamo la nostra lotta per chiedere lo stop al genocidio del popolo palestinese, che resiste alle barbarie portate avanti da Israele e dell’imperialismo occidentale». Libero sfogo all’antisemitismo anche da altri partecipanti, come l’Associazione palestinesi in Italia, il cui esponente Mohammed Hannoun fa nomi e cognomi: «La senatrice Liliana Segre dubita che quello di Gaza si possa chiamare genocidio, perché c’è una esclusiva riservata alla loro lobby». Segre sfilerà con ogni probabilità a Milano e chissà se verrà fischiata. Milano è l’altra piazza calda, con l’ormai consueta polemica sulla Brigata ebraica. Al corteo, la Brigata ci sarà con uno striscione ecumenico: «Ora e sempre la democrazia si difende». A loro nome, Davide Romano ricorda: «Dal 25 aprile del 1945 a quello del 2024 la sfida è sempre la stessa: democrazie contro dittature. E noi, ieri come oggi, non abbiamo dubbi su da che parte stare». Peccato che nella democraticissima Italia toccherà loro sfilare protetti dai City angels. Nel capoluogo lombardo, i Giovani palestinesi si trovano in piazza Duomo, insieme ad altre organizzazioni arabe, a Potere al popolo, ai Carc, a varie sigle dell’antagonismo e ai sindacalisti di base. In un comunicato, non solo interpretano tutta la resistenza come «parte di un processo storico rivoluzionario che ha contrastato nei fatti il carattere imperialista e coloniale delle forze nazifasciste», ma la ritorcono contro il Pd e il centrosinistra. Questi partiti sarebbero colpevoli di appoggiare guerre e politiche «imperialiste e colonialiste» e «filosioniste». Nei giorni scorsi, l’Anpi provinciale ha deciso di far sfilare i palestinesi alla fine del corteo, a debita distanza dagli ebrei e dai dissidenti iraniani. L’importante è essere uniti dall’antifascismo. Poi, che ognuno urli gli slogan che vuole. Acrobazie anche dal sindaco, Beppe Sala, per il quale «c’è un po’ di controversia sullo striscione («Cessate il fuoco, ovunque», ndr), che però è una dichiarazione che fanno tutti, anche il Papa. Per questo ho invitato la Brigata ebraica a non contestare la cosa». Il risultato è che non porteranno il loro gonfalone e che Romano ha dovuto mettere i puntini sulle i: «Nello slogan di apertura del corteo c’è la richiesta del “cessate il fuoco”, ma nessun cenno alla liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas». E chissà quanti ebrei si sentiranno liberi di sfilare in una piazza calda come Torino, dove ci sono già state violenze nei giorni scorsi alla manifestazione dei centri sociali per la Palestina. I duri di Askatasuna promettono di tornare in scena alla loro maniera. Di fronte alla Liberazione, gli ebrei italiani si confermano meno liberi degli altri.
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare della Lega Roberto Vannacci durante un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles.