2022-02-17
Diciamo basta al regime del terrore
Grazie a Susanna Tamaro pure i lettori del Corriere hanno potuto scorgere uno squarcio di verità sulle follie del green pass. La scrittrice sostiene quello che raccontiamo da mesi: restrizioni e caccia ai no vax insensate. Ora via Roberto Speranza e la sua corte di presunti esperti.Susanna Tamaro scrisse quasi trent’anni fa un libro di successo che si chiamava Va dove ti porta il cuore. Ieri la scrittrice triestina ha scritto un articolo per il Corriere della Sera che si sarebbe potuto potrebbe intitolare «Va dove ti porta il Covid». O meglio: le conseguenze delle scelte del governo sulla vita degli italiani e sulla democrazia di questo Paese. L’intervento (anzi, «la lettera», come ha titolato il quotidiano di via Solferino con l’evidente intento di prenderne le distanze), avrebbe potuto essere tranquillamente pubblicato sulla Verità. In quanto, lungi dal sostenere che il Covid è un complotto demo-pluto-giudaico-massonico e che i vaccini servono per inserire un chip sotto pelle, l’articolo sposava in pieno gli argomenti di cui questo giornale si è fatto interprete, unico in tutta Italia. La scrittrice si è rivolta al presidente del Consiglio Mario Draghi per dire che il green pass limita l’Italia. Il suo è il racconto di una donna che, quando ancora Roberto Speranza spiegava che il coronavirus non sarebbe arrivato in Italia e dunque i concittadini potevano dormire sonni tranquilli e circolare liberi senza mascherine, si è presa il Covid. Ma poi, dopo essersi contagiata e aver superato indenne la malattia, con le sue scarpe rotte ha deciso di passeggiare nei boschi. E qui apriti o cielo: non essendo in possesso di green pass semplice o rafforzato, anche l’autrice di best seller ha dovuto fare i conti con la burocrazia sanitaria di quello scienziato (laureato in scienze politiche, dunque scienziato) di Speranza. E dunque, non essendo in regola con il Qr code, pur avendo acquisito anticorpi naturali e avendo un certificato verde scaduto da un solo giorno, la scrittrice è stata trattata alla stregua di un’appestata. Anzi, di un’intrusa. Il passaporto verde fuori tempo massimo non le ha permesso di acquistare un paio nuovo di pedule, né le è stato consentito di prendere il caffè al bar o di acquistare i francobolli. Il suo crimine? Fidarsi dello Stato che le aveva garantito che le persone vaccinate dopo agosto 2021 sarebbero state coperte per nove mesi. Invece, dopo un po’, il governo ha deciso di cambiare le regole, decidendo che il lasciapassare valeva solo un semestre. La Tamaro parla di caos e di improvvisazione, perché se una cabina di regia cambia da un giorno all’altro le regole significa che non si muove sulla base di certezze ma, appunto, improvvisa. E infatti, spiega che equiparare chi ha due dosi a un non vaccinato significa stabilire che il vaccino non garantisce niente, se non l’arroganza di virologi e incompetenti, due categorie che spesso coincidono. La Tamaro racconta di diabetici e cardiopatici sprovvisti di green pass inseguiti sui sentieri di montagna come pericolosi delinquenti. E illustra come la nostra società sia entrata in un pericoloso vortice, dove il no vax è equiparato al demonio che rifiuta il Salvatore, ossia il vaccino, un antagonista ormai divinizzato. «Ai giudizi spesso sprezzanti degli scienziati si è unito il coro degli esperti di rimbalzo, capaci di insultare chiunque esitasse a vaccinarsi con toni di livida rabbia, con toni che si concedono soltanto agli ubriachi dopo la notte».Secondo la Tamaro, il non vaccinato è diventato un capro espiatorio. Ma «la scienza però ci dice che, vaccinati e non vaccinati, ci scambiamo comunque allegramente il contagio». E allora, che senso ha il green pass, chiede la scrittrice, che rivolge la domanda direttamente al presidente del Consiglio, Mario Draghi. Già, che ragione c’è di continuare a «esasperare una situazione, spingendo verso reazioni sempre più estreme e irrazionali?». Alla fine, l’autrice di Va dove di porta il cuore ricorda al premier il gioco dell’infanzia: «Tana, liberi tutti». Il nostro Paese, scrive Susanna Tamaro, ha bisogno di lasciarsi alle spalle l’ossessione dei controlli polizieschi, gli obblighi, la paura, il dolore. Lei non lo dice, io sì: ha bisogno di lasciarsi alle spalle Speranza, Sileri, Locatelli, Ricciardi, Abrignani, Bassetti, Galli, Pregliasco. Ovvero, il comitato di salute pubblica che da due anni ha instaurato in Italia il regime del terrore e a cui applaudono ogni giorno le tricoteuse di giornali e talk show, felici di ghigliottinare sulla pubblica piazza chi osa contraddire le loro follie.
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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Terry Rozier (Getty Images)
L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.