
La regina della commedia erotica all'italiana è stata prima demonizzata dai tromboni di Botteghe Oscure e poi glorificata da Walter Veltroni. Due eccessi distorti. Edwige non è stata né feccia né arte, ma la spia del cambiamento antropologico degli italiani.Gli anni Settanta del secolo passato per l'Italia furono durissimi. Dal cinema tedesco venne la più abusata ed esatta metafora: anni di piombo. Dal cinema tedesco uscì anche un'attrice meravigliosa: Edwige Fenech. La giovane attrice, sul finire dei Sessanta, lavorò in alcune pellicole di produzione teutonica, un tantino scollacciate. Ma davvero un tantino. A Sergio Leone, vedendo certi sgangherati western tedeschi, venne lo spunto per realizzarne di grandiosi. Lo stesso accadde con la commedia erotica italiana. Innanzitutto si cominciò con la distribuzione, e con la fantasia dei titoli riadattati: Alle dame del castello piace molto fare quello, Mia nipote…la vergine, Il trionfo della casta Susanna, Desideri, voglie pazze di tre insaziabili ragazze, I peccati di Madame Bovary. Dalla distribuzione alla produzione il passaggio fu breve. L'astuto Sergio Martino intuì le potenzialità esplosive della Fenech, che si era messa in mostra - è proprio il caso di dirlo - nei film tedeschi. Cosicché la giostra cominciò a girare vorticosamente: Lo strano vizio della signora Wardh (1970), Tutti i colori del buio (1972), Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972). A questi film, un po' troppo cerebrali, mancava però qualcosa: la tinta comica. Pier Paolo Pasolini stava avendo successo commerciale con opere erotico-letterarie, furbe quanto sopravvalutate: Il Decameron (1971) e I racconti di Canterbury (1972). Se Pasolini se la tirava dall'alto, c'era anche un'altra via: buttarla in vacca. E così avvenne: Quando le donne si chiamavano madonne (1972), La bella Antonia, prima monica e poi dimonia (1972) e, soprattutto, Quel gran pezzo della Ubalda, tutta nuda e tutta calda (1972).La strada ormai appariva ben tracciata: la commedia erotica all'italiana, come il western, il giallo, il poliziottesco, era un genere definito e di sicuro successo. Edwige Fenech, del genere, ne era la regina. Giovannona Coscialunga disonorata con onore (1973), Innocenza e turbamento (1974), La signora gioca bene a scopa? (1974), L'insegnante (1975), La moglie vergine (1975), La poliziotta fa carriera (1976), La dottoressa del distretto militare (1976), La pretora (1976), La soldatessa al distretto militare (1977). Sono solo alcune delle innumerevoli commedie erotiche rese incandescenti dalla statuaria Fenech. Rovente era anche il botteghino. Si girava a tamburo battente per rispondere alle richieste del mercato. Il genere sfornava protagoniste più o meno appropriate. Ma lei, Edwige Fenech, regnava incontrastata.La critica intanto storceva il naso. I vecchi tromboni, perlopiù comunisti o fiancheggiatori di Botteghe Oscure, vibravano indignati resoconti. Spesso lasciavano ai loro vice il compito ingrato della recensione. Preti, magistrati, cattolici di ogni ordine e grado, democristiani giovani e vecchi, facevano sentire la loro indignata voce. Come siamo caduti in basso! Guardavano alle braghe spesso calate con malizia, ma non vedevano che il cinema italiano stava morendo, aggredito dalla retorica progressista, dagli sproloqui d'autore e dall'impegno. Meglio una sala vuota dove si proietta un film metafisico che una sala gremita per le tette al vento della Fenech? Il pubblico non aveva dubbi. Gli intellettuali, d'altra opinione, lanciavano strali all'indirizzo del popolo beota. Renato Pozzetto, operaio, pugile e militante del Pci in La patata bollente (1979), frequentando un po' troppo un amico omosessuale (Massimo Ranieri), inizia a trascurare la fidanzata. La giovane si toglie la maglietta, petto al vento: «Che cosa ha più di me?». In sala applauso fragoroso. Chi scrive non trovò la forza di battere pure lui le mani, e si pente per quell'atto di vigliaccheria.Gli anni Ottanta cominciavano a registrare la moria delle sale, ma Edwige continuava a spopolare. Poi, inevitabilmente, anche la commedia erotica si spegne. Edwige entra in film meno dozzinali: Il ladrone (1980) con Enrico Montesano, Io e Caterina (1980) con Alberto Sordi, Asso (1981) con Adriano Celentano. È con i Vanzina in Vacanze in America (1984). Ma la festa è davvero finita. Il cinema italiano, alto e basso, di nicchia e di cassetta, di lotta e di governo, d'impegno e d'evasione, non c'è più. Edwige cambia vita. Si sposa, si addentra nel mondo della televisione e della produzione. Si muove con la solita eleganza, mista ad astuzia. Ironica, intelligente, non sbaglia una mossa. È una donna bellissima. Alla regina della commedia erotica all'italiana era toccato un successo immenso. Mancava solo la consacrazione. Che arriva, postuma, dalla penna di Walter Veltroni. L'ex segretario della Federazione della gioventù comunista che non fu mai comunista (parole sue), appassionato di cinema, dedica un peana a Giovannona Coscialunga disonorata con onore. Contrordine compagni! C'eravamo sbagliati. Il cinema italiano non l'hanno rovinato le commediale scollacciate. La riscrittura del passato è sempre stata una specialità della casa comunista (e post-comunista). Non siamo mai stati fascisti (anche se lo siamo stati, con convinzione), non siamo mai stati comunisti (anche se lo siamo stati, con convinzione), non siamo mai stati contro poliziotte, dottoresse, vigilesse, liceali, Ubalde e Giovannone (anche se lo siamo stati, con convinzione). Lo sdoganamento veltroniano ha anticipato la moda del trash: recuperare, nobilitandolo, tutto ciò che puzzava di commerciale. La serie C, in altre parole, elevata al livello della Champions league. Errore di segno opposto. Pierino, er Monnezza, Bombolo, le infermiere con le giarrettiere, le soldatesse alle grandi manovre, le zie arrapate, non erano l'arte. Non erano il peccato originale ma neppure l'acqua santa. Negli anni Settanta l'Italia stava mutando pelle. Alla fine del decennio precedente era esplosa la rivoluzione sessuale. La commedia erotica, in fondo, rappresentava una spia del cambiamento antropologico degli italiani. Gli americani ebbero Gola profonda (1972), la via diretta al porno. Noi avemmo Quel gran pezzo della Ubalda, tutta nuda e tutta calda, prima di arrivare a Cicciolina e Moana. Invece di rallegrarsene, lo randellarono. Grave errore. Come è grave ritenerlo oggi uno stracult. Edwige Fenech è stata la vera eroina nazional-popolare degli anni Settanta, meglio di Linda Lovelace di Gola profonda, perché ha incarnato disinvoltamente l'allegro desiderio degli italiani di lasciarsi alle spalle la morale bigotta cattocomunista, sempre pronta a lodare le pubbliche virtù, dimenticando i propri vizi privati. E chi non brinda per i 70 anni della magnifica ragazza Edwige Fenech, come direbbe Amedeo Nazzari, «peste lo colga».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





