2023-08-10
Femminicidio? Iris è morta di immigrazione
Nel riquadro Iris Setti (Ansa)
Sindacati e sinistra provano a sviare l’attenzione sulla «violenza di genere». Per non ammettere che il brutale omicidio di Rovereto è stato commesso da un noto criminale africano che non doveva essere in Italia. Né tantomeno a piede libero.Normalmente, se si intende risolvere un problema, si cerca di comprenderne innanzitutto le cause. Ed è esattamente ciò che non si sta facendo riguardo al brutale omicidio di Iris Setti avvenuto a Rovereto. Questa povera donna è stata letteralmente massacrata a botte da Nweke Chukwuka, un criminale nigeriano violento e pericoloso, che prima ha tentato di stuprarla nel parco Nikolajewka della città trentina. Da un paio di giorni, sui quotidiani locali e sulle bocche dei politici circola una parola sbagliata e dannosa: femminicidio. Esponenti di partito e sindacalisti stanno provando con tutte le forze a venderla così, come un caso di «violenza di genere». Lo ha fatto ad esempio il Consiglio delle donne del Comune di Trento: «Due donne hanno perso barbaramente la vita nel giro di pochi giorni in Trentino. Siamo sgomente, addolorate, indignate», si legge in una nota. «Questo non è il tempo delle accuse, ma l’atrocità di quel che è accaduto ci impone di avviare una riflessione condivisa e pubblica, per evitare che simili episodi si ripetano». Secondo il Consiglio delle donne, dunque, l’assalto feroce a Iris Setti sarebbe paragonabile all’omicidio di Mara Fait, avvenuto a Noriglio, frazione di Rovereto.Martedì sera, Cgil, Cisl e Uil hanno fornito una rappresentazione dei fatti analoga e hanno organizzato un «momento di raccoglimento e di riflessione perché l’emergenza femminicidi è purtroppo sempre attuale».Dicono i sindacati che «i due femminicidi hanno avuto dinamiche differenti e per molti aspetti incomparabili, ma hanno anche qualcosa in comune: Iris e Mara sono le ultime vittime di una violenza che colpisce le donne e dalla quale il Trentino negli ultimi anni non è stato esente». A parere di Manuela Faggioni della Cgil, Annalisa Santin della Uil e Michele Bezzi della Cisl, «è importante manifestare per far sentire la vicinanza della comunità ai familiari di Iris e Mara e per tenere alta l’attenzione sulla questione dei femminicidi e della sicurezza più in generale, chiedendo di investire in prevenzione per evitare di veder ulteriormente allungare la lista delle vittime». Dunque le tre sigle hanno organizzato una commemorazione, approfittandone per snocciolare qualche bel discorso sulla violenza maschile, il patriarcato e simili. Ed ecco il punto. Mara Fait è stata ammazzata da Ilir Shehi Zyba, un operaio albanese che abitava vicino a lei. L’uomo, dopo averla uccisa a colpi di accetta, ha tentato di giustificarsi: «Erano tre anni che quella donna, Mara Fait, tormentava me e la mia famiglia, ogni giorno: mattina e sera. Insulti e minacce di mandare me in carcere e i miei figli all’ospedale», ha detto agli inquirenti. «Quando, venerdì sera, l’ho incontrata all’ingresso della palazzina mi ha urlato qualcosa come faceva sempre. Non ho capito cosa, so solo che poi non ho capito più niente. Non ricordo di averla colpita con l’accetta che avevo usato nell’orto ma quando mi sono ripreso da qual vuoto, da quel blackout, lei era a terra e sono andato dai carabinieri, convinto comunque di averla solo ferita». A prescindere dalla ricostruzione dell’assassino, è piuttosto evidente che in questo caso si sia di fronte al frutto marcio di tensioni fra vicini di casa, probabilmente durate anni. Vero: forse anche in questa circostanza si poteva agire prima, impedire che finisse così. Ma la storia di Iris Setti è radicalmente e dolorosamente diversa. L’ex dipendente della Cassa rurale di Rovereto è stata assalita in un parco. Il suo aggressore voleva violentarla, l’ha finita a pugni mentre lei gridava e chiedeva pietà. L’uomo che l’ha ammazzata in questo modo atroce non era un compagno tradito o un marito che non accettava di essere lasciato. Non era un vicino fuori di testa o, più in generale, un maschio oppressore rappresentante della norma eteropatriarcale. Era ed è, invece, un individuo che non dovrebbe semplicemente trovarsi in Italia. Coinvolto nello spaccio, sottoposto a obbligo di firma, notoriamente ed evidentemente pericoloso e pronto a fare del male. Infatti lo aveva già fatto numerose altre volte. Avrebbe dovuto essere cacciato perché non aveva diritto di rimanere qui, ma aveva fatto ricorso. Come ha dimostrato ieri Giacomo Amadori, l’omicida avrebbe dovuto essere in carcere da un anno. Lo avevano arrestato tre volte, era stato segnalato in quanto legato alla mafia nigeriana, aveva aggredito persone inermi e pure le forze dell'ordine. E allora, diteci, cosa c’entra il femminicidio? In quale tipica dinamica di violenza di genere rientra questo orrore? I vicini di Iris lo hanno detto bene: «Avrebbe potuto succedere a ciascuno di noi», hanno pienamente ragione. No, in questo caso non ha senso tirare in ballo il codice rosso o qualche balzana teoria sulla educazione emotiva. Qui c’è solo una cosa da dire: Iris Setti è morta di immigrazione, chiunque lo neghi sta soltanto cercando di occultare la realtà. Non è la prima vittima e purtroppo non sarà l’ultima. Poteva succedere ad altri, è successo a lei. Ma non sarebbe successo se il suo assassino si fosse trovato dove doveva: in galera o, ancora meglio, il più lontano possibile da qui.