2023-12-12
Felice flop di Cop28: avanti con gas e petrolio
La dichiarazione conclusiva sarà un pastrocchio di buone intenzioni e di equilibrismo politico: l’unica certezza è che i combustibili fossili non si toccano. A sorridere è solo la Cina, che continuerà a inquinare e a fare affari grazie alla tecnologia green (altrui).La Cop28, la conferenza sul clima che riunisce a Dubai i rappresentanti di quasi 200 Paesi e migliaia di persone tra lobbisti, attivisti, studiosi, si avvia oggi verso la conclusione con un sostanziale ed annunciato fallimento.Qualunque sarà l’esito delle ultime, febbrili trattative attorno al testo della dichiarazione finale, la stessa non conterrà il principio dell’uscita dagli idrocarburi, il tanto invocato phase out. Nella bozza di accordo circolata ieri si riconosce la necessità di «una riduzione profonda e rapida sia del consumo che della produzione di combustibili fossili in modo giusto, ordinato ed equo, così da raggiungere lo zero netto entro, prima o intorno al 2050, come raccomandato dalla scienza».Non eliminazione ma riduzione, dunque, ed una riduzione «profonda, rapida» ma anche «giusta, ordinata ed equa». Sembra una replica del celebre «ma anche» di Walter Veltroni, che tante soddisfazioni ha regalato alla satira negli anni passati. Una riduzione rapida difficilmente potrà essere ordinata, e se profonda difficilmente potrà essere giusta ed equa, ad oggi.Il documento visto ieri in realtà è ancora più debole di come traspare dalle parole utilizzate, per via della natura del testo che ne fa, come ha detto un anonimo funzionario europeo citato da Reuters, «un menu in cui puoi scegliere il tuo piatto a piacimento». In effetti, se fosse approvata in questa forma, nella dichiarazione si elencherebbero otto diverse opzioni che i singoli Paesi possono attivare per ridurre le emissioni. Tra le opzioni possibili, oltre alla riduzione dell’uso degli idrocarburi nella formula citata, vi sono quella di triplicare la capacità di energia rinnovabile e quella di raddoppiare l’obiettivo di efficienza energetica al 2030. Oppure ridurre gradualmente l’uso del carbone senza abbattimento e potenziare i sistemi di cattura e stoccaggio della CO2.Sulla bozza vi sono già diversi commenti. I rappresentanti delle piccole isole dell’Oceano Pacifico, Samoa e Isole Marshall, hanno protestato dicendo che «non andremo in silenzio nelle nostre tombe d’acqua». Steven Guilbeault, ministro dell’Ambiente del Canada, quarto produttore di petrolio e gas al mondo, ha detto che l’uscita dal petrolio «crea incertezza, ma non è un motivo per non farla».Oggi il negoziato cercherà di stringere su un testo condiviso che, come da regole della Conferenza, richiede l’unanimità dei consensi. Ma è molto difficile che si vada oltre questo punto.Dipenderà anche da quale sarà l’atteggiamento dei rappresentanti cinesi in questa ultima fase. La Cina, vale la pena ricordarlo, è da sola responsabile del 31% di tutte le emissioni di gas serra mondiali e ad oggi il 60% della sua produzione elettrica si basa sul carbone. Sinora, l’atteggiamento cinese nel corso della Conferenza è stato di ascolto e attesa. Il mese scorso Pechino e Washington si sono dette concordi nella necessità dello sviluppo delle fonti rinnovabili, cosa che potrebbe costituire la base di un accordo esplicito in sede di Cop28 sull’aumento della quota di energia rinnovabile. Vi sono però resistenze della Cina all’idea di una carbon tax, di cui si parla a Dubai e che ovviamente colpirebbe pesantemente la sua economia. Inoltre, la Cina è disinteressata alla tecnologia di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, non avendo siti adatti.Considerato il pragmatismo della Cina, la sua spinta per le fonti rinnovabili, che la avvicina alle posizioni di Ue e Usa, è molto utile a garantire a Pechino uno sbocco importante nei ricchi mercati occidentali da fornire con le sue materie prime per la transizione, di cui domina il mercato. Mentre preme per le rinnovabili pro domo sua, la Cina prosegue indefessa a bruciare carbone seguendo una propria traiettoria di decarbonizzazione, che si concluderà nel 2060. Forse.Peraltro, vi è da notare che se da una parte la Cina mette fretta per le rinnovabili ed è aperta alla eliminazione graduale degli idrocarburi, Russia, Iran e Arabia Saudita bloccano con decisione l’accordo su un testo che parli di eliminazione. Pare insomma che i Paesi Brics e affiliati giochino a fare il poliziotto buono e quello cattivo.Qualunque sarà il testo che uscirà dal frullatore mediatico della conferenza di Dubai, qualunque sarà l’artificio retorico che l’equilibrista-in-capo Sultan al-Jaber sarà in grado di spremere dai delegati, sappiamo già che mancherà l’essenziale.A prescindere dai proclami su iperbolici fondi miliardari, sappiamo già che nessuna dichiarazione finale di nessuna Cop dirà mai chiaramente quanto costerà tutto ciò, quanti diritti saranno lesi e soprattutto chi pagherà e come. Questo rimane il vergognoso non detto di tutto il discorso della transizione energetica, che, ancora una volta, rappresenta il tentativo di calare dall’alto politiche basate su un discorso emergenziale. Cose che abbiamo già visto e che non hanno fatto bene né alla democrazia, né all’economia, né alla libertà di individui e popoli. Se c’è qualcosa di insostenibile, in tutto ciò, è il paternalismo di certe élites, che considerano i cittadini dei minus habens cui la verità va nascosta.
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
Elbano De Nuccio, presidente dei commercialisti (Imagoeconomica)
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)