2025-01-18
L’America si sta già trumpizzando. L’Fbi chiude l’ufficio per l’inclusione
La sezione «pro diversità» liquidata poco dopo la vittoria elettorale del tycoon. Che però vuole vederci chiaro: «Perché proprio adesso? Il motivo è la corruzione. Conservino tutti i documenti e i registri».L’«effetto Trump» non si arresta. E travolge anche l’Fbi. L’altro ieri, il Bureau ha reso noto di aver chiuso, a dicembre, il proprio ufficio per la diversità e l’inclusione: una decisione che è stata significativamente presa poco dopo la vittoria elettorale del tycoon il quale, neanche a dirlo, ha picchiato duro. «Pretendiamo che l’Fbi preservi e conservi tutti i registri, i documenti e le informazioni sull’ufficio per la diversità e l’inclusione, ora in chiusura. Non avrebbe mai dovuto essere aperto e, nel caso, avrebbe dovuto chiudere molto tempo fa», ha dichiarato Donald Trump giovedì sera. «Perché chiudono un giorno prima dell’insediamento di una nuova amministrazione? Il motivo è la corruzione!», ha proseguito il tycoon, che nel frattempo si prepara per la cerimonia di insediamento, che avverrà all’interno del Campidoglio per il clima gelido previsto a Washington, così come accadde a suo tempo per Ronald Reagan.Tornando all’Fbi, l’ufficio di cui stiamo parlando era stato aperto nel 2012, ai tempi dell’amministrazione Obama. Era invece giugno 2021, quando Joe Biden firmò un ordine esecutivo volto a promuovere politiche di diversità e inclusione tra i dipendenti del governo federale. Una linea, quella dei dem, finita ben presto nel mirino dei repubblicani. A maggio dell’anno scorso, il presidente della commissione Giustizia della Camera, Jim Jordan, avviò un’indagine sulle politiche woke adottate dal Bureau. In particolare, inviò una lettera al direttore dell’Fbi, Chris Wray, mettendo in dubbio che l’assunzione degli agenti avvenisse secondo criteri meritocratici. «Le capacità di intelligence e di applicazione della legge dell’Fbi si stanno svilendo, perché l’Fbi non assume più i candidati migliori e più brillanti per ricoprire la posizione di agente speciale», scrisse.Dal canto suo, Trump non ha mai fatto mistero di voler procedere a un totale repulisti, sottoponendo le istituzioni statunitensi a un rigido spoil system, finalizzato sia a silurare i funzionari di osservanza obamiana sia a sradicare le politiche ultra-progressiste che si annidano negli apparati. Sotto questo aspetto, il presidente americano in pectore vuole mettere innanzitutto nel mirino il Pentagono, la comunità d’intelligence e il dipartimento di Giustizia, a cui l’Fbi fa capo. Non a caso, Trump ha messo alla guida della Cia e del Bureau due aspri critici delle rispettive istituzioni, come John Ratcliffe e Kash Patel. Soprattutto la designazione di quest’ultimo ha suscitato significativo scalpore. Guarda caso, durante l’audizione al Senato per la ratifica della sua nomina a procuratrice generale, Pam Bondi si è vista rivolgere molte domande dai dem proprio su di lui.A preoccupare l’Asinello sta il fatto che Patel è intenzionato a procedere con lo sradicamento del retaggio woke in seno al Bureau. Senza poi trascurare che i dem gli rimproverano rapporti a loro dire troppo stretti con lo stesso Trump. Quest’ultimo, fedele alla sua impostazione jacksoniana, non vuole rischiare, nominando qualche boiardo o funzionario di carriera. Nel 2017, aveva optato per Wray che, alla fine, non ha avviato alcuna riforma e che, anzi, ha irritato sempre di più i repubblicani. Interpellato su queste colonne lo scorso 4 gennaio, il direttore per il controterrorismo designato da Trump, Sebastian Gorka, aveva usato parole di fuoco contro il Bureau.«L’Fbi è diventata una forza di polizia politicizzata come la Gestapo, usata come arma da Joe Biden e dal Partito democratico per perseguitare il presidente Trump e le persone che hanno lavorato per lui», aveva dichiarato.D’altronde, i problemi del Bureau non si limitano alla questione woke. A maggio 2023, il procuratore speciale, John Durham, pubblicò un rapporto investigativo, in cui sostenne che l’indagine aperta dall’Fbi nel 2016 sulle presunte collusioni tra la campagna di Trump e Mosca non aveva sufficienti basi per essere avviata. Non solo. Quell’indagine sarebbe stata innescata da motivazioni di faziosità politica. Secondo il procuratore, alcuni agenti federali avrebbero infatti mostrato una «chiara inclinazione» a mettere il tycoon sotto inchiesta. Durham denunciò anche che, per ottenere i mandati di sorveglianza ai danni di un consigliere di Trump, gli agenti fecero leva su un documento largamente infondato senza averlo sottoposto ad adeguate verifiche. Si trattava del dossier redatto dall’ex spia britannica, Christopher Steele: un documento che si scoprì poi essere stato in parte finanziato dalla campagna di Hillary Clinton. A peggiorare la situazione stava poi il fatto che tra le fonti principali del dossier figurava Igor Danchenko: un soggetto che lo stesso Fbi aveva messo sotto indagine tra il 2009 e il 2011 per sospetti legami con i servizi russi.Ma c’è dell’altro. Durante l’amministrazione Biden, il Bureau è stato accusato di inefficienza, soprattutto in occasione dell’attentato di New Orleans. Dall’altra parte, i federali non hanno esitato a usare il pugno duro con gruppi sgraditi ai dem. Nel 2023, fu pubblicato un memo interno in cui l’Fbi prendeva di mira alcune organizzazioni di cattolici tradizionalisti, accusandole di estremismo. Peccato che le fonti usate per giustificare quella linea fossero apertamente faziose e inaffidabili. Tanto che, alla fine, i vertici del Bureau dovettero ritirare il documento. Era invece il 2022, quando i federali arrestarono con ingente spiegamento di mezzi Mark Houck: attivista pro life poi assolto al processo l’anno successivo. Insomma, forse Trump non ha tutti i torti a voler riformare pesantemente il Bureau. E ai suoi vertici hanno ormai capito che l’aria è cambiata.