2022-07-04
Gaetano Quagliarello: «Favorire le nascite è urgente come l’emergenza del clima»
Gaetano Quagliarello (Ansa)
Il senatore: «Lotto per le culle piene, l’aborto non è un diritto No alla società Eta Beta: testa enorme e corpo piccolino».Il senatore Gaetano Quagliariello, coordinatore di Italia al Centro, è un cultore dei cammini. «Sono di ritorno da quello francescano della marca. C’è bisogno di una società in cui la modernizzazione dall’alto si armonizzi con le spinte dal basso, che rivitalizzino i territori, specie quelli più fragili».Come legge la mossa di Luigi Di Maio?«Da ciò che accade, Karl Popper vedrebbe confermata la sua idea per cui, in politica, più di tutto valgono le conseguenze non volute delle azioni degli uomini».Si spieghi.«Il M5s è nato per ammazzare il sistema dei partiti. Ad ammazzarlo, invece, potrebbe essere la morte del Movimento».Un paradosso.«La scissione dei grillini sta ingessando ancora di più le coalizioni. A sinistra, il campo che già non era così largo si è ristretto ulteriormente. A destra, si rafforza l’illusione di poter vincere semplicemente sommando i risultati dei tre partiti tradizionali».E al centro?«Rischiano di trovarcisi scaraventate tutte le forze escluse da questo duplice irrigidimento. Così diventerebbe anch’esso uno spazio residuale».Peraltro, i movimenti centristi non si pigliano tanto tra loro…«È un’insidia. A sinistra, finché c’è il M5s, ancora più estremizzato perché privo dell’ala governista di Di Maio, non possono accasarsi Matteo Renzi e lo stesso Di Maio, i quali probabilmente vorrebbero. A destra, l’illusione di vincere senza un progetto di coalizione porta la Triplice a escludere tutti gli altri. Le forze che si trovano al centro, dunque, ci si trovano per necessità, non per libera scelta progettuale».Un «grande centro» di risulta?«Dev’essere inclusivo ma non un’accozzaglia di sigle, o un casting di nomi. Su questo, Carlo Calenda ha ragione. Per uscire dalla crisi di sistema va chiarito cos’è una coalizione, e ciò vale anche per il centro».E cos’è?«Non una somma di egoismi partitici, né un concorso per scegliere il più bello del reame. È un progetto di governo, nel quale alcune forze si ritrovano intorno a un nucleo di principi non negoziabili, prevalentemente in politica estera ed economia, conservando per il resto legittime sensibilità plurali».Ma questo centro ha i voti?«Ha un grande spazio che potrebbe tradursi in tanti voti. Alcuni possono arrivare dalla crisi delle altre due coalizioni. Gli altri solo se, dalla sommatoria di sigle e dal casting, si passa a un progetto».E il leader?«È evidente che ci deve essere. Ma viene dopo. Io prima voglio capire se c’è qualcosa al di là delle sigle. Se la politica è in grado di elaborare un progetto per tornare a governare dopo un periodo di supplenza».Ciò presuppone che Mario Draghi, che non è politico, esca di scena, come peraltro ha giurato?«Draghi è stato una riserva della Repubblica. Se la Repubblica avrà bisogno di nuovo di una riserva perché i «titolari» diserteranno, ci sarà di nuovo Draghi - o un nuovo Draghi. Il problema non è Draghi, è capire se la politica saprà rivendicare, con cognizione di causa, i suoi diritti».Con il Pnrr, le è stato messo il pilota automatico.«Non mi pare. C’è un enorme spazio di manovra».Dice?«La storia ci ha proposto un salto nell’ignoto. Anzi, un salto doppio, con un coefficiente di difficoltà incredibile: prima la pandemia, poi la guerra. Sedimentare questi cambiamenti oggi è il compito primario di una buona politica».E il Pnrr?«Ha riavvicinato l’idea di Europa a quella dei padri. Per una volta, alcuni cittadini europei hanno messo le mani nelle loro tasche per aiutarne altri. Anche se gran parte di questi soldi sono in prestito. La sovranità, uscita dagli Stati ma evaporata in assenza di un nucleo di potere politico condiviso che potesse recepirla, sembra aver trovato uno sbocco. Ma il punto è un altro».Quale?«Sapremo spendere questi soldi, come fece la generazione dei Luigi Einaudi con il piano Marshall, quando furono addirittura gli Alleati a chiederci di essere un po’ meno rigorosi? Sapremo reinterpretare il Pnrr alla luce delle difficoltà derivanti dalla guerra? E poiché questi soldi andranno restituiti, sapremo farli fruttare?».Con chi starete voi?«Noi di Italia al Centro possiamo essere due cose: o il centro del centrodestra, o il centrodestra del centro. La scelta dovrà dipendere dai contenuti. Ad esempio: chi vorrà affrontare priorità come la riforma del meccanismo del 110%, che tra norme mal partorite e abusi sta riempiendo le piccole e medie imprese di crediti che non si riescono a scontare? Chi è disponibile a fare una battaglia per riformare quota 100?».Lo vuol dire alla Lega?«So che è impopolare, ma ho una mamma di 87 anni che ha avuto una diverticolite. Voglio che sia curata bene dal Servizio sanitario nazionale. Ma so che per ottenere questo, io dovrò lavorare due anni di più, non due anni di meno. E poi, vogliamo parlare del reddito di cittadinanza?».Va abolito?«Per com’è adesso, sì. Anzi, voglio fondare un movimento di meridionali contro il reddito di cittadinanza, in una situazione nella quale, d’estate, persino a Vibo Valentia si trova ovunque la scritta: «Cercasi personale»».Dicono che il reddito di cittadinanza abbia scoperchiato la realtà di imprenditori che sottopagano i dipendenti.«E mica reagisci favorendo il poltronismo. Garantisci una politica dei salari e i dovuti controlli».Sono questo non percepisce l’interesse di nessuna coalizione?«No, non ancora. Italia al Centro si collocherà dove queste battaglie troveranno spazio».Al centrodestra, le amministrative sono andate così così.«Al primo turno, tirano i partiti. Quando, come agli ultimi ballottaggi, i partiti vengono meno e servirebbe una spinta comune, il centrodestra perde anche di fronte a una coalizione che non esiste, come quella tra Pd e M5s».Il popolo del centrodestra è diventato il popolo astensionista?«Nel Paese esistono sensibilità radicate ma devono essere suffragate da progetti che affascinino, o almeno reggano. L’elettore di centrodestra è individualista: se non è convinto, non va a votare».La sentenza della Corte suprema Usa ha riaperto il dibattito sull’aborto.«Io sono contro l’aborto. So che esiste la piaga dell’aborto clandestino e so che l’aborto non si cancella con leggi o sentenze. È un disvalore, non è un diritto individuale, può essere una pratica che va regolamentata. Perciò sono per non avventurarsi in modifiche di una legge come la 194, ma per applicarla più compiutamente. Quel che non si è detto è che la 194 si trova esattamente nel perimetro disegnato dalla sentenza americana».I giudici sono rimasti nell’alveo del relativismo liberale, ma ciò che ne consegue è che hanno fatto un passo indietro, passando la palla alla politica.«E infatti chi è dalla parte della politica dovrebbe rivendicare il ruolo dei parlamenti rispetto alle corti. È il paradosso di una sentenza che accresce il ruolo della politica, togliendolo ai tribunali».Qui vale l’opposto...«È stata anche colpa della politica. Proprio per evitare questa deriva chiedemmo, dopo Eluana Englaro, una legge sul biotestamento. E per questo, pur consapevole degli attuali rapporti di forza in Parlamento, io avrei fortemente voluto che in Aula si discutesse di suicidio assistito senza lasciare il campo alla Corte». Perché non si fa?«Perché una politica sempre più debole cerca un recupero su questi terreni che sono propri della coscienza, usandoli come pretesti per costruire nuove identità che non ci sono. Tolga questi temi e vedrà, ad esempio, che tra 5 stelle e Pd resta molto poco di comune. Io credo, comunque, che oggi chi ha una visione pro life - e, per questo, promuove una società vitale - piuttosto che trionfare per una sentenza dovrebbe mettere all’ordine del giorno battaglie diverse dall’aborto».Tipo?«La prima è la battaglia demografica, che ho provato a portare in Senato, chiedendo una sessione straordinaria insieme alla collega Annamaria Parente. Non possiamo costruire una società Eta Beta, con una testa grande sostenuta da un corpo sottilissimo. Regge nei fumetti, non nella realtà».La ricetta della sinistra è importare più migranti.«Ma il problema non lo risolvi così: innanzitutto perché è un problema globale, e poi i dati dicono che appena si insediano nel tessuto italiano, gli immigrati assumono il nostro stile di vita. E i loro tassi di prolificità crollano. Il problema della crisi demografica dovrebbe rivestire almeno la stessa importanza della crisi climatica».E poi?«Be’, questa legislatura ha raggiunto l’obiettivo dell’approvazione di una legge sulle malattie rare. Ne va dato merito a Fabiola Bologna, deputato di Italia al Centro, che su questo terreno ha speso le sue competenze. Ma dobbiamo spingere anche per l’attuazione della normativa sulle cure palliative, che cambierebbe completamente il dibattito sul suicidio assistito».In che modo?«Anche chi crede che quello sia un diritto individuale, converrà che la scelta è reale solo se la persona malata ha anche la possibilità di continuare a vivere con dignità».
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