2024-12-30
Fausto Biloslavo: «In Siria siamo al “liberi tutti” E c’è chi non deporrà le armi»
L’inviato di guerra: «Ho girato il Paese. Ora è quasi un protettorato turco, con migliaia di jihadisti in circolazione. Cecilia Sala va liberata in fretta, no a polemiche ideologiche».Fausto Biloslavo, inviato di guerra se ce n’è uno. Panorama ed Il Giornale le testate per cui lavori. Sei appena tornato da Aleppo in Siria. Giusto?«Ho fatto mille e passa chilometri. Ho girato tutta la Siria». Come è cambiata? Anzi mi correggo. Come sta cambiando la Siria dall’ultima volta che l’hai visitata?«Al Jolani si presenta col volto conciliante del “talebuono”. Spero che abbia trovato l’illuminazione sulla via di Damasco. Che, sia chiaro, non è stata conquistata manu militari ma con un accordo sottobanco. Spero lasci da parte lo Stato islamico, la sharia ed il califfato che vediamo nella città di Idlib».Speri…«La Siria è una realtà variegata. Ci sono tante forze. Multireligiosa, multietnica e multiculturale. Ho rincontrato nel mio ultimo viaggio alcuni uomini delle forze curde che controllano due quartieri di Aleppo. Ci sono i drusi nella roccaforte a sud vicino alla Giordania: As-Suwayda. In molti qui dicono apertamente che se dovessero scegliere fra Stato islamico ed Israele opterebbero per quest’ultimo. Ci sono i cristiani che ovviamente porgono l’altra guancia ed hanno trascorso un Natale di speranza e di paura. C’è la minoranza sciita storicamente vicina ad Assad e radicata nelle roccaforti alawite. Ci sono file chilometriche fuori dalle caserme. I soldati ed i poliziotti prima vicini al dittatore deposto depongono le armi nella speranza di un salvacondotto, se non di poter essere addirittura arruolati nelle nuove forze di sicurezza. C’è anche però chi non ha intenzione di abbandonare le armi. Uomini che si sono scontrati con le nuove forze di sicurezza del governo. Uscirò con un ampissimo reportage su Panorama il prossimo anno. Insomma, speriamo che i talebuoni prendano il posto dei talebani».Parlavi di un accordo sottobanco. Vittoria netta della Turchia? «Il primo vero vincitore in assoluto è il sultano Erdogan, che da anni proteggeva la sacca jihadista dove era stato instaurato di fatto il Califfato con le bandiere bianche e le scritte del Corano. Il nuovo ambasciatore turco circondato dagli uomini dell’intelligence turca alloggia al Four Season, il miglior albergo di Damasco. La Turchia aveva interrotto dal 2011, al tempo delle primavere arabe, le relazioni diplomatiche con la Siria. Soldati turchi in borghese sono ad Aleppo dove è stato nominato il nuovo governatore che viene dai Fratelli musulmani. Curdi e cristiani lì presenti lo vedono come fumo negli occhi. Il nuovo ministro degli Esteri, insediato ad Istanbul, è l’unica donna al governo. Ed ha doppia cittadinanza turca e siriana. Insomma, se la Siria non è un protettorato turco poco ci manca». C’è un secondo vincitore?«Vittoria storica per Tel Aviv. Finisce dopo 53 anni il regime di Assad, arcinemico di Israele, contro cui ha combattuto innumerevoli guerre. Vittoria a doppio taglio. Israele che di fatto ha lasciato mano libera ai ribelli. Ma ha bombardato caserme e depositi pur di lasciare meno materiale bellico possibile ai nuovi arrivati. Israele si accontenta volentieri di una Siria parcellizzata dove i drusi ed i curdi sono alleati naturali. Un divide et impera di britannica memoria».Una pax israeliana, per dirla alla Toni Capuozzo«Considera che è definitivamente spezzata la dorsale della mezzaluna verde che univa Iran, Siria, Libano e Mediterraneo. Un tassello in più per questo nuovo ordine. Obiettivo di Netanyahu ma anche di Trump. Il cui vero obiettivo è ora l’Iran».La Russia sconfitta? O ritirata strategica?«Le grandi potenze hanno giocato un ruolo. Gli americani sono stati a guardare bombardando solo l’Isis, affinché non alzi troppo la testa, anche se ormai siamo al “liberi tutti”. Migliaia di miliziani jihadisti girano liberi per il Paese. Ne ho incontrati tanti. La Russia non ha appoggiato militarmente Assad come avvenne nel 2016. I ribelli sono entrati fino a Damasco come coltello nel burro. I russi danno per persa la loro base aerea dentro la Siria ma non quella navale sul Mediterraneo. Non penso che i russi abbiano sacrificato Assad a cuor leggero garantendogli rifugio a Mosca. Credo ci sia un accordo con gli americani mediato da Erdogan. I risultati li vedremo nel negoziato sulla fine della guerra in Ucraina. I russi mollano qualcosa in Siria per ottenere qualcos’altro. Sulla fine di una dinastia che è durata 50 anni si sono giocate tante partite regionali ed internazionali». L’Iran è in una posizione di grossa difficoltà. E l’arresto di Cecilia Sala, giornalista del Foglio, lascerebbe intravedere un tentativo da parte di Teheran di rompere il fronte occidentale. Sanno che l’Italia sui connazionali storicamente tratta. «Bisogna portarla sana e salva a casa in una maniera o nell’altra. E soprattutto il prima possibile. Prima che si insedi la nuova amministrazione alla Casa Bianca. Prima che gli israeliani possano colpire l’Iran di nuovo. Anche perché un regime come quello di Teheran non crolla con due bombardamenti dall’esterno. Ma la rivolta deve partire dall’interno. Prima che inizi tutto questo, Cecilia va liberata. Credo che il suo arresto sia una rappresaglia contro l’arresto avvenuto all’aeroporto Malpensa del tecnico svizzero-iraniano Abenini su mandato di cattura americano. Colpevole di avere, secondo le accuse, favorito l’aggiramento delle sanzioni contro i pasdaran che avrebbero in tal modo avuto favori sul commercio di tecnologia necessaria alla produzione dei droni. Il fatto che Cecilia avesse fatto dei podcast equiparando la caduta della Siria a quella del crollo del muro di Berlino credo sia un pretesto. Le avrebbero ritirato il visto subito, volendo». Lo hai scritto…«In genere Teheran per queste operazioni prende di mira occidentali con doppio passaporto, uno dei quali iraniano. Questa è una novità come lo era però del resto il caso della Piperno. Blogger e viaggiatrice italiana arrestata e liberata l’anno scorso. Cecilia va portata via dal carcere di Evin al più presto».Talebani dell’accoglienza, edito da Signs book, è il saggio con cui sei attualmente in libreria. Destabilizzata la Siria, assisteremo a nuove ondate migratorie difficilmente controllabili?«C’è chi tornerà in Siria soprattutto dal Libano. Ma non sappiamo cosa accadrà da qui a marzo. Con la scrittura di una nuova Costituzione. Governeranno i talebuoni o i talebani? In questo secondo caso verrebbero al pettine nodi che porterebbero ad emigrare fasce consistenti di popolazione. Penso ai 300.000 cristiani. Ridotti rispetto al massimo storico di un milione e mezzo. Gli alawiti - il 10% della popolazione - che con Assad stavano bene perché erano il loro clan, fuggiranno. Ma anche molti sunniti che si erano abituati a vivere in uno Stato laico e multiconfessionale potrebbero andarsene. La caduta del regime ha veramente colto tutti di sorpresa. È come se la Siria avesse vissuto in appena undici giorni i nostri 8 settembre e 25 aprile».Ultima curiosità. Da inviato di guerra quante volte hai rischiato la pelle?«Ho l’imbarazzo della scelta».Quali episodi ricordi con più angoscia?«Libano ‘82. Una camionetta dell’esercito colpita da un razzo salta in aria. Riesco a fotografarla. Un giovane soldato sopravvissuto mette il colpo in canna e stava per giustiziarmi. Mi giro e gli faccio vedere la scritta Italian Press scritta anche in arabo. Assedio a Beirut nel 1982. Proiettili, traccianti e colpi di mitragliatrice. Nei Balcani ricordo con angoscia gli agguati dei serbi. In Ucraina i bombardamenti a pochi metri di distanza nel bunker accanto al mio ed i soldati insanguinati e morti. Potevo essere al loro posto. Mi sono trovato tante volte di fronte alla morte. Devi fare alleata la tua paura. Gestirla. È il vero campanello di allarme. Che ti consente di portare a casa la pelle. E quindi anche il pezzo. Senza questa mia attività di reportage sul campo non avrei potuto scrivere quest’ultimo mio libro. Vi descrivo da dove partono gli immigrati. Merce umana che crede nell’eldorado occidentale che non esiste. Sono nelle mani di sfruttatori senza scrupoli i cui traffici sono alimentati dalle discussioni sulle porte aperte imbastite dai talebani dell’accoglienza. Mentre in un Paese civile degno di questo nome si entra solo regolarmente e col passaporto».
Alan Friedman, Cathy Latorre e Stephen King (Ansa)