2024-01-28
I fascisti immaginari agitano la «Repubblica»
Giorgia Meloni (Getty Images)
Pur di attaccare il governo, il quotidiano degli Elkann mette assieme la ricorrenza della Shoah col premierato. Ma le condanne del nazifascismo di Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana mandano in tilt la redazione. Da cui pure un Agnelli prende le distanze.Il presidente grandi taglie. Ieri mattina Sergio Mattarella si è svegliato, si è alzato, ha fatto colazione e indossando la giacca di ottima fattura ha scoperto che era di due numeri più abbondante. Merito dei sarti de la Repubblica che avevano trascorso la giornata a tirargli i lembi, ad aggrapparsi alle maniche, ad asciugarsi le lacrime nella fodera. Il suo discorso in vista del Giorno della memoria conteneva numerosi spunti e profondi, ma ai sarti col centimetro a penzolo ne interessava solo uno: il doveroso passaggio antifascista. Per destoricizzarlo, frullarlo, estrapolarne il succo e gettarlo in faccia a Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, lì a qualche metro dall’oratore del Quirinale.«Silenzi e imbarazzo, gelo al richiamo antifascista», titolava il quotidiano, sicuro di avere visto agitarsi la coda di paglia del governo di Salò, con Telesio Interlandi sottosegretario alla Cultura. Tommaso Ciriaco picassianamente dipingeva: «Il collo della premier pende verso sinistra, quello del presidente del Senato a destra. I busti disegnano una V che non trema, innaturale ma perfetta. Quanti silenzi, a destra». Brutti e cattivi perché non esibiscono una volta di più la patente democratica ai doganieri del pensiero. Quanti silenzi. Così tanti che il quotidiano di largo Fochetti ha rischiato di nascere vecchio.Era da poco arrivato nelle edicole quando Meloni, parlando del museo della Shoah, diceva anzi sillabava: «È un’istituzione che si occuperà di tramandare la memoria dell’Olocausto e che siamo certi darà un contributo determinante affinché la malvagità del disegno criminale nazifascista e la vergogna delle leggi razziali del 1938 non cadano nell’oblio». A questo punto la V più innaturale era diventata quella del mento del cronista, destinato ad appuntirsi anche di più quando La Russa dichiarava: «La Shoah è senza ombra di dubbio il male assoluto. C’è bisogno di una memoria condivisa che ripudi con forza ogni forma di odio, di razzismo, di antisemitismo, di antisionismo». Obiettivo difficile perché alla sinistra priva di un’idea di Paese tutto ciò fa dannatamente comodo. Il mento a V toccava definitivamente terra sulla denuncia di Lorenzo Fontana, presidente della Camera: «Il Giorno della Memoria richiama le istituzioni a non dimenticare mai l’orrore della ferocia nazifascista».Dichiarazioni nette, definitive, di un esecutivo democratico e conservatore che, si voglia o no, ha la legittimazione costituzionale e la maggioranza nel Paese. Ma alla polizia del karma non basteranno, i fantasmi neri sono la sola testimonianza della sua esistenza in vita. Scrive Alain de Benoist: «Come gli antisemiti vedono ebrei dappertutto, i nuovi inquisitori vedono fascisti dappertutto. Si chiama paranoia cospirativa». Ed è maccartismo in purezza di segno contrario: poiché in America il comunismo non era quasi da nessuna parte, se ne deduceva che fosse ovunque.Identico meccanismo scatta nell’editoriale di Massimo Giannini - stesso giornale, stesso refrain -, che furbescamente salta con un pallonetto alla Jannik Sinner la melassa con il fez («nessuno pensa che le camicie nere stiano per marciare su Roma», ma avverta per favore qualche collega) per atterrare su qualcosa di più moderno e pruriginoso: il culto del capo. Lui chiama così la proposta di legge meloniana dell’elezione diretta del premier e ne modella l’intento come se fosse un tentativo di approdare a un fascismo 2.0. Scrive l’ex direttore de La Stampa osservando il panorama dalla pila delle rese: «Non è questo il virus che ammalia il governo, ammorba la politica, contagia il Paese e contamina l’opinione pubblica? La voglia di uomini e donne soli al comando prepara il terreno alla svolta autocratica». Molto pittoresco. Diceva mia nonna: se non è zuppa è pan bagnato.Evidentemente a la Repubblica l’unica «capocrazia» non solo tollerata ma adorata è quella dell’editore pallido, trasformatosi negli ultimi giorni in un Re Sole da proteggere dalla premier che ha osato affermare ciò che il 99,9% degli italiani pensa: mentre in redazione erano a caccia di fascisti immaginari, John Elkann vendeva l’industria dell’auto italiana ai francesi. Sono lontani i tempi in cui Eugenio Scalfari definiva Giovanni Agnelli «l’avvocato di panna montata». Con il risultato che perfino la real casa prende le distanze da tanta piaggeria.Diceva ieri Lupo Rattazzi, figlio di Susanna Agnelli, al Foglio: «Questi che fanno i martiri della libertà di stampa e che vogliono far credere che la Meloni voleva mettere loro un bavaglio sono totalmente ridicoli. Il famoso titolone L’Italia in vendita era semplicemente ridicolo e certamente non una posizione con cui, a mio avviso, una famiglia come la nostra vuole essere associata. Peraltro l’alienazione di quote statali è sacrosanta per contenere il debito pubblico, dovuto anche a scellerate misure dei precedenti governi». Quelli davanti ai quali Giannini faceva esercizio di genuflessione scambiandolo per pilates.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.