2025-08-14
La fine del fascismo ha portato via con sé un ideale di uomo che si ispira a Sparta
Maurice Bardèche (Getty Images)
Col saggio eretico di Bardèche che torna il libreria si ricomincia a parlare di «nobiltà di sangue» e sacralità, ormai andate perseTorna in libreria il saggio di Maurice Bardèche, Sparta e i sudisti, del lontano 1969, a cura di Franco Freda per le edizioni di Ar con il titolo Fascisti si nasce. È un libro assolutamente scorretto dal punto di vista politico e morale: l’autore si dichiara fascista e tale restò fino alla morte (1998).Leggere il libro di un autore fascista dopo la fine del fascismo è un’esperienza che consiglio, lasciando ovviamente al lettore di darne un giudizio (premesso che il contesto è radicalmente diverso dal nostro attuale, essendoci ancora l’Unione sovietica e una viva ideologia marxista). Significa infatti entrare in un mondo estraneo al modo di pensare e di sentire della intellettualità contemporanea (l’ultimo capitolo, «Nel regno di Utopia», nonostante intuizioni brillanti, specie contro l’impero della pubblicità, è però un discorso che si avverte in gran parte superato).Maurice Bardèche non fu un fascista qualunque: professore colto, dalla scrittura elegante, è autore di saggi importanti sulla letteratura francese, da Stendhal a Balzac, da Proust a Céline. Scrisse con Brasillach una Storia del cinema nel 1936. È anche autore di una Storia della donna tradotta in italiano. Fu un fascista di quell’epoca dei fascismi europei che ha prodotto sia il fascismo sia l’antifascismo. La lettura dei libri politici di Bardèche è fondamentale per comprendere quella faccia del fascismo che nulla ha a che vedere con la vulgata antifascista; è una dimensione di pensiero che ovviamente può essere rifiutata, ma che a mio avviso merita di essere conosciuta anche per capire un’epoca tramontata, che resta però tutt’altro che una «parentesi» della storia. Il fascismo è stato un movimento produttivo, se si vuole tutto in negativo, ma potente nella storia d’Europa.Che cos’è il fascismo per Bardèche? Lasciamo da parte le sue vicende personali. Non ci interessa nemmeno la sua attività postbellica quale fondatore di una rivista importante per la destra europea: Défense de l’Occident. Vogliamo capire due cose: perché Bardèche fu fascista e lo rimase fino alla morte, e cosa significava per lui essere fascista.Soprattutto: «fascisti si nasce», secondo la proposta di Freda? Per Bardèche, a mio avviso, ciò è vero solo in maniera contingente. Non è fascisti che si nasce; semmai si nasce «con una certa nobiltà nel sangue», come scrive egli stesso. Come a dire che il mondo non è fatto di uguali, ma di persone gerarchicamente disposte. Il concetto di gerarchia è scomparso e ciò non a caso, perché la sua etimologia riporta al sacro, quel sacro che la modernità ultima ha dissolto. Ma il sacro è stato per millenni una dimensione sostanziale della vita umana, sicché la sua perdita non è solo una diminuzione, ma una mancanza costante che determina l’impoverimento dello stesso essere uomo.Essere uomo: Bardèche non poteva immaginare, se non negli ultimi anni della sua vita (ma qualche cenno mordace già qui), l’avvento dell’uomo generico non nel senso di Marx, ma in quello della desessualizzazione: l’essere uomo o donna è stata per millenni la prima caratteristica dell’apparire umano. Proprio quella forma (in senso classico) è stata dissolta e con essa tutte quelle altre caratteristiche - sostanziali perché formali - dell’essere, a partire, per esempio, dal senso dell’onore, che fino a tutto l’Ottocento regolava persino la nobile arte del duello. «Fascismo», in effetti, non è tanto per Bardèche una dottrina politica, quanto un lemma che racchiude una nostalgia: certo in lui la nostalgia per il mondo crollato nel 1945, ma anche la nostalgia per un tipo d’uomo scomparso con la fine dei regimi autoritari e che non si identifica necessariamente con il fascismo. Si tratta di qualità definite virili, termine osceno a pronunciarlo oggi, ma sono le qualità che hanno fatto la storia del mondo e la cui mancanza ha ridotto la storia stessa a una mera partita ragionieristica. Eppure, «nulla di grandioso è inscritto nella storia degli uomini che non sia dovuto, in tutto o in parte», alle «voci del sangue» (p. 30). Per questo Sparta «non è che una forma, un modo di vivere, un’attitudine di fronte all’esistenza» (p. 98).Bardèche condanna il «pedantismo progressista» che ha pensato di poter fare a meno delle qualità istintive dell’uomo, che sono la sua difesa contro i pericoli e i rischi del mondo esterno. Il «progressismo» non è che l’astratto normativismo, la voglia di essere quel che non si è ma si desidera essere per pregiudizio intellettualistico. Il risultato è però l’uomo gregario, senza qualità, particella della civiltà funzionale, ovvero di un sistema dove non conti nulla, «elemento intercambiabile, pezzo di precisione uscito da uno stampo di produzione in serie» (p. 36). La razionalizzazione dell’uomo si traduce nella sua perdita di razionalità. L’esperienza viene cancellata in nome della omologazione delle coscienze individuali alla grande Coscienza universale e ai suoi portavoce non autorizzati. In tal modo si cancella lo stesso uomo in quanto soggetto di storia, di istinto e di senso comune.Appare evidente, approfondendo la lettura, che il fascismo di Bardèche è un fascismo ideale, forse persino immaginario, sia pure identificato con il fascismo da lui vissuto, negli anni Trenta (tra i «dissidenti dell’Action Française»), poi della collaborazione e del regime di Pétain. Una idealità che non a caso si identifica con alcune esperienze storiche esperite da quelli che egli definisce i «sudisti» (catari, ghibellini, per esempio), ovvero l’altra faccia o forse l’elemento integratore dell’essere «spartani»: sudisti per eccellenza i confederati americani, la cui sconfitta è giustamente giudicata «come una delle maggiori catastrofi dei tempi moderni» (p. 191) Con la vittoria degli Yankees crolla un mondo e viene abrogato un modello di uomo, appunto il «sudista», cui probabilmente Bardèche propende più che per Sparta: essere «sudista», infatti, «significa prima d’ogni altra cosa rifiutare di essere plasmati da una ideologia» (p. 107).C’è un dichiarato giacobinismo in Bardèche, che è appunto il suo elogio di Sparta non come forma aristocratica di governo, ma come «una normativa idea del mondo, un’esemplare visione dell’uomo» (p. 83) che non tutti gli storici del fascismo forse potrebbero condividere, ma in fondo è l’idea di quella «virtù» che Robespierre riteneva essenziale in politica e che oggi è scomparsa, soffocata da ciò che Bardèche definisce «il pedantismo progressista», che «ci impone una configurazione astratta e razionalistica dell’essere-uomo, da cui deduce il credo che, logicamente, va imposto a tutti» (p. 30), che rende l’uomo gregario della civiltà funzionale, suddito di una mera «coscienza collettiva» che aborre la forza in nome di un astratto individuo inteso come «una litania di pretese» (p. 88).Sparta è così l’arbitrio che giustamente si oppone alla divisione della città (sicché non si capisce il suo favor per Antigone, in ciò per la verità sulle orme di Maurras): «Nulla, infatti, ha da prevalere sul Bene della città» (p. 95). Così come i sudisti sono «le “guardie bianche” che non capitolano davanti al senso della storia, che non si convincono di alcun senso della storia» (p. 107). Non a caso «il più grande sapiente sudista» fu Confucio, il quale credeva nell’ordine immutabile di tutte le cose. «Sudisti sono i riti, forme di consacrazione della natura nella sapienza» (p. 126), donde «la convinzione profonda, biologica dei sudisti che una particolare razza di uomini non può scomparire senza sconvolgere l’armonia della natura» (p. 158).In fondo, per Bardèche il fascismo è soprattutto il movimento politico e ideale che ha accompagnato con funzioni di cathèchon l’Europa alla sua fine, dopo due guerre mondiali. Certo, egli fu un sopravvissuto del fascismo e quindi poteva ancora dirsi fascista, cosa che oggi non ha più senso se non nella vulgata antifascista (che si inventa un nemico fascista al solo scopo di darsi una legittimazione politica che oramai non ha più), ma ciò che conta non è tanto (o non solo) l’etichetta politica, quanto il modo di essere e di vivere al di là delle convenzioni «democraticamente» imposte. Non a caso, per Bardèche quel che conta «per l’avvenire, non è la risurrezione di una dottrina o di una particolare forma di Stato, tanto meno di un caporalismo e di una polizia, ma il ripristino di una determinata concezione dell’uomo» con le qualità di una volta: «il senso dell’onore, il coraggio, il vigore, il rispetto della parola data, la pubblica responsabilità» (p. 26). Sono qualità «fasciste»? Non credo: sono qualità che si insegnano? Non tutte, ma l’esempio e l’educazione contano. Ecco perché credo che fascisti non si nasce e oggi nemmeno più si può diventare; tuttavia la perdita di quelle qualità, giacobine, fasciste o meno che fossero, è stata, almeno da un certo punto di vista, una perdita per tutta l’Europa. Temo che ci vorranno molti anni perché tornino a essere vissute.
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(Totaleu)
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