
La sinistra che a parole vuole il cessate il fuoco tifa contro il negoziato di Trump e spera che l’Unione rompa con gli Usa. È la falsità di chi critica il compromesso ma non propone alternative, perché non esistono.Un fantasma si aggira per l’Europa: è l’ipocrisia di chi vota a favore dell’invio di armi all’Ucraina, ma dichiara di essere contrario al loro impiego, di chi dice di volere la pace, ma se la fa Donald Trump preferisce la guerra, di chi vuole un’Italia autorevole e rispettata nel mondo, ma se a guidarla è Giorgia Meloni allora è meglio diventi isolata e sorvegliata speciale. A rappresentare nel migliore dei modi l’atteggiamento tartufesco di alcuni esponenti politici ci ha pensato Brando Benifei, fino a qualche tempo fa capo delegazione del Pd a Bruxelles e a tutt’oggi uno degli esponenti di spicco del partito di Elly Schlein. In un lungo post su X ha cercato di spiegare l’inspiegabile, ovvero la sua posizione e quella di altri suoi compagni sulla fornitura all’Ucraina di missili a lungo raggio. A Bruxelles si è dichiarato contro l’invio di armi che possano colpire il territorio russo, salvo poi votare a favore della risoluzione che lo consentiva. Sui social ovviamente non gliel’hanno perdonata e quando l’onorevole ligure ha provato a giustificare l’ondivaga posizione con una serie di supercazzole degne del Conte Mascetti è stato uccellato dalla Rete. Ma negli ultimi giorni, in particolare da quando Trump ha aperto le trattative per giungere al cessate il fuoco in Ucraina, sono in tanti a sostenere l’insostenibile, in particolare dentro il Pd e fra i 5 stelle. I compagni vorrebbero che l’Italia si dissociasse da Trump. Anzi, a volte si ha la sensazione che i democratici sognino un vero e proprio strappo con gli Stati Uniti, allo scopo di fare fronte comune con un’Europa che è divisa su tutto, ma unita soltanto dall’incapacità di decidere. Rompere con Trump e la sua iniziativa per mettere fine alla guerra ovviamente è possibile, ma nessuno, in particolare a sinistra, sa dire per fare cosa. Qual è l’alternativa alla proposta del presidente americano? Continuare la guerra? Oppure imporre a Putin e al suo omologo di Washington di far sedere al tavolo delle trattative anche l’Ucraina? Nel primo caso, l’ostacolo principale è dato dalla stanchezza delle truppe di Kiev, decimate da tre anni di sanguinose battaglie e dalle diserzioni a decine di migliaia. Come si può continuare un conflitto se scarseggiano i soldati? Nessuno sa rispondere. Volodymyr Zelensky dice di aver bisogno di altri 800.000 uomini: e chi ce li mette? L’Europa no, perché pur essendo in guerra con Mosca non intende dichiararla e tanto meno ha voglia di inviare al fronte i propri militari (e infatti Emmanuel Macron, che ogni tanto minaccia sfracelli, è rimasto solo con la sua proposta di un corpo di spedizione europeo). Anche riguardo alla seconda possibilità, ovvero ottenere una pace giusta, come la chiamano quanti sognano un negoziato senza fare i conti con le forze sul terreno, la domanda cui inevitabilmente sfuggono è «come». Si può costringere Putin ad accettare una pace che non umili gli ucraini? Se a fargli mollare la presa non sono riusciti tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti, miliardi di sanzioni, un mandato di cattura per crimini di guerra e un isolamento internazionale, che altro si può fare? Ovviamente, di fronte alle considerazioni banali di chiunque abbia un minimo di conoscenza della situazione, il fantasma dell’ipocrisia non fa i conti con la realtà. Vale a dire che non risponde nel merito, ovvero sulla soluzione possibile, ma si limita a dire che non si può darla vinta alla Russia, come se si trattasse di un film di Hollywood in cui, per esigenze di copione, i cattivi non possono trionfare.Sì, va bene, abbiamo capito che la Russia è l’impero del male. Anzi, forse noi lo avevamo capito prima, quando ancora c’era chi invece considerava Mosca un possibile partner commerciale affidabile e gli leccava gli stivali. Ma dopo che si è stabilito con un ritardo di 20 anni che Putin è un dittatore e non un fine democratico, l’alternativa qual è? Chiedere agli ucraini di continuare a farsi massacrare perdendo ogni giorno qualche chilometro della loro terra? Creare in tutta fretta un esercito europeo per mandarlo a combattere ai confini dell’Ucraina? Pretendere che parte dei territori conquistati dai russi siano restituiti a Kiev in cambio di un buffetto? Oppure dichiarare guerra alla Russia? L’ipocrisia però ha raggiunto il massimo da quando Trump ha cominciato a parlare di cessate il fuoco. Proposta che a quanto pare a Schlein e compagni non piace. Che cosa si potrà fare però se il presidente americano decidesse di tirare diritto? «Bisogna sostenere l’Europa», rispondono compatti da Largo del Nazareno e dintorni. Con quale obiettivo? Nessuno sa dirlo. «Così l’America abbandona gli alleati», è la risposta. E allora? Dichiariamo guerra agli Stati Uniti perché non ci sentiamo più protetti dall’ombrello a stelle e strisce? Silenzio di tomba. L’ipocrisia regna sovrana, così come lo sconcerto dell’opinione pubblica che segue le giravolte di pensiero di chi non ha un pensiero.
Jeffrey Epstein (Getty Images)
Pubblicati i primi file. Il trafficante morto misteriosamente in carcere disse: «Sono l’unico in grado di abbattere Trump».
La torbida vicenda che ruota attorno alla controversa figura di Jeffrey Epstein è tornata di prepotenza al centro del dibattito politico americano: nuovi documenti, nuovi retroscena e nuove accuse. Tutte da verificare, ovviamente. Anche perché dal 2019, anno della morte in carcere del miliardario pedofilo, ci sono ancora troppi coni d’ombra in questa orribile storia fatta di abusi, ricatti, prostituzione minorile, silenzi, depistaggi e misteri. A partire proprio dalle oscure circostanze in cui è morto Epstein: per suicidio, secondo la ricostruzione ufficiale, ma con i secondini addormentati e l’assenza delle riprese delle telecamere di sicurezza.
Nel riquadro, Giancarlo Tulliani in una foto d'archivio
Requisiti una villa, conti correnti accesi in Italia e all’estero e due automobili, di cui una di lusso. I proventi di attività illecite sono stati impiegati nuovamente per acquisizioni di beni immobili e mobili.
Lo Scico della Guardia di finanza ha eseguito ieri un decreto di sequestro per circa 2,2 milioni di euro emesso dal Tribunale di Roma su proposta dei pm della Direzione distrettuale Antimafia, nei confronti di Giancarlo Tulliani, attualmente latitante a Dubai e fratello di Elisabetta Tulliani, compagna dell’ex leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini. La sezione Misure di prevenzione del Tribunale della Capitale ha disposto nei confronti di Tulliani il sequestro di una villa a Roma, di conti correnti accesi in Italia e all’estero e due autovetture di cui una di lusso, per un valore complessivo, come detto, di circa 2,2 milioni di euro. «Il profitto illecito dell’associazione, oggetto di riciclaggio, veniva impiegato, oltre che in attività economiche e finanziarie, anche nell’acquisizione di immobili da parte della famiglia Tulliani, in particolare Giancarlo», spiega una nota. «Quest’ultimo, dopo aver ricevuto, direttamente o per il tramite delle loro società offshore, ingenti trasferimenti di denaro di provenienza illecita, privi di qualsiasi causale o giustificati con documenti contrattuali fittizi, ha trasferito le somme all’estero, utilizzando i propri rapporti bancari.
2025-11-14
Casalasco apre l’Innovation Center: così nasce il nuovo hub del Made in Italy agroalimentare
A Fontanellato il gruppo Casalasco inaugura l’Innovation Center, polo dedicato a ricerca e sostenibilità nella filiera del pomodoro. Presenti il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini e il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta. L’hub sarà alimentato da un futuro parco agri-voltaico sviluppato con l’Università Cattolica.
Casalasco, gruppo leader nella filiera integrata del pomodoro, ha inaugurato oggi a Fontanellato il nuovo Innovation Center, un polo dedicato alla ricerca e allo sviluppo nel settore agroalimentare. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la competitività del Made in Italy e promuovere un modello di crescita basato su innovazione, sostenibilità e radicamento nel territorio.
All'evento hanno partecipato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini, il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta e il management del gruppo. Una presenza istituzionale che sottolinea il valore strategico del progetto.
Urso ha definito il nuovo centro «un passaggio fondamentale» e un esempio di collaborazione tra imprese, ricerca e istituzioni. Per Marco Sartori, presidente di Casalasco Spa e del Consorzio Casalasco del Pomodoro, l’hub «non è un punto d’arrivo ma un nuovo inizio», pensato per ospitare idee, sperimentazioni e collaborazioni capaci di rafforzare la filiera.
L’amministratore delegato Costantino Vaia parla di «motore strategico» per il gruppo: uno spazio dove tradizione e ricerca interagiscono per sviluppare nuovi prodotti, migliorare i processi e ridurre l’impatto ambientale. Tamagnini, alla guida di FSI – investitore del gruppo – ricorda che il progetto si inserisce in un percorso di raddoppio dimensionale e punta su prodotti italiani «di qualità valorizzabili all’estero» e su una filiera sostenibile del pomodoro e del basilico.
Progettato dallo studio Gazza Massera Architetti, il nuovo edificio richiama le cascine padane e combina materiali tradizionali e tecnologie moderne. I mille metri quadrati interni ospitano un laboratorio con cucina sperimentale, sala degustazione, auditorium e spazi di lavoro concepiti per favorire collaborazione e benessere. L’architetto Daniela Gazza lo definisce «un’architettura generativa» in linea con i criteri di riuso e Near Zero Energy Building.
Tra gli elementi distintivi anche l’Archivio Sensoriale, uno spazio immersivo dedicato alla storia e ai valori dell’azienda, curato da Studio Vesperini Della Noce Designers e da Moma Comunicazione. L’arte entra nel progetto con il grande murale di Marianna Tomaselli, che racconta visivamente l’identità del gruppo ed è accompagnato da un’esperienza multimediale.
All’esterno, il centro è inserito in un parco ispirato all’hortus conclusus, con orti di piante autoctone, una serra e aree pensate per la socialità e il benessere, a simboleggiare la strategia di sostenibilità del gruppo.
Casalasco guarda già ai prossimi sviluppi: accanto all’edificio sorgerà un parco agri-voltaico realizzato con l’Università Cattolica di Piacenza, che unirà coltivazioni e produzione di energia rinnovabile. L’impianto alimenterà lo stesso Innovation Center, chiudendo un ciclo virtuoso tra agricoltura e innovazione tecnologica.
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Da sinistra in alto: Piero Amara, Catiuscia Marini, Sergio Sottani e Luca Palamara (Ansa)
Dopo le parole di Amara alla «Verità», trasmessa in Cassazione una relazione sul pm «in ginocchio». Si può riaprire il caso Palamara. Le analogie con le inchieste sulla toga Duchini e sulla ex governatrice Marini.
Da settimane i media si stanno occupando del cosiddetto Sistema Pavia, un coacervo melmoso di indagini e affari scoperchiato mediaticamente anche grazie agli scoop della Verità. Ora, sempre grazie al nostro lavoro, sta emergendo come anche in Umbria i pm abbiano usato metodi non proprio ortodossi per raggiungere i propri obiettivi. Ricordiamo che la Procura di Perugia ha la titolarità delle inchieste che coinvolgono i magistrati del distretto di Roma. Una funzione che rende quegli uffici giudiziari una delle Procure più influenti del Paese. Nonostante la sua centralità, resta, però, dal punto di vista dell’organico e forse dell’attitudine, un ufficio di provincia, dove tutti si conoscono e le vite delle persone si intrecciano indissolubilmente.






