2021-02-07
«Famiglia Cristiana» contro Mr Bce. Il gesuita laico divide il Vaticano
Gualtiero Bassetti (Ansa)
L'articolo: «Non esistono poteri buoni». Il suo nome non piace alla parte della Chiesa a favore di Cina e Conte. L'attacco tocca però pure il Papa, che l'ha voluto alla Pontificia accademia, e la finanza legata ai prodiani.Servizi: Giuseppi, come ultimo atto, ha firmato le nomine. Ma il premier incaricato, lontano da questo mondo, potrebbe cambiare tutto. Si fanno già i nomi di Giampiero Massolo e Alessandro Pansa.Lo speciale contiene due articoli.L'imminente arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi è un evento non certo secondario per i rapporti con gli Usa di Joe Biden. Almeno possiamo facilmente pensare che il nuovo inquilino della Casa Bianca veda nell'ex governatore della Bce un importante alleato in una fase storica delicata per i rapporti interni all'Ue e le relazioni tra Usa, Cina e Russia. A differenza di Donald Trump, Biden sta tentando di chiedere agli alleati Ue un approccio condiviso con la Cina e in seconda istanza con la Russia. L'annuncio del trattato Cai (Comprehensive agreement on investment) rischia di aggiungere tensione a quella che già esiste all'interno dei Paesi Ue. Spaccati su due diversi approcci alla condivisione del rischio debito.Gli Usa potranno spingere i Paesi del Mediterraneo a cercare una condivisone d'intenti con quelli del Nord. Solo quando ci sarà l'allineamento Biden potrà ottenere l'obiettivo di fronteggiare e cooperare con la Cina secondo l'ottica dei dem. Gli Usa non arriveranno a tale risultato se non ci sarà pacificazione dentro il Vecchio continente ma ciò non avverrà finché il Sud non otterrà qualche garanzia sugli Eurobond e sulle tutele alle proprie banche. Ecco che Mario Draghi agli occhi di Biden potrebbe essere l'uomo giusto al momento giusto. Quando si parla di Cina e Italia, non si può però non citare il convitato di pietra. Alias il Vaticano. La politica sinofila sostenuta dal segretario di Stato Pietro Parolin resta dunque un ostacolo ancor più massiccio di quanto possano essere le idee di papa Francesco. Un ostacolo alla linea Biden e a quello che potrebbe essere il nuovo approccio italiano. Da un lato c'è Sergio Mattarella che più facilmente potrebbe abbandonare la linea pro Cina sapendo che a Washington non c'è più Trump e dall'altro un premier come Draghi che potrebbe scardinare le logiche che hanno unito la Cei e mezzo Vaticano a doppio filo con le sorti di Giuseppe Conte. E che sia così lo si intuisce già dalle reazioni. All'indomani dell'incarico per le consultazioni il direttore dell'ufficio nazionale per le comunicazioni, Vincenzo Corrado, ha tenuto a precisare che il cardinale Gualtiero Bassetti non ha mai espresso opinioni su Draghi. Il riferimento era a indiscrezioni riportate dai giornali. Si sa, però, che una smentita può essere una doppia conferma. Ieri Famiglia Cristiana ha tenuto - attraverso un articolo firmato dal teologo della pontificia Lateranense, Pino Lorizio - a dare il suo personale benvenuto a Mr Bce. Tre i passi salienti. Nel primo, una celebre citazione paolina: «Non vi è autorità, se non da Dio». Nel secondo una citazione di Fabrizio De André: «Non ci sono poteri buoni». Nel terzo un passaggio inedito di Lorizio: «Non possiamo dimenticare che la formazione in un collegio dei gesuiti non è certo garanzia di fedeltà al Vangelo». Una sintesi forte rimarcata dal titolo stesso: «Attendiamo i programmi, non basta aver studiato dai gesuiti». A questo punto se è più difficile (vista la natura laica del cattolicesimo di Draghi) capire chi sono i suoi alleati in Vaticano è invece facile comprendere che la Cei e tutto il giro di cardinali filo cinesi che osannavano Conte faranno muro. Va detto anche che lo strale contro i gesuiti non può non colpire direttamente Bergoglio in terra vaticana e la finanza cattolica che ancora ha come referente il mondo di Romano Prodi. Nel 2004 venne organizzata a Palermo una conferenza per presentare la lista unitaria del centrosinistra in vista delle elezioni europee. All'iniziativa parteciparono la senatrice Marina Magistrelli, prodiana di ferro, ma anche Franco Mangialardi, molto legato a padre Bartolomeo Sorge. Qui nacque la comunione di vedute tra i prodiani e i gesuiti in Italia. Non a caso, il successivo passo indietro del professore bolognese coincise con la vittoria della corrente dei salesiani capeggiata dall'ex segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone in seno al Vaticano. Ed è con l'arrivo del papa gesuita Francesco che Prodi ritorna nuovamente sulla scena politica italiana. Draghi è però un gesuita anomalo. Al momento della sua nomina a capo di Bankitalia non aveva particolari legami Oltretevere. Fu introdotto a Bertone direttamente. Nemmeno dopo Mr Bce ebbe necessità di frequentare assiduamente il Vaticano. D'altronde in Bankitalia ha promosso Anna Maria Tarantola che quel mondo conosceva e rappresentava benissimo. L'era Bertone è però finita da un pezzo e Draghi ha guadagnato un importante riconoscimento per mano del Papa stesso. Lo scorso anno Francesco ha chiamato Draghi a far parte della Pontificia accademia delle scienze sociali, il «think tank» all'ombra del Cupolone che si occupa di economia, politica e società. Dal 2019 nello stesso board siede il professor docente di economia all'università di Bologna, Stefano Zamagni. Ricorda qualcosa? Ovvio, il nome di Prodi. Insomma, è certo che la Cei oggi si trovi spiazzata dopo anni di frequentazione dei poteri romani. Tanto più che Draghi resterà sempre un outsider nel giro dei gesuiti che guardano alla Cina, atlantista come è. Vedremo se riuscirà a spostare l'asse dell'Italia e magari anche quello che lega il Vaticano al Colle passando per la finanza cattolica. Vedremo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/famiglia-cristiana-contro-draghi-vaticano-2650358490.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-ora-si-riapre-la-partita-sui-servizi" data-post-id="2650358490" data-published-at="1612675966" data-use-pagination="False"> E ora si riapre la partita sui servizi L'ultimo atto firmato dall'uscente Giuseppe Conte è stato il decreto di nomina dell'autorità delegata ai servizi di intelligence. Non solo, nello stesso Consiglio dei ministri in cui ha scelto il diplomatico Pietro Benassi il premier ha nominato ben tre vice direttori delle due agenzie. La nomina del quarto non è riuscita, sebbene fosse in marcia, perché per incastrare un nuovo numero due al Dis il premier avrebbe prima dovuto spostare due caselle: un nuovo sottocapo di stato maggiore e un nuovo consigliere militare. L'operazione non è avvenuta perché Conte è cascato prima. Dopo mesi in cui il Pd, l'opposizione e Italia viva chiedevano l'abbandono delle deleghe, l'aver ceduto all'ultimo ha tradito la forma due volte. In un primo senso ha come reso politicamente impropria la mossa e in un secondo senso ha violato le formalità istituzionali. Lasciando sul neo sottosegretario Benassi colpe che forse nemmeno sono sue. Il risultato è che Benassi rischia di essere soprannominato la poltrona ai servizi più veloce che ci sia. Il riferimento è semplicemente alla durata. Non certo all'anomalia di essere il primo diplomatico e quindi tecnico ad avere un ruolo politico. Ci sono stati infatti almeno tre grandi predecessori con incarichi d'intelligence ma sempre dentro gli apparati, mai dal lato del governo. Per cui la domanda che molti si fanno è quale familiarità abbia Mario Draghi con il mondo dei servizi segreti. Ieri abbiamo provato a ricostruire la rete internazionale dell'ex capo della Bce. Ne è emerso un network largo nelle dimensioni, profondo nei contenuti e diffuso nel tempo. Sul fronte intelligence però risultano pochi contatti diretti. In fondo, seppure stando a Francoforte avesse la necessità di confrontarsi direttamente con almeno tre grandi agenzie provenienti da Germania, Francia e Italia, da banchiere centrale è sempre rimasto dall'altra parte dello steccato. O per meglio dire spesso non era interlocutore ma osservato speciale. Adesso, o meglio nell'ipotesi che diventi il prossimo premier, dovrà trovare una figura di sua fiducia da delegare e a cui affidare la gestione di Dis, Aisi e Aise. In queste ore i corridoi sono percorsi da vari nomi. Non sappiamo quanto siano ipotesi concrete o auto candidature. Però ci sono figure che calzerebbero a pennello. Come lo storico Gianni De Gennaro, da poco sbarcato a Bari a presiedere la popolare salvato dallo Stato. Ma anche Alessandro Pansa, super poliziotto e rimasto fino al 2018 a capo del Dis. Fu nominato da Giuliano Amato prefetto di Napoli e dopo essere stato capo della polizia è approdato al dipartimento dove ha coniugato ottimi rapporti con gli Usa e una capacità di anticipare le necessità dei tempi. Il tema della cybersecurity ha trovato una sintesi proprio grazie al suo lavoro. Poco conta che poi i governi successivi non l'abbiano messa in pratica, la cyber security resta il tema centrale dell'intelligence del prossimo decennio e questo tema sarà sicuramente sul tavolo di Draghi. Infine, nelle scorse ore era circolato il nome di Giampiero Massolo a ministro degli Esteri. Il presidente di Fincantieiri e del think tank Ispi era già stato candidato ai tempi di Mario Monti e porta con sé la dottrina del multilateralismo. Recentemente Massolo ha spiegato: «L'Italia di fronte all'amministrazione Biden sarà attesa da una prova di maturità per le nostre capacità di perseguire in modo coerente e unitario l'interesse nazionale. Essa chiamerà in causa tutto il sistema Paese, dal mondo politico a quello delle imprese, dai media alla società civile». Insomma, un messaggio che non dovrebbe stonare in un governo Draghi.