
La «rieducazione» di papà e mamma è ancora insoddisfacente: «Non rinunciano ai loro valori». Perciò verrà eseguita una perizia psichiatrica entro 120 giorni. Intanto i bambini restano in comunità: un trauma indelebile.
Ci hanno messo più di un mese ma, alla fine, hanno deciso: il Tribunale dei minori dell’Aquila, con una ordinanza datata 11 dicembre (ma notificata agli avvocati solo ieri), stabilisce che i tre bambini di Nathan e Catherine Trevallion non potranno tornare a casa per Natale. Rimarranno nella struttura protetta dove si trovano da un mese e dove possono vedere la madre ore pasti e il padre qualche minuto ogni tanto. A Nathan è stato concesso di passare la mattinata di Natale con moglie e figli: «Lo potrà fare dalle 10 alle 12.30», ha dichiarato ieri sera il sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli.
Ovviamente, però, c’è di peggio. Nonostante genitori e figli siano separati da un mese e nonostante papà e mamma Trevallion abbiano fatto di tutto per dimostrare di essere disposti a venire incontro alle richieste di giudici e assistenti sociali, il tribunale ritiene che la loro rieducazione non sia ancora completata. Anzi, continua a giudicarli piuttosto riottosi e non sembra tenere conto di tutti i gesti di apertura compiuti dai genitori. Motivo per cui ha disposto una valutazione psicologica di Nathan e Catherine. Già: una perizia psichiatrica affidata alla dottoressa Simona Ceccoli, che avrà 120 giorni di tempo per completarla. Il che significa, immaginiamo, che i tempi per il rientro dei bambini siano davvero lunghissimi. Alla fine di gennaio il servizio sociale depositerà una relazione sugli interventi compiuti finora. Nel frattempo, la famiglia sarà posta sotto attenta sorveglianza.
«Non è ancora pervenuta la valutazione del servizio di neuropsichiatria infantile, necessaria per verificare eventuali carenze e stabilire gli interventi necessari per colmarle», scrive il tribunale dell’Aquila. «Nella situazione descritta si ritiene peraltro necessario un congruo accertamento tecnico sulle competenze genitoriali, tanto più in considerazione del gravoso carico educativo che i genitori, optando per scelte di istruzione non convenzionali, si sono assunti in via esclusiva, senza potersi giovare del contributo dei professionisti dell’educazione». Per il tribunale, i Trevallion sono troppo poco malleabili. «Gli indizi che si ricavano dalla condotta tenuta dai genitori nelle interlocuzioni con le autorità sanitaria e sociosanitaria e nell’ambito di questo procedimento parrebbero deporre in favore di una notevole rigidità dipendente dai valori ai quali conformano le loro scelte di vita e dell’assenza di competenze negoziali che consentano loro di ottenere i risultati perseguiti e di farlo al minor costo possibile», si legge nell’ordinanza.
Interessante: se sei troppo rigido, cioè saldo, nei tuoi valori, allora rischi che ti tolgano la prole. Se si dovesse usare questo criterio, rischierebbero perfino San Giuseppe e Maria, anzi soprattutto loro. Per i giudici, infatti, è semplicemente intollerabile che i Trevallion mostrino atteggiamenti stravaganti.
«Significativo appare il rifiuto dell’impiego del sondino naso-gastrico (verosimilmente poiché fatto di silicone o poliuretano) nel trattamento dell’intossicazione da funghi dei figli in occasione del ricovero in ospedale, che denota l’assoluta indisponibilità dei genitori a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali», leggiamo ancora. «Come del resto» è stato «necessario insistere perché la madre abbattesse la sua contrarietà a trattare la seria bronchite con broncospasmo da cui era affetta Bluebell. Infine, deve stigmatizzarsi l’insistenza con cui la madre pretende che vengano mantenute dai figli abitudini e orari difformi dalle regole che disciplinano la vita degli altri minori ospiti della comunità, circostanza che fa dubitare dell’affermata volontà di cooperare stabilmente con gli operatori nell’interesse dei figli. Nel corso del procedimento, a soluzioni concordate del minor impatto possibile, hanno preferito l’intensificazione dello scontro con gli operatori, con reiterate manifestazioni di diffidenza nei confronti dei difensori, reiteratamente sostituiti». Davvero inconcepibile: la madre vorrebbe poter decidere come i figli vanno educati e curati, e proprio non si rassegna a farsi comandare da altri.
Per questo motivo, il tribunale ritiene «necessario avvalersi della consulenza e dell’ausilio di esperto che provveda» a compiere «un’indagine personologica e psico-diagnostica del profilo di personalità di ciascun genitore dei minori per valutare: gli stili relazionali e comportamentali; le capacità e competenze genitoriali, nello specifico la capacità di riconoscimento dei bisogni psicologici (in particolare affettivi ed educativi) del minore; l’attenzione progettuale alle esigenze di crescita del minore per garantire un adeguato sviluppo psichico». La psichiatra dovrà, poi, «valutare se i genitori presentino caratteristiche psichiche idonee ad incidere sull’esercizio della responsabilità genitoriale. Ove tale incidenza sia affermata, riferisca se le capacità genitoriali siano recuperabili in tempi congrui rispetto allo sviluppo e alla crescita dei minori, indicando il percorso educativo che i genitori dovranno allo scopo intraprendere». Infine, la specialista sarà tenuta a «compiere un’indagine psico-diagnostica sui minori per accertare le loro condizioni attuali di vita, l’andamento dello sviluppo cognitivo e psico-affettivo, le figure di riferimento riconosciute dagli stessi minori e i modelli di identificazione sviluppati». Tutto chiaro, tutto liscio. Tolti i figli, obbligati i genitori a piegarsi alle regole, ora li si disciplinerà per bene tramite apposito percorso psicologico, affinché si uniformino perfettamente.
E chi decide, i giudici? No, una psichiatra. Viene da domandarsi su quale base effettuerà la sua valutazione: quale comportamento riterrà idoneo? Quali valori? Deciderà che i genitori sono adatti quando saranno disponibili a rinunciare alle loro convinzioni? In un lampo, i Trevallion sono stati patologizzati e dovranno dimostrare di essere sani. Ammesso che, tra un ricatto e l’altro, di loro rimanga qualcosa.






