2025-07-26
Ai dem non basterà fare lo scaricabarile. È fallito un modello di cui erano complici
L’idea di città che fonde Greta Thunberg e i fondi del Qatar è implosa rovinosamente. E scatta già il fuggi fuggi nel partito.In una delle sue più recenti interviste Giuseppe Sala, detto Beppe, sindaco di Milano, al giornalista che chiedeva per cosa vorrebbe essere ricordato, rispose perentoriamente «per la realizzazione di Expo». Non per i rapporti intessuti con i cittadini e con le loro problematiche e per l’opera di riqualificazione delle periferie. No. «Voglio essere ricordato per Expo». Già questa questa risposta inquadra abbastanza bene la fisionomia politica dell’uomo che guida Milano ormai da più di sette anni: un tecnocrate poco attento alle dinamiche sociali della metropoli milanese. Ciò che però preme sottolineare è la sostanza politica di quanto sta accadendo. È chiaro che dalla rielezione riconquistata al primo turno nel 2021 qualcosa si è rotto tra Sala e i milanesi, e un solco profondo è si e creato nel rapporto tra amministratori e amministrati. Come questo sia potuto accadere dovrebbe essere motivo di indagine da parte delle forze politiche di maggioranza, a partire dal Pd, azionista di riferimento della compagine. Sgombriamo subito il campo da un paio di commenti tipici della «politica Ztl»: Il primo afferma che «non può essere messa sotto indagine l’intera città», mentre il secondo mantra sottolinea che «l’intervento della magistratura non può bloccare lo sviluppo di Milano». A tali considerazioni si può rispondere che sotto accusa non è Milano e tanto meno la sua proiezione di moderna città europea: sotto osservazione sono le modalità di attuazione delle politiche urbanistiche di questa amministrazione, che hanno drasticamente cambiato il volto economico-sociale e culturale della città. Quella che una volta era per antonomasia la città di tutti, quella con il coeur in man interclassista, che rappresentava un unicum nel panorama non solo italiano, è diventata una città per pochi. Eppure le avvisaglie e i segnali che avrebbero dovuto mettere sull’avviso c’erano tutti, ma non sono state ascoltati. Il più eclatante, che era veramente sotto gli occhi di tutti, era l’angosciosa contraddizione tra i prezzi delle abitazioni o degli affitti che salivano alle stelle e le file alla Caritas o al Pane Quotidiano per un pasto caldo che si allungavano. Unitamente all’aumento del costo della vita, questo ha determinato la progressiva espulsione del ceto medio non solo dal centro cittadino, ma anche da zona una volta periferiche ed ora inavvicinabili per i costi. Era un fenomeno sociale che stava segnalando alla politica l’urgenza di un intervento. Ma la politica preferiva vantarsi di ciò che era diventata via Montenapoleone, o il Quadrilatero della moda, ci si gloriava solo del flusso di turisti con il denaro in mano. La città trasformata in un’oasi fiscale dei ricchi e il loro shopping di lusso, la città esplosa in verticale con i suoi grattacieli, ma privata dei suoi ascensori sociali. La «vecchia» Milano che ha lasciato il posto alla città che ha visto il reddito da lavoro superato dalla rendita, che per sua natura alimenta consumi futili che oltre a rovinare le persone producono guasti profondi. Questo modello che nasce con Expo è entrato in crisi anche perché ha imbrigliato gli amministratori locali in un totale ripiegamento della funzione politica, funzione che rappresentava, diverso tempo fa, un sano equilibrio e freno alle tante voracità presenti. Immagino che a questo punto del ragionamento qualcuno potrebbe obiettare che tutto ciò è da considerarsi utile solo ad un dibattito accademico attorno a idee diverse di sviluppo della città. Purtroppo non è così. È il modello inseguito in questi anni che necessita come habitat naturale dei fenomeni che la vicenda giudiziaria sta mettendo in luce e sotto i riflettori. Del resto, vi è già una esplicita ammissione di colpa nelle tardive dichiarazioni della maggioranza politica, in particolare modo il Pd, che sostiene il governo cittadino. «Il sindaco vada avanti, ma si cambi radicalmente la politica urbanistica». Parole che sottintendono due cose: la prima che quella finora perseguita era ed è una politica sbagliata; la seconda che confessa apertamente che la maggioranza che sostiene Sala è politicamente «complice» di tale politica perché fino ad ora è stata silente, immaginando di far convivere nella parolina magica «rigenerazione urbana» i sostenitori di Greta Thunberg con il denaro proveniente dal fondo del Qatar, le velleità delle Ong con il lusso di via Montenapoleone. Queste contraddizioni stanno esplodendo e potremmo dire, celiando ma non troppo, che sono state raffigurate del segnale premonitore del cedimento dell’insegna delle Assicurazione Generali in City life. Il Pd non può sottrarsi alle proprie responsabilità, immolando l’assessore all’Urbanistica come capro espiatorio, o attribuendo al sindaco tutte le colpe. Sarebbe troppo facile: la verità è che il Pd ha avallato le politiche di Sala, condividendole e sostenendole fino all’altro ieri. Si rilegga a riguardo l’intervista ad Affari italiani rilasciata tempo fa da Silvia Roggiani, oggi segretaria regionale Pd, nella quale veniva magnificato il ruolo del Pd nella giunta, si confermava la piena adesione al programma e si sottolineava che il nuovo assessore tecnico all’Urbanistica (quello dimessosi ieri) avrebbe lavorato in piena continuità con con l’attività svolta dal suo predecessore Maran. Il quale, oggi europarlamentare, in questi giorni è sembrato il più coerente, nell’esprimere solidarietà e sostegno all’assessore Tancredi di cui era stato il predecessore. Gli esercizi di smarcamento invece, come quelli praticati dal candidato sindaco in pectore Pierfrancesco Majorino, sono semplicemente delle furbizie. Di tutto questo la maggioranza è chiamata politicamente a rispondere, senza tergiversamenti o manovre diversive come il rinvio a settembre della scelta relativa allo stadio di San Siro. Sala, davanti al Consiglio comunale, ha deciso di andare avanti. Auguri.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson
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