2025-02-07
Dall’elettrico alla tassa sul carbonio, l’Ue mette la retromarcia sul green
Secondo «Der Spiegel» l’Unione si ricrede e valuta di tenere sul mercato dopo il 2035 le ibride plug-in. Mentre per il «Financial Times» Bruxelles esenterà l’80% delle aziende dalla gabella sulle emissioni.La posizione ufficiale continua a essere avanti tutta sul Green deal e stop alla vendita di auto endotermiche dal 2035 ma dietro le quinte qualcosa si sta muovendo in direzione contraria. Non si può dire che gli uffici di Bruxelles stiano valutando un’inversione di rotta ma c’è più di un indizio che lascia pensare a un tentativo di ammorbidimento dell’agenda della transizione energetica. Come detto prima, non c’è niente di dichiarato dalla Commissione. La presidente, Ursula von der Leyen, non fa che ripetere la fedeltà al cronoprogramma green ma ieri il quotidiano tedesco Der Spiegel ha citato un documento strategico secondo il quale si starebbe valutando l’ipotesi di consentire anche alle auto ibride plug in, di restare sul mercato dopo il 2035, insieme alle full electric. Qualche crepa nella linea finora seguita, comincia a manifestarsi. Il portale tedesco Energie-Bau, ha pubblicato lo stralcio del paper europeo, che aprirebbe a una maggiore flessibilità da far risalire alle forti pressioni esercitate dalla lobby dell’auto. «Individueremo soluzioni immediate per salvaguardare la capacità dell’industria di investire, guardando a possibili flessibilità per assicurare alla nostra industria di restare competitiva, senza perdere le ambizioni complessive del 2025», si legge nel testo. Sono mesi che l’Associazione dei costruttori europei di auto, Acea, lancia messaggi di allarme sulla deriva catastrofica imboccata dall’automotive, chiedendo alla Commissione di rivedere il cronoprogramma della transizione ecologica, a cominciare dallo stop alle sanzioni, entrate in vigore da gennaio, per le case automobilistiche che superano i nuovi limiti delle emissioni. Bruxelles ha aperto un tavolo di discussione ma senza indicare i tempi. Intanto le fabbriche continuano a chiudere, l’indotto, a cominciare dai fornitori, è sotto stress, e ogni mese deve essere aggiornato il numero dei posti di lavoro persi e delle ore di cassa integrazione. Per non parlare del pressing dell’industria cinese che, seduta lungo la riva del fiume, attende che passino le moribonde case europee per acquisirle a prezzi da saldo. A cominciare dagli stabilimenti della Volkswagen.A questo scenario si aggiunge il cambio di clima in Germania, la cui economia è messa a dura prova dalla crisi energetica e dalle difficoltà dell’industria dell’auto. In una tavola rotonda di Bloomberg a Francoforte i vertici di Commerzbank, Rwe Ag (compagnia elettrica) e Bilfinger (società di costruzioni e ingegneria) hanno detto che si aspettano un cambio di passo dal nuovo governo, che dovrà porre a Bruxelles il tema degli elevati costi energetici.Certo, una sterzata brusca e un colpo di spugna ai programmi di elettrificazione del mercato dell’auto non è pensabile, in quanto porterebbe a perdite colossali per quei gruppi che fatto ingenti investimenti. Così la via mediana, il compromesso di salvare almeno le auto ibride plug-in oltre le forche caudine del 2035, sarebbe una soluzione fattibile, per non farsi troppo male.Un altro segnale di un ammorbidimento delle posizioni green emerge dalle colonne del Financial Times. Il quotidiano economico scrive che «Bruxelles esenterà l’80% delle aziende dell’Ue dalla tassa sul carbonio alla frontiera», il cosiddetto Cbam. L’obiettivo è «ridurre la burocrazia e aumentare la produttività». Il meccanismo Cbam (Carbon border adjustment mechanism) è un elemento essenziale del Green deal e comporta l’applicazione di un prezzo per le emissioni incorporate nei prodotti di alcune tipologie di industrie, paragonabile a quello sostenuto dai produttori dell’Unione nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissione. È di fatto un tributo ambientale finalizzato a garantire che gli sforzi di riduzione delle emissioni di gas serra in ambito Ue non siano contrastati da un contestuale aumento delle emissioni al di fuori dei suoi confini per le merci prodotte nei Paesi extra Ue, che vengono importate nell’Unione europea.Cambia il vento anche nella finanza. Il fondo norvegese Norway, da 1,8 trilioni di dollari è diventato meno scrupoloso in merito ai criteri Esg per gli investimenti nelle aziende. Lo scorso anno ha disinvestito da 49 società sulla base delle valutazioni sulla sostenibilità. Uno sfoltimento che risulta in calo rispetto alle 86 dell’anno precedente. Il fondo pone come requisito che le aziende in cui investe abbiano l’obiettivo di raggiungere zero emissioni entro il 2050. Il calo dei disinvestimenti potrebbe essere dovuto al fatto che le aziende sono diventate più virtuose in fatto di rispetto dell’ambiente ma potrebbe anche essere determinato da un minor scrupolo del fondo che pur attenendosi ai criteri Esg, andrebbe meno per il sottile. Numerose società in Europa hanno iniziato a contestare le normative sull’impatto ambientale in quanto temono che tali requisiti l prendano meno competitive rispetto ai concorrenti degli Stati Uniti e dell’Asia. Una contestazione che tiene conto del programma di deregulation avviato dal presidente Usa, Donald Trump, sull’altra sponda dell’Atlantico.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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