
La battaglia in Viale Mazzini si gioca tutta a sinistra tra Pd e grillini. Le grandi manovre, in un'azienda rimasta sostanzialmente renziana, sono iniziate. Nel mirino soprattutto il Tg1 (bassi ascolti) e la direttrice della prima rete. E nascono alleanze di comodo.Quella della Rai sovranista era una sgangherata fake news ma faceva comodo crederci. Lo si capisce una volta di più ascoltando il tintinnio di sciabole nei corridoi di viale Mazzini, dove il fronte progressista sta combattendo l'ultima guerra di potere tutta a sinistra - renziani contro piddini - per il controllo militare dell'informazione. Con nel mezzo l'amministratore delegato Fabrizio Salini, espressione di un Movimento 5 stelle che mai, neppure per un istante, ha dato l'impressione di poter scardinare o almeno indebolire l'eterna egemonia dem.In queste settimane l'assedio più evidente è quello attorno all'ufficio di Teresa De Santis, direttrice di Rai 1 in difficoltà per due motivi: i numeri non brillanti della rete anche per colpa del crollo del Tg1 di Giuseppe Carboni (di nomina pentastellata) e il suo essere vicina alla Lega, cosa che la trasforma immediatamente in una preda. Lei resiste, si percepisce «capro espiatorio» e fa sapere: «Mi difenderò fino all'ultimo, non sono un agnello sacrificale». Ma le grandi manovre sono cominciate e il renziano Stefano Coletta, numero uno di Rai 3 e protagonista del rilancio della rete, ha un piede infilato nella porta della direzione principale. Con un problema, a sinistra non tutti lo vogliono perché non lo ritengono organico al pensiero del Nazareno. Qui si apre uno scenario dadaista che paralizza altre possibili nomine: i dirigenti più influenti sono vicini a Matteo Renzi, da lui premiati durante la sua stagione a Palazzo Chigi caratterizzata da un feroce spoil system. Nicola Zingaretti ha difficoltà a trovare uomini fedeli, cerca sponde ma non si fida degli pseudoalleati di Italia viva. La guerra intestina è il motivo principale dell'immobilismo ed è l'àncora di salvezza per Carboni, che potrebbe uscire indenne dal cda previsto lunedì prossimo. Luigi Di Maio non lo abbandona, ha chiesto a Salini di conservargli la poltrona. E Salini, pur facendo imbufalire le guardie rosse Michele Anzaldi e Davide Faraone, dovrebbe confermarlo. Il motivo è semplice: i grillini non hanno alternative e temono un altro blitz renziano. Infatti sarebbe già pronto a rientrare Mario Orfeo. Il direttore del Tg1 non è mai stato così in difficoltà. La Lega ne ha chiesto la testa attraverso Massimiliano Capitanio, segretario della commissione di Vigilanza Rai: «La direzione del Tg1 è la certificazione di scelte sbagliate da parte del Movimento 5 stelle e del Pd. Anche durante il Conte 1, con la Lega al governo, molte scelte operate dai 5 stelle sono state fatte pescando nel giro del Pd». Lo share del Tg1 sotto la soglia psicologica del 20%, l'intervista a Giuseppe Conte sulla guerra di Erdogan in Siria con abissi del 4% in prima serata, le elezioni in Umbria derubricate su Rai 3: inciampi che hanno creato malumore e che vanno ad aggiungersi all'immagine di un direttore isolato e con una magagna disciplinare sulla testa. Nulla si sa dell'esito dell'audit sullo scontro (pare anche fisico) con il vice Angelo Polimeno Bottai.Il domino delle reti è pronto. Dovesse saltare la De Santis e Coletta andare a Rai 1, per Rai 3 è pronta Maria Pia Ammirati, oggi relegata alle Teche. A conclusione di una stagione per niente memorabile (numeri da depressione) a fine novembre andrà in pensione Carlo Freccero e a guidare Rai 2 - la rete teoricamente lasciata all'opposizione - dovrebbe arrivare Ludovico Di Meo con benedizione bipartisan. Ma neanche questo è sicuro perché la narrazione di sinistra chiede ancora più spazio, l'attenzione è massima e c'è nervosismo davanti alle defezioni. Nei giorni scorsi la vicenda Ilva ha messo a dura prova le redazioni. Anzaldi, membro ultrarenziano della commissione di Vigilanza, ha twittato: «Può un giornalista Rai diffondere notizie false? Revoca scudo è stata decisa dal governo Salvini-Di Maio, è stupefacente che un conduttore di Rainews non lo sappia. Che aspetta la Rai ad applicare il codice etico sui social approvato in Vigilanza? Presento interrogazione a Salini». Per nulla impressionato dalla minaccia da Minculpop, il destinatario dell'accusa Roberto Vicaretti gli ha risposto: «Grazie per l'attenzione, onorevole, nel decreto Salva imprese c'era lo scudo?». L'aria è siberiana e nessuno sfugge alla battaglia. Neppure Giampaolo Rossi, consigliere in quota Fratelli d'Italia accusato di tessere inciuci con la sinistra per equilibri di potere interno. Alla vigilia delle elezioni Europee fu Rossi a dare il via libera, contro il volere della Lega, alle nomine corporate (il piano editoriale con direzioni tematiche) sponsorizzate da Salini. Così, mentre Giorgia Meloni attacca Report, Rossi elogia pubblicamente Coletta e la trasmissione Agorà di Serena Bortone, mai tenera con il centrodestra. Alleanze in movimento, accrocchi di comodo e di fantasia nel cuore dell'azienda culturale più importante del Paese. Dove l'unico profilo istituzionale super partes appare quello del presidente Marcello Foa. In queste settimane di mare mosso anche l'ad Salini ha bisogno di sponde per difendersi dalle accuse di conflitto d'interesse con la società di produzione televisiva e multimediale Stand by me (di cui era chief operation officer) che «intratterrebbe ancora rapporti attivi e passivi con la Rai». Sempre il battagliero deputato leghista Capitanio ha presentato un'interrogazione in Vigilanza «per avere un prospetto dettagliato su costi e tipologie delle produzioni televisive di tutte le reti Rai, suddivisi per operatore e fornitori. È una questione di trasparenza». E le sciabole continuano a tintinnare.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Getty Images)
Il premier, unica donna al vertice in Egitto: «Giornata storica, l’Italia c’è e fa la differenza». Poi l’appello all’opposizione: «Spero nell’unanimità dell’Aula sulle missioni». Il presidente Usa: «Ti offendi se dico che sei bella?». Bilaterale con Al Sisi sul Piano Mattei.
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