2024-04-19
Esportazioni record di armi italiane a Kiev con il pretesto dell’«autodifesa»
Nel 2023 ne abbiamo vendute per 417,3 milioni, nonostante il conflitto in corso. A Israele invece sono stati chiusi i rubinetti.Zelensky rimprovera l’Ue e chiede che prema su Washington per gli aiuti finanziari. Kuleba: «Dateci Patriot e Samp/T». Mosca sbeffeggia: «La situazione non cambierà».Lo speciale contiene due articoli.Armi all’Ucraina. Anche dal G7 Esteri di Capri è partito l’appello che risuona, incessante, da quando è cominciata l’invasione russa. E sul capitolo delle forniture belliche, delle quali pure Kiev lamenta ancora la scarsità, c’è stata una notevole evoluzione, da due anni a questa parte.Lo testimonia, per l’Italia, la Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, inviata dal governo al Parlamento a fine marzo. Il documento conferma quanto il ministro della Difesa, Guido Crosetto, aveva detto in Aula, rispondendo a un’interrogazione dei grillini: nel 2023, le autorizzazioni al nostro export di armi sono cresciute del 24,4%, passando dai 5,2 miliardi dell’anno precedente a 6,3. E l’Ucraina è stata il secondo Paese destinatario dei nostri prodotti, per un valore di 417,3 milioni di euro, dopo la Francia (465,4 milioni). Il balzo è clamoroso: nel 2022, il Paese assalito da Vladimir Putin era soltanto quarantanovesimo in classifica, mentre Parigi era sesta. In cima all’elenco dei nostri clienti figurano poi gli Usa, con un giro d’affari da 390,3 milioni; l’Arabia Saudita, con 363,1 milioni; e il Regno Unito, con 277,6.Il contenuto del report ha fatto sorgere qualche dubbio. È la ragione per cui, il mese scorso, era stato interpellato Crosetto. Secondo le norme, infatti, l’Italia non può vendere armi a una nazione in guerra. Non a caso, Roma ha bloccato le transazioni con Israele, limitandosi a portare a termine le commesse negoziate prima dello scoppio delle ostilità a Gaza. Allora, come mai per l’Ucraina non vale lo stesso principio? Il punto è che la legge n. 185/1990 vieta, sì, «l’esportazione e il transito di materiali di armamento […] verso i Paesi in stato di conflitto armato». Precisa, però, che lo stato di guerra deve sussistere «in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite», che riconosce il diritto all’autotutela individuale o collettiva. Il ragionamento è il seguente: poiché Kiev si sta difendendo da un’aggressione, alle nostre aziende è permesso stipulare contratti per munizioni, artiglieria, missili, blindati, dispositivi elettronici.Ma se le cose stanno così, come mai è stata votata una deroga alla normativa, per spedire al fronte i materiali messi a disposizione dal decreto del governo Draghi? Se siamo in regola nella vendita, tanto più avremmo dovuto esserlo nelle donazioni. Ecco perché un’altra delle ipotesi è che sia stato proprio l’esecutivo di Mr Bce a fornire un ombrello giuridico, con il quale giustificare il business con Kiev, esploso soltanto lo scorso anno. In quella maniera, la pratica sarebbe potuta passare - come aveva sottolienato in Parlamento il ministro - dalla Difesa alla Farnesina, che gestisce le autorizzazioni alle industrie. Certo, pure Israele - con cui, appunto, non abbiamo stipulato nessun nuovo contratto - si sta difendendo dai terroristi di Hamas. Ma forse i bombardamenti su Gaza o le scintille con l’Iran rappresentano una reazione sproporzionata all’attacco del 7 ottobre. Da un lato, pertanto, ci sarebbe un popolo che si sta battendo contro un invasore; dall’altro, una potenza regionale che sta approfittando dei tremendi attentati di sei mesi fa per arrivare al redde rationem con i nemici storici.Siamo lo stesso sicuri che almeno alcune delle rimostranze che vengono rivolte a Gerusalemme non possano valere per l’Ucraina?La relazione stilata dal governo non precisa quali prodotti siano stati venduti dalle compagnie italiane a Kiev. In assenza di dettagli, è lecito sospettare che non vi siano garanzie rispetto alla destinazione e all’uso delle forniture militari. Una volta che li acquisisce l’esercito di Volodymyr Zelensky, come possiamo sapere che un radar, un sistema di puntamento o un razzo vengano effettivamente impiegati per presidiare una trincea, piuttosto che per compiere raid in territorio russo?Non è una questione peregrina. Basti ricordare che il Trattato sul commercio delle armi, votato dall’Assemblea generale dell’Onu nel 2013, vincola gli Stati che lo hanno sottoscritto a non trasferirle a chi potrebbe utilizzarle, ad esempio, in «attacchi diretti contro obiettivi civili». Proprio quelli che, con una certa frequenza, interessano l’oblast di Belgorod, entro in confini della Federazione. Senza contare che la legge del 1990 prevede che le esportazioni siano sempre «conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia». Sarebbe coerente con quegli obiettivi bersagliare, con i nostri gingilli, le infrastrutture energetiche russe? Tattica che gli americani - supponiamo anche a nome degli altri alleati dell’Ucraina - hanno bocciato, temendo che contribuisca a innalzare il prezzo dei carburanti?Sono preoccupazioni di questa natura che hanno trattenuto la Germania dal cedere i suoi missili Taurus, che la resistenza avrebbe la possibilità di lanciare contro il ponte della Crimea. Il fatto che gli armamenti siano offerti direttamente dal governo, piuttosto che venduti dai privati, non cambia i termini della questione: le ragioni strategiche e politiche rimangono comunque preponderanti.Aleggia, infine, l’inquietante spettro del crimine organizzato. Il Dipartimento della Difesa Usa, la scorsa estate, ha certificato che, nel 2022, una parte delle munizioni inviate dagli alleati è finita ai trafficanti. Poco tempo prima, era stato proprio il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, a esprimere forti preoccupazioni: «Temiamo», aveva dichiarato al Jerusalem Post, «che qualsiasi sistema dato all’Ucraina» - donato o venduto fa lo stesso - «possa essere usato contro di noi, perché potrebbe cadere nelle mani dell’Iran». Già: sarebbe davvero il colmo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/export-armi-italia-2667818691.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-il-g7-promette-batterie-antiaeree" data-post-id="2667818691" data-published-at="1713535212" data-use-pagination="False"> E il G7 promette batterie antiaeree Kiev ha disperatamente bisogno di armi e munizioni affinché possa contenere gli attacchi russi che giorno dopo giorno diventano sempre più intensi. Lo sa bene Volodymyr Zelensky, che nelle ultime settimane è tornato prepotentemente a bussare alla porta dell’Occidente, e lo sanno bene gli alleati, consapevoli, stando almeno alle dichiarazioni, di dover sostenere l’Ucraina per limitare Vladimir Putin, ma che di fatto continuano a tergiversare. Il leader ucraino, ieri, collegato in videoconferenza al Consiglio europeo che si è tenuto a Bruxelles, ha alzato la voce: «Ringrazio ognuno di voi per le vostre iniziative e la partecipazione alle coalizioni a sostegno dell’Ucraina e delle nostre forze di difesa e sicurezza», ha detto ai capi di Stato dei Paesi Ue, «ma sfortunatamente non abbiamo ancora visto i milioni di proiettili di artiglieria dell’Unione europea di cui si è parlato così tanto». Sul tema delle armi da destinare a Kiev è intervenuto da Capri, dove è in corso il G7, anche il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba: «La priorità numero uno è la difesa aerea. Sono i Patriot americani e il sistema di difesa aerea franco-italiano Samp/T, in quanto sono gli unici sistemi capaci di intercettare i missili balistici russi ed è questa la vera svolta nella guerra». Kuleba ha poi ammesso di essere al lavoro per sbloccare la parte di aiuti promessa dalla Casa Bianca, ma congelati da diversi mesi dall’ala repubblicana della Camera: «Stiamo affrontando un problema al Congresso Usa, ma sembra che si proceda verso l’esito giusto». A tal proposito, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha svelato alla stampa che Kiev ha spinto l’Ue a fare pressione su Washington: «Zelensky ci ha chiesto di fare del nostro meglio per cercare di convincere gli Stati Uniti a fornire un maggiore sostegno, anche finanziario, all’Ucraina». Sempre dal G7, tuttavia, l’alto rappresentante Ue Josep Borrell ha ammesso: «Non possiamo contare solo sugli Usa, dobbiamo prenderci la nostra responsabilità. Abbiamo i Patriot, abbiamo i sistemi antimissile, dobbiamo tirarli fuori dai magazzini e inviarli in Ucraina dove la guerra si sta intensificando». Mentre il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha dichiarato di essere al lavoro per fornire a Kiev sistemi di difesa aerea invocati da Kuleba. Un’eventualità che però non sembra scalfire le convinzioni della Russia, con il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha dichiarato: «Gli aiuti, in particolare quelli americani, non sono in grado di influenzare l’esito della situazione al fronte, tutt’altro che favorevole all’Ucraina». E mentre il primo ministro ucraino, Denys Shmyhal, ha confidato alla Bbc che una caduta dell’Ucraina potrebbe portare allo scoppio della terza guerra mondiale, al fronte si moltiplicano attacchi e combattimenti. A Chernihiv, città al confine con la Bielorussia, dopo il bombardamento di mercoledì, si continua a scavare tra le macerie nel disperato tentativo di trarre in salvo qualcuno. Secondo i dati diffusi dal servizio di emergenza dello Stato ucraino, sarebbero almeno 18 i morti, 77 i feriti e oltre 20 gli edifici danneggiati. L’esercito ucraino ha invece provato un timido contrattacco lanciando due missili tattici Tochka, 20 droni e 16 razzi, tutti intercettati dalla contraerea russa, così come cinque palloni aerostatici contenenti materiale esplosivo.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.