2021-12-14
Ex Ilva, un piano da qui all’eternità
L’ad di Acciaierie d’Italia illustra un progetto da quasi 5 miliardi di euro, in buona parte a carico dei contribuenti. Da realizzare in dieci anni, un tempo enorme nella siderurgia.Ci vorrà tutta la consumata esperienza da lobbista di Franco Bernabè, presidente di Acciaierie d’Italia, perché l’ex Ilva di Taranto riesca a portare a casa e realizzare un piano da quasi cinque miliardi di euro, in buona parte a carico dei contribuenti italiani. Un piano, per giunta, che definire «ambizioso» è davvero poco, perché si tratta di passare ai forni elettrici e all’idrogeno nel giro di dieci anni. Un tempo enorme, in un settore che evolve velocemente come quello della siderurgia. Al nuovo piano industriale hanno lavorato per mesi il ministero dello Sviluppo economico e il management della società, controllata dai franco-indiani di Arcelor Mittal e che vede la partecipazione della pubblica Invitalia. Ieri, nel corso di un incontro con i sindacati e gli enti locali, l’amministratore delegato, Lucia Morselli, ha sostenuto che servono «dieci anni per rendere sostenibile ambientalmente Acciaierie d’Italia». Un tempo non breve anche sotto il profilo sanitario, visto che a Taranto si continua a morire di tumori e a sviluppare neoplasie infantili su livelli ben superiori a quelli nazionali. La strategia prevede quattro fasi per arrivare alla sostituzione totale del carbone con l’idrogeno e l’utilizzo di forni elettrici. Serviranno investimenti da almeno 4,7 miliardi di euro e Morselli ha spiegato che saranno necessari ammortizzatori sociali ad hoc, «senza i quali «non ci sarà la possibilità di realizzare il piano».Per il ministro Giancarlo Giorgetti, il piano presentato ieri «è realistico, ma non semplice». Perché «il passaggio all’idrogeno e la gestione e le conseguenze degli aspetti occupazionali hanno bisogno di tempo». Non solo, ma per l’esponente leghista «il quadro delineato oggi è più complicato di quanto ci aspettassimo: serve fiducia e speranza da parte di tutti coloro che oggi siedono a questo tavolo». Ora, è vero che per gli slogan di Greta Thunberg e le mirabolanti promesse planetari del ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ambientalista a giorni alterni, dieci anni sono un soffio. Ed è ormai noto che sui tempi di raggiungimento del traguardo «emissioni zero», che vanno da 10 a 50 anni a seconda della singola nazione o dell’Unione europea, siamo alle parole in libertà. Tuttavia, tornando agli altoforni di Taranto, dieci anni sono un’eternità e la trasformazione energetica potrebbe rivelarsi una chimera dal punto di vista degli occupati, della produzione e dei capitali necessari. Come se non bastasse, dalle parole pronunciate ieri dalla Morselli si capisce chiaramente che quegli «ammortizzatori ad hoc» altro non saranno che il solito vecchio ribaltamento di costi dal privato allo Stato. E chissà che effetto avranno fatto quelle due paroline rivelatrici ad Andrea Orlando, ministro del Lavoro, a cui compete l’erogazione della cassa integrazione straordinaria. Se il piano riceverà miliardi di fondi pubblici, risulterà finalmente chiaro perché l’ex Ilva abbia voluto, oltre a un tagliatore di teste come la Morselli, un abile diplomatico come Bernabè (73 anni), in passato ai vertici di Eni e Telecom Italia e dotato di ottime entrature in tutto il centrosinistra. In cambio, la promessa di ieri da parte dei vertici dell’ex Ilva è quella, oltre al futuribile idrogeno, di tornare alla piena occupazione entro il 2025. Anche i sindacati, però, appaiono scettici. Rocco Palombella, segretario generale Uilm, ha messo le mani avanti: «Un piano di dieci anni come quello che ci è stato a grandi linee accennato è una eternità e la situazione impiantistica intanto è disastrosa, gli impianti si fermano e i lavoratori vengono messi continuamente a rischio».
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