2019-10-22
Ex Ilva in rosso. E il M5s la vuole ammazzare
Lorenzo Fioramonti a Taranto: «L'azienda rappresenta il passato. No all'immunità penale». Mentre i grillini cercano di abolire la norma, l'acciaieria fa perdere ad Arcelormittal più di 700 milioni all'anno. La fine dello scudo legale sarebbe l'occasione per lasciare.Il pasticcio è quasi servito, a meno di un improbabile colpo di scena. E a far capire come sarebbe andata la giornata di ieri ha provveduto il solito Lorenzo Fioramonti, che sarebbe ministro dell'Istruzione, ma pontifica e fa danni a 360 gradi, ben al di là della sola materia scolastica. Ieri l'uomo della sugar tax era a Taranto e da lì ha lanciato il proclama: «L'ex Ilva rappresenta il passato, un modello industriale che stenta sempre di più ad affermarsi e a essere sostenibile anche dal punto di vista economico. Sono e resto contrario a qualunque tipo di immunità e quindi mi auguro che venga rimossa il prima possibile».E puntualmente ieri sera, poco dopo le 18, le commissioni Lavoro e Industria del Senato (nell'ambito dell'esame del decreto sulle crisi aziendali, che proprio stamattina dovrebbe approdare a Palazzo Madama), sono state investite della richiesta dei grillini di votare il loro emendamento per sopprimere l'articolo 14 del provvedimento, che originariamente prevedeva un minimo di scudo penale per i manager (e anche per quadri e settimi livelli con responsabilità).Ieri sera, al momento della chiusura dell'edizione di oggi della Verità, la votazione non era ancora avvenuta (si attendevano alcuni pareri della commissione Bilancio del Senato), ma fonti grilline ci hanno confermato la loro fermissima intenzione di votare per cancellare lo scudo penale. Da quanto ci risulta, in mancanza di questo, gran parte del gruppo senatoriale pentastellato si rifiuterebbe di votare il decreto in Aula. Si tratta di capire se Pd e renziani subiranno un'altra volta il diktat del M5s. O se, come qualcuno suggeriva, in extremis la questione verrà stralciata per essere affrontata in un altro provvedimento. Si badi bene: non si tratta di un'immunità totale (è perfino ovvio sottolineare che qualunque reato commesso negli stabilimenti ex Ilva resterebbe naturalmente perseguibile), ma solo di uno scudo per ciò che riguarda la messa a norma dello stabilimento. Chi si farebbe carico della messa a norma, sapendo di subire conseguenze penali? Chi si presterebbe a guidare un'azienda e a prendere decisioni, sapendo di poter finire nei guai (penali) per le scelte compiute dalle gestioni precedenti? Chi prenderebbe il comando delle operazioni, con la prospettiva molto probabile del carcere?Vanno ricordati tre ulteriori elementi. Primo: è in ballo la sorte di 10.700 lavoratori. Secondo: Arcelormittal ha già fatto sapere che, in presenza di una decisione ostile, farebbe le valigie. Terzo: è in gioco anche un messaggio più generale rivolto a qualunque investitore italiano o straniero. Se ogni anno l'Italia cambia le regole del gioco a partita in corso, e se chi fa investimenti rischia il carcere per quanto è avvenuto prima del suo arrivo, è evidente che siamo in presenza di un poderoso disincentivo a venire in Italia a portare risorse. E questo è a maggior ragione vero per Arcelormittal, che - secondo indiscrezioni - starebbe accusando nel gruppo Ilva una perdita di 60 milioni al mese, oltre 700 all'anno. Di tutta evidenza, un fatto nuovo come la sottrazione dello scudo penale sarebbe l'occasione perfetta (o il pretesto perfetto, a seconda dei punti di vista) per fare le valigie, salutare e disimpegnarsi definitivamente.Siamo dunque davanti a un doppio salto di qualità in negativo. Per un verso (vale per la gestione del Mise fatta da Luigi Di Maio, e vale ora per quella del suo successore e collega di partito Stefano Patuanelli), i grillini non sono stati in grado di dare soluzione a nessuna delle crisi aziendali, a nessuno dei tavoli aperti. E per altro verso, in un clamoroso ritorno all'indietro, sembrano sponsorizzare un anacronistico e fallimentare ritorno allo Stato imprenditore.Vale per l'Ilva, su cui non mancheranno i nostalgici dell'acciaio di Stato, come se nel mercato mondiale ultra competitivo del 2019 la gestione di un'impresa d'avanguardia potesse essere sottoposta a logiche tutte politiche. Vale per Alitalia, dove si riparla esplicitamente di una fantomatica «gestione pubblica provvisoria», nonostante i soldi dei contribuenti già bruciati per i prestiti ponte. E vale anche per Whirlpool, dove - com'è noto - c'è chi vagheggia l'uso di risorse pubbliche (tramite Invitalia) per tirare avanti non si sa con quale prospettiva industriale. La sensazione è che i giallorossi a trazione grillina ripropongano una logica statalista, una specie di ritorno nemmeno all'Iri (che ebbe anche alcuni meriti, pur perdendo valanghe di soldi pubblici), ma addirittura all'Efim, l'ente a partecipazione statale noto - decenni fa - per accollarsi le aziende decotte. Con gli esiti che conosciamo.
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi